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Rosario Pesce
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A centoventi anni dalla nascita di Eduardo De Filippo, non si può non celebrare il grande artista napoletano, che – insieme ai fratelli Peppino e Titina – è stato uno dei più grandi rappresentanti del teatro italiano ed europeo del Novecento, a tal punto che, come per Dante, anche nel suo caso basta il nome di battesimo per individuarlo.
È stato, inoltre, il grande autore che ha saputo far uscire la tradizione del teatro napoletano dal solco della commedia dell’arte (il genere di cui interprete massimo è stato il padre, Eduardo Scarpetta), traghettando il suo teatro verso i lidi della letteratura teatrale classica del Novecento: non è un caso se l’autore italiano, con cui Eduardo si è sempre confrontato, è stato Pirandello, venendo accusato in modo finanche ingiusto di pirandellismo.
Quelli che ha messo in scena sono stati, certamente, dei drammi borghesi: da quelli sul tema della famiglia – vedi Filumena Marturano, Napoli Milionaria e Natale in casa Cupiello – a quelli relativi alla tematica dell’incomunicabilità fra gli esseri umani, in particolare con Questi Fantasmi e Le voci di dentro.
Fu, a suo modo, un autore anche politico, visto che, pur non prendendo mai parte in modo esplicito nella contesa fra democristiani e comunisti e non sfidando mai il regime fascista in modo esplicito, le sue opere erano espressione di una visione progressista della società, sia quelle scritte durante il ventennio (che poterono, comunque, superare il vaglio della censura), sia quelle scritte nel Dopoguerra, che esprimono un anelito di riforma, una volontà forte di cambiamento, sia pure su base morale e non ideologica.
I suoi drammi familiari lo segnarono in maniera inequivocabile ed il suo teatro fu un’occasione per superare i lutti ed, al tempo stesso, per sublimarli in un esito artistico: la paternità di Scarpetta non riconosciuta; la morte prematura della sorella Titina, per cui erano costruite tutte le sue protagoniste femminili; la morte traumatica della figliola Luisella; i copiosi debiti affrontati per ristrutturare il San Ferdinando; la stessa vita sentimentale burrascosa, passata attraverso tre matrimoni.
Eduardo ha vissuto ottantaquattro anni, ma pare che abbia vissuto una vita lunga almeno il doppio: d’altronde, il suo viso scavato era l’immagine migliore non solo dell’inedia e del freddo vissuti in età giovanile, ma soprattutto del patos con cui ha affrontato la vita privata e quella - non meno burrascosa - sul palcoscenico.
Cosa rimane, oggi, di Eduardo?
Dopo la morte del figlio Luca, che ne è stato erede unico sia nella dimensione privata, che in quella artistica, rimane un eduardismo molto forte e di vario genere: molti autori di teatro e televisivi si misurano con le opere di Eduardo, ma è chiaro che, trovandoci di fronte ad un autore-attore, forse può continuare a vivere l’autore, ma l’attore diviene un limite irraggiungibile per chiunque abbia l’ardire di scalare una simile vetta dell’arte del Novecento.
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