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La riforma della Costituzione è e deve essere un processo inclusivo, per cui nessuna forza può essere esclusa a-priori dal complesso iter legislativo, tanto più in una congiuntura storica delicata, come quella attuale, nella quale il Parlamento - nelle prossime settimane - sarà chiamato ad autorizzare l’intervento militare in Libia, mentre ancora particolarmente pericoloso è il clima, che si respira a Bruxelles, all’insegna dell’avversione contro l’Italia, considerata tuttora non in regola con gli impegni finanziari assunti con l’Unione Europea.
Pertanto, la popolarità di Renzi non può costituire l’unico carburante, sufficiente di per sé per avviare il più grande intervento di modifica della Carta, promulgata il 1 gennaio 1948. All’interno del PD, analoga osservazione è stata fatta più volte, ma il gruppo dirigente renziano pare che non abbia ascoltato, per cui, nella riunione di ieri, il Presidente del Consiglio, prendendo la parola dinnanzi ai componenti della Direzione Nazionale, ha dichiarato che mai accetterebbe diktat da parte delle opposizioni.
È, questo, un atteggiamento che, politicamente, può avere una ragion d’essere a meri fini tattici, ma certo non può fondare la strategia più ampia del Governo in materia di riforme costituzionali.
Innanzitutto, va aperto un dialogo proficuo con tutte le opposizioni, perché tale confronto deve essere strumentale per quello, ben più importante, con la pubblica opinione.
Se, infatti, gli Italiani non capiranno bene il contenuto delle riforme, che si va ad approvare, altissimo è il rischio che, poi, in sede referendaria, esse vengano, clamorosamente, bocciate.
Un’eventuale bocciatura del percorso riformatore segnerebbe la più cocente sconfitta per Renzi, tanto più se, all’approvazione della nuova Costituzione, si dovesse giungere senza il contributo essenziale della metà – quasi – dei parlamentari attuali.
Conviene al Premier, quindi, farsi nemici lungo un sentiero irto e problematico?
La risposta è, chiaramente, negativa: Renzi, ragionando da Padre della Patria e non solo da leader di una parte, deve saper rinunciare a delle pericolose fughe in avanti, che, se gli offrono maggiore visibilità, però rischiano di danneggiarlo profondamente, quando poi si andrà a fare la verifica dei risultati conseguiti a fronte di un così lungo e tormentato periodo di semina istituzionale e politica.
Noi, da parte nostra, non possiamo non confidare in Mattarella, che – come hanno dimostrato i fatti odierni – è, sicuramente, la personalità giusta per il Quirinale, perché con la sua saggezza Egli saprà correggere, in corso d’opera, gli errori dettati dal sacro furore giovanilistico del Presidente del Consiglio.
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