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Egli venne eletto con i voti determinanti del PDS, che rientrò, così, nei giochi per effetto dei fatti di cronaca palermitani, che colpirono molto la pubblica opinione e delegittimarono, ulteriormente, Forlani, Craxi ed Andreotti, che – agli occhi del popolo italiano – apparvero come i nemici del Bene comune e della legalità, da abbattere quindi per via politica, così come poi avvenne effettivamente, in occasione delle successive elezioni generali del 1994, dopo due anni consecutivi di stillicidio, causati dagli sviluppi delle indagini dei giudici di Milano in relazione al famoso filone giudiziario di Tangentopoli.
Come si dice a Napoli, dove l’attenzione alla smorfia è sempre altissima, la paura fa novanta, che è, appunto, il numero che contraddistingue, per coloro che credono alla cabala partenopea, quel sentimento per nulla piacevole.
Nel caso di Renzi, la paura è associabile ad un cifra ben inferiore a novanta, dato cha già una cinquantina di defezioni sarebbero più che sufficienti per far saltare l’intesa PD-Forza Italia.
Pertanto, le sue parole odierne, tese a negare eventuali conseguenze ai danni dell’Esecutivo da un possibile fallimento del Nazareno in materia quirinalizia, ci appaiono solo di mera circostanza: l’esempio, da lui stesso fatto, inerente ai fatti del 1992, dice esattamente il contrario, visto che, in quel caso, non solo saltò l’elezione di Forlani al Quirinale, ma di conseguenza vennero meno i numeri per eleggere Craxi a Palazzo Chigi e, soprattutto, crollò un’alleanza più che decennale, fra la DC ed il PSI, che invero era molto più salda di un’intesa informale, quale può essere quella che hanno sottoscritto Renzi e Berlusconi nelle, ormai famigerate e segrete, stanze del Palazzo del Nazareno.
Renzi, quindi, teme di fare la medesima fine di Craxi e Berlusconi quella, forse, di Forlani?
I timori sono forti ed, in verità, credibili, perché l’anno, appena trascorso, ha prodotto molte inimicizie per il Presidente del Consiglio, che – crediamo – verranno fuori in occasione delle elezioni per il Capo dello Stato, quando il peso specifico di ogni voto, espresso in direzione opposta rispetto a quella dell’indicazione del Segretario Nazionale del PD, è terribilmente alto.
Se Renzi non ne è a conoscenza, può chiedere informazioni direttamente a Bersani, che - due anni fa - perse il Governo per la sua manifesta incapacità di far eleggere, prima, Marini e, poi, Romano Prodi.
D’altronde, si disse da più parti che i parlamentari renziani non seguirono l’indicazione di voto data da Bersani, per cui essi sarebbero da annoverare fra i famosi cento ed uno franchi tiratori, che portarono alla riconferma coatta di Napolitano.
Forse, c’è qualcuno, fra i leaders del PD, che vuole togliersi il classico sassolino dalla scarpa?
Se c’è qualche conto da regolare, questo - forse - è il momento più opportuno per farlo?
Al posto di Renzi, invero, cercheremmo di fare chiarezza sin da ora, per evitare di riprodurre un copione già visto; peraltro, se Berlusconi non ha più nulla da perdere, egli - invece - sarebbe la principale vittima di un’eventuale azione di sabotaggio dell’accordo con Forza Italia, dato che perdere il Premierato, a causa dell’elezione di un Capo dello Stato diverso da quello immaginato, sarebbe la più grande sconfessione dell’ultimo anno vissuto, coraggiosamente, a cavallo fra il Nazareno e Palazzo Chigi.
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