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Rosario Pesce
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Fra pochi giorni, si celebrerà il 72esimo anniversario dell’introduzione della Costituzione repubblicana nel nostro Paese.
Certo, gli anni sono passati ma quell’organismo di norme, che il legislatore volle dopo la fine del Fascismo e le sofferenze della Seconda Guerra Mondiale, resiste ancora al tempo, nonostante i tentativi di modifica – sia quelli riusciti, sia quelli falliti – abbiano messo in dubbio la sua attualità.
Chi scrisse l’attuale Costituzione aveva di fronte a sé un obiettivo ben preciso: evitare che il Paese, dopo un ventennio di dittatura, potesse di nuovo cadere nel pericolo dell’autoritarismo, per cui la Carta fu scritta in modo tale che i poteri potessero essere bilanciati fra di loro e che fosse molto difficile promuovere qualsiasi uscita dall’ordinamento democratico, conquistato grazie al sangue dei partigiani ed al contributo indispensabile degli Alleati.
Un modello c’era: la Costituzione austriaca del Primo-Dopoguerra, ispirata da Kelsen e dal formalismo democratico della sua Scuola di pensiero filosofico.
Non è un caso se il compromesso, a cui si giunse per il suo varo, fu il frutto di un accordo che vide per protagoniste tutte le forze che avevano partecipato alla lotta contro il Fascismo: dai cattolici ai comunisti, dai socialisti ai liberali.
La Costituzione, quindi, non poteva non essere così inclusiva, come tuttora è: un esempio non solo per i Paesi che escono da regimi autoritari, ma anche per quelli che cercano un equilibrio avanzato in materia di democrazia rappresentativa.
Ma, è altrettanto ovvio che ogni organismo vivo può essere aggiornato, in base alle esigenze ed agli interessi che emergono.
Orbene, il mutamento del Titolo V, per effetto del diverso scenario politico all’indomani della caduta della cosiddetta Prima Repubblica, ha modificato gli equilibri fra le istituzioni centrali e quelli periferiche, per cui oggi la Costituzione è, comunque, sostanzialmente differente da quella che entrò in vigore il 1 gennaio 1948.
In molti hanno tentato di modificare, anche, la forma di Governo prevista dalla Carta, ma questa è rimasta inalterata, a dimostrazione del fatto che il parlamentarismo è un valore acquisito della nostra tradizione giuridica, per cui, nonostante le ondate di populismo e di antipolitica, un esito del processo riformatore della Costituzione verso una prospettiva presidenzialistica (o semi-presidenzialistica) non si è concretizzato.
Un grave errore è stato commesso in questi anni di dibattito: scellerato è stato pensare che la Costituzione potesse essere riformata a pezzi e non in modo integrale, secondo una visione unitaria del percorso di riforme.
Forse, si continuerà nella medesima direzione?
O, forse, per molti anni ancora il dibattito intorno alla Costituzione non produrrà nessun effetto concreto?
Certo è che, se l’Italia è giunta ad essere la quinta potenza mondiale, lo si deve in gran parte alla norma primaria che ha regolato - in modo significativo - la crescita di un Paese civile, qual è appunto il nostro.
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