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Rosario Pesce
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È evidente che, quando si è in presenza di un fatto così tragico come l’infezione da sars, l’uomo si chiede se ha un futuro, lui ed i suoi cari, visto che le possibilità di morire sono non irrealistiche, finanche per le persone giovani e sane.
Si fa, sovente, un riepilogo della propria vita, per cui, nel caso che ci si dovesse ammalare, si intende verificare cosa si è fatto e cosa si poteva fare.
Insomma, tutti noi, di fronte al rischio cogente della morte, verifichiamo il percorso esistenziale che abbiamo compiuto e non possiamo che autoassolverci, visto che peccati gravi – certo – non ne abbiamo commessi e visto che l’uomo, per sua abitudine, è indulgente verso se stesso ed un po’ meno verso i suoi simili.
Invero, la domanda, che ci si formula quando si rimane a pensare, è la consueta “Perché proprio a me? Perché proprio alla mia generazione doveva capitare in sorte un simile flagello, da cui apparentemente non c’è via d’uscita?”
Nei secoli precedenti, le disgrazie invero non sono mancate, ma oggi sembra molto diversa da ieri la percezione del pericolo di morte, dal momento che la globalizzazione e l’uso massivo dei media ci inducono ad osservare una tragedia che non solo è la nostra, ma è quella di un mondo intero che rimane chiuso in casa per meglio difendersi da un virus, in attesa che qualche brillante ricercatore sia in grado di creare il vaccino che, da solo, è in grado di assicurare la vita.
Il nostro dolore è quello europeo, quello asiatico quello americano, per cui la somma delle sofferenze, proprie ed altrui, non può che rendere ancora più ridondante lo stato di angoscia che avverte chi aspetta di sapere se vivrà o meno dopo un simile evento luttuoso.
Ed, allora, con una ventata di ottimismo non si può non ipotizzare il futuro, qualunque esso sia, purché possa essere capace di portarci lontano da un presente che nega la dimensione della socialità all’uomo.
In quell’idea (o speranza?) di futuro non possiamo che rifugiarci, ben sapendo che la vita dell’uomo è, comunque, costernata di sofferenze non meno di gioie e piaceri, che impareremo certo a vivere con maggiore intensità e consapevolezza, se riusciremo a superare indenni lo scoglio del Covid.
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