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Rosario Pesce
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La notizia del giorno è, certamente, rappresentata dalle affermazioni di Landini, il quale, nonostante le smentite successivamente formulate, ha dichiarato alla stampa nazionale la sua volontà di scendere in politica, lasciando così il sindacato, dopo diversi anni di contrapposizione frontale con la Fiat.
Il dato, che emerge, quindi è destinato a sconvolgere il quadro della Sinistra italiana: infatti, mancando una formazione, che del contrasto sociale faccia il punto di forza della propria propaganda, Landini vorrebbe - con la sua inizativa - riempire un siffatto vuoto.
D’altronde, le cifre del voto europeo sono più che esplicite.
La Sinistra alternativa a quella del PD, nello scorso mese di maggio, raccoglieva solo il 3% dei consensi: un valore numerico invero bassissimo, se si considera che Tsipras, in Grecia, ha preso più del 30% dei voti e se si analizza il dato presunto della lista Podemos in Spagna, che è accreditata - in vista della tornata elettorale di settembre - di un livello di gradimento non dissimile da quello della greca Syriza.
È ovvio che l’eventuale discesa di Landini nell’agone parlamentare non risolverebbe, come d’incanto, tutti i problemi: per quanto la sua leadership possa essere carismatica e giustificata dalle lotte sindacali, che ha compiuto in questi anni, invero la sola presenza del sindacalista non potrà consentire alla Sinistra, nel nostro Paese, di conquistare fette di elettorato così importanti, come è successo in altre realtà continentali.
Però, è evidente che la volontà di Landini di misurarsi con l’impegno partitico costituisce la notizia più rilevante degli ultimi mesi, perché – comunque – si rilegittima un’area, altrimenti destinata ad essere sempre più residuale negli equilibri culturali della nazione.
La presenza di una Sinistra alternativa, in Italia, non solo è auspicabile, ma finanche necessaria, perché la sua nascita ed il consolidamento elettorale, che ne può conseguire in tempi brevissimi, toglierebbe consenso alle forze qualunquiste, che pure si agitano da qualche tempo.
Infatti, chi esprime dissenso verso le politiche del Governo Renzi, da domani in poi, potrà avere un’altra opzione, oltre a quelle attualmente a disposizione, che si identificano con il voto alla Lega o al M5S o, peggio ancora, con l’astensionismo.
È ineluttabile che le riforme renziane abbiano determinato una disaffezione intorno al Premier, il quale non potrà contare su un consenso ampio, come quello dello scorso mese di maggio, per cui chi, identificandosi nelle posizioni della Sinistra post-comunista, vorrà votare contro il Premier, avrà - finalmente - un interlocutore valido nel sindacalista, che dovrà mettere insieme forze, che - da troppo tempo - contano poco o nulla nello scacchiere parlamentare italiano.
Sel di Vendola, Rifondazione Comunista, la minoranza interna del PD di Civati e Fassina, a questo punto, non potranno non riconoscersi nella leadership di Landini ed, attraverso un percorso di tipo federale, creare le premesse di un nuovo partito o lista, che ambisca a conseguire il 10% dei voti.
Questo, infatti, è il dato presumibile, a cui può aspirare una nuova soggettività, che dovrà chiedere a molti nostri concittadini di dare sintesi politica al loro dissenso, onde evitare che esso si esprima attraverso l’astensionismo, che costituisce la patologia, per antonomasia, dei sistemi democratici moderni.
Peraltro, il sistema elettorale, che il Parlamento varerà nelle prossime settimane, aiuterà lo sforzo di Landini, perché, venendo disincentivate le coalizioni, è chiaro che la presentazione di una lista, che farà una battaglia meramente identitaria, non può che agevolare chi, in questo momento, non deve stipulare alleanze, ma ha l’obbligo di rappresentare un’opzione politico-culturale, che manca – ormai, da qualche tempo – sulla scheda elettorale.
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