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Rosario Pesce
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Il dado è tratto: il Governo Renzi ha deciso di chiedere la fiducia sul provvedimento, l’Italicum, che dovrà modificare la legge elettorale vigente.
La scelta renziana ci appare discutibile sul piano politico, anche indipendentemente dalle ragioni di natura costituzionale, che avrebbero suggerito di non assumere una simile decisione su di una materia - notoriamente - di competenza parlamentare.
Infatti, il voto di fiducia viene dopo un’altra discutibilissima decisione, assunta nel corso della settimana appena passata, quando il PD sostituì, in Commissione, tutti i suoi parlamentari, che non si identificavano nell’Italicum e che avevano ipotizzato di proporre degli emendamenti.
Lo spettacolo, che sta andando in scena oggi a Montecitorio, mostra invero la debolezza di un Esecutivo, costretto a ricorrere alla fuorviante fiducia, pur di acquisire la certezza che la legge vada in porto, senza ulteriori modifiche, che imporrebbero, altrimenti, un ritorno al Senato del provvedimento in esame.
I conti, all’interno del PD, vengono quindi regolati in modo definitivo: la minoranza bersaniana e cuperliana viene ridotta ad un manipolo di deputati e senatori, che non possono non votare la fiducia all’Esecutivo, dal momento che, eventualmente, in caso contrario, essi diverrebbero comunque irrilevanti, perché, finanche senza il loro voto favorevole, il Dicastero continuerebbe a rimanere in carica, visti i numeri amplissimi, che il PD vanta a Montecitorio.
Renzi, pertanto, ricorrendo a questo stratagemma, vince la battaglia, sicuro di poter vincere - in particolare - la guerra.
Fuor di metafora, è evidente che, approvata la nuova legge elettorale, il Parlamento in carica diviene obsoleto e delegittimato, per cui si impone, quanto prima, un ricorso anticipato alle urne, per consentire agli Italiani di scegliere i parlamentari in virtù del dispositivo dell’Italicum.
Ma, sovente, si realizza quella che, in filosofia, si chiama eterogenesi dei fini, per cui un’azione, nata per produrre un effetto, ne produce un altro, ben diverso da quello sperato e previsto.
Lo strappo, prodotto all’interno del PD, infatti, è di importanza epocale, per cui, a questo punto, la minoranza, mortificata con il voto di fiducia, non può che uscire dal partito e dar vita ad una nuova formazione politica, che contribuisca alla nascita di una Sinistra diversa da quella che Renzi, troppo frettolosamente, ha vilmente rottamato.
Infatti, Civati, Bersani, Fassina, Cuperlo non hanno altra scelta che quella di uscire, immediatamente, dalla maggioranza di Governo e dal partito, che hanno contribuito, in modo decisivo, a fondare, visto che il gesto odierno di Renzi serve a colpire, proprio, i suoi avversari interni, che sono stati messi definitivamente all’angolo.
Ma, per dirla alla maniera degli antichi Romani, “cui prodest”?
A chi giova uno strappo così forte, che non può non avere conseguenze nell’immediatezza della campagna elettorale per le Regionali?
È chiaro che quanti, nei prossimi giorni, usciranno dal gruppo parlamentare del PD, non potranno non prendere le distanze dai candidati renziani nelle Regioni, dove si andrà al voto il 31 maggio, ed allora il dato elettorale di molte aree, dove il risultato appare tuttora in bilico, non può che penalizzare il PD.
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