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Come si arguisce, è giusto che cambi l’approccio all’evento sportivo, che non può - invero - ridursi ai soli novanta minuti della partita.
Ma, chi dovrà fare ingenti investimenti per avviare una trasformazione urbanistica così profonda delle nostre obsolete città?
È pleonastico sottolineare che le grandi famiglie del capitalismo italiano si sono, ormai, quasi tutte tirate indietro, per cui risulta ovvio che una siffatta rinascita del movimento calcistico deve e può essere ascrivibile solo alle enormi energie, finanziarie e politiche, dei gruppi asiatici o americani, che vengono a prelevare le nostre società, per lo più, prossime al fallimento o, comunque, destinate a vivere un futuro gramo in assenza di investimenti significativi da parte di nuovi e motivati soci.
Finanche, da questo punto di vista il calcio italiano sconta un ritardo notevole: gli Arabi ed i Cinesi sono entrati nel calcio di altre nazioni già venti anni fa, per cui ora possono godere dei risultati dei loro cospicui investimenti passati, mentre, in Italia, la politica, spesso allineata sulle medesime posizioni del capitalismo nostrano, ha contrastato l’ingresso dei capitali stranieri.
Pertanto, oggi, l’Italia si trova a vivere una condizione di arretratezza e di mancanza di danaro liquido nelle casse della stragrande maggioranza dei club di Serie A e B, che – anche, in numero – sono ridondanti rispetto alle effettive possibilità dell’economia nostrana.
Un calcio in simili condizioni non può non essere, allora, attrattativo per la grande criminalità, visto che il mercato delle scommesse, legali e clandestine, rappresenta un canale - sia pure non sempre lecito - di passaggio di risorse notevoli, che vanno a rimpinguare le entrate di associazioni di persone senza scrupolo, pronte a falsare un risultato sportivo, pur di conseguire guadagni non irrilevanti, con la complicità talora di addetti infedeli, quali allenatori, direttori sportivi, broker e calciatori.
È giusto, quindi, che l’intero movimento calcistico venga resettato e che vengano poste premesse diverse, se si vuole che lo spettatore torni allo stadio e, compatibilmente con le sue possibilità, possa arricchire le casse del club, per cui tifa.
Altrimenti, il calcio diventerà come la politica, con un conseguente numero, sempre crescente, di persone che si allontaneranno da un fenomeno, che giudicheranno residuale e non degno di essere vissuto con la medesima gioia e spirito di compartecipazione degli anni migliori.
Forse, il ceto dirigente italiano, dopo aver perso l’industria automobilistica, quella chimica ed, in gran parte, la manifatturiera, intende assistere all’ennesimo, fatale fallimento delle aziende italiane?
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