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Rosario Pesce
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La convention, organizzata ieri da Fitto a Roma, segna inequivocabilmente l’uscita del leader pugliese da Forza Italia e, con lui, di quanti si riconoscono nelle sue legittime posizioni.
L’ex-Presidente della Puglia, sconfitto diverse volte nella sua regione da Vendola, ha messo in piedi una componente, che può contare in Parlamento su numeri importanti, visto che i deputati ed i senatori, che simpatizzano con Fitto, sono diverse decine.
Invero, la forza nelle aule parlamentari non ha avuto, ancora, un riscontro elettorale, per cui ignoriamo quale possa essere il seguito delle truppe fittiane, qualora dovessero presentarsi al vaglio dell’elettorato, correndo sotto i vessilli di una formazione diversa da Forza Italia.
Il progetto è ambizioso: rifondare il Centro-Destra, dopoché le determinazioni, assunte nell’ultimo anno da Berlusconi, hanno evidentemente indebolito il partito, sceso ormai ai minimi storici del consenso a partire dal 1994, e rimettere in piedi un’area, che possa nutrire ambizioni di governo in alternativa al renzismo dominante, a cui lo stesso Berlusconi non ha dimostrato di sapersi opporre nel modo più adeguato, forse perché costretto dagli ingenti interessi imprenditoriali, che ineluttabilmente ne hanno minato l'autonomia d’azione.
L’iniziativa del leader pugliese è - certamente - lodevole, dal momento che consente, anche, di fare un’analisi della condizione odierna del Centro-Destra, diviso ormai in quattro grandi tronconi.
Alfano, Berlusconi, Salvini e lo stesso Fitto, infatti, rappresentano spezzoni di quello che, un tempo, fu il Polo Delle Libertà e che, oggi, è diviso in correnti, che hanno difficoltà a costruire una strategia comune, che possa essere vincente nel breve periodo.
Alfano è alleato di Renzi ed, a quanto pare, riesce a condizionarne l’operato, nonostante i numeri parlamentari siano, invero, poco gratificanti per il Ministro degli Interni: con una pattuglia di pochi, ma decisivi senatori e deputati, egli ha ottenuto dei Ministeri importanti ed, inevitabilmente, ad ogni svolta moderata del Governo, egli – a torto o a ragione – può recriminare di esserne l’artefice, come ha fatto – nei giorni scorsi – con l’approvazione dei decreti delegati afferenti al Jobs Act.
Salvini, invece, insieme con la Meloni, rappresenta l’alternativa populista ed anti-europeista al progetto renziano: è, invero, il leader il cui consenso è in crescita vertiginosa da diversi mesi, ma non crediamo che, da solo o con Fratelli d’Italia, egli possa mettere in piedi una coalizione più ampia, che sia in grado di vincere le elezioni politiche, quando queste si celebreranno.
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