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Segretario della Cei mons. Nunzio Galantino
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Rosario Pesce
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La sentenza, che ha mandato assolto, definitivamente, Berlusconi in merito al caso Ruby, non può non far pensare gli Italiani, sia quelli che hanno sempre simpatizzato con il Cavaliere, sia quelli che lo hanno avversato, sin dal primo giorno della sua discesa in campo, ormai nel lontanissimo 1994.
Infatti, i termini della questione sono evidenti: stando alla sentenza, la prostituzione sarebbe effettivamente esistita in occasione delle cene ad Arcore, ma essa non è punibile, in quanto Berlusconi non avrebbe saputo della minore età della sua presunta partner.
La sentenza, invero, farà discutere per anni, ma a noi non interessa - in tale sede - ripetere il processo, che si è concluso con il verdetto della Cassazione: ci preme, piuttosto, fare una riflessione sul rapporto fra morale e diritto e sulle conseguenze di determinati comportamenti, che si ripercuotono sulla dinamica politica di un Paese - certo - non più bigotto, come il nostro.
I fatti, consumati da Berlusconi, non costituiscono reato né per la Corte d’Appello, né per la Corte di Cassazione, ma sono - da un punto di vista strettamente etico - licenziosi e, quindi, come tali, meritevoli di una severa reprimenda da parte di chi – laico o cattolico – crede nei principi della morale, largamente, condivisa dall’intero Occidente da millenni.
Orbene, dato che Berlusconi è un personaggio pubblico, che per venti anni ha, continuamente, richiesto ed ottenuto il consenso ampio degli Italiani, divenendo protagonista di rango assoluto della vicenda politica, quale dei due profili deve prevalere nella valutazione dei fatti a lui addebitati: quello giuridico, che lo ha mandato assolto, o quello morale, che lo condanna, senza possibilità alcuna di mediazione?
Riteniamo, in verità, che una persona, che intenda rappresentare il suo Paese all’estero e che abbia ambizioni di carriera, dovrebbe avere una biografia adamantina, per cui nessun addebito, seppur minimo, deve essere possibile contro di lui, allo scopo di salvaguardare - con la sua immagine - quella della nazione, che si identifica in lui.
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