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Rosario Pesce
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La notizia del giorno è, certamente, rappresentata dalle dichiarazioni del Ministro dell’Economia del Governo di Alexis Tsipras, il quale, intervistato in occasione della messa in onda della trasmissione “Presa Diretta”, ha confermato un dato, che – se corrispondesse, effettivamente, al vero – sarebbe non poco preoccupante: l’Italia è prossima al default, per cui la sua condizione odierna non è molto dissimile da quella della stessa Grecia, del Portogallo e dell’Irlanda.
Invero, è irrituale che il Ministro del Dicastero greco parli della situazione italiana, visto che il bon ton istituzionale vorrebbe che ciascuno degli Stati, membri dell’UE, guardasse esclusivamente in casa propria, senza volgere lo sguardo altrove.
Tanto più, l’Italia è uno dei Paesi creditori della Grecia, per cui la decisione di Alexis Tsipras di non procedere al pagamento dei debiti, contratti dopo il 2010 dai Governi precedenti al suo, complica non poco la condizione italiana, benché fortunatamente la nostra esposizione, nei riguardi della Grecia, non sia di dimensioni notevoli, come è invece quella della Germania, che si fece carico del debito ellenico con una sovraesposizione finanziaria, che oggi giustifica - ampiamente - le preoccupazioni della Merkel.
Le dichiarazioni di Varoufakis sono state, prontamente, contraddette dal suo omologo italiano, Padoan, il quale ha smentito – in termini categorici – il contenuto dell’intervista dell’esponente dell’Esecutivo ellenico, sostenendo che il debito italiano è nei limiti e, dunque, non deve destare alcuna preoccupazione.
Se si procede ad analizzare i dati finanziari complessivi, non si può non dare ragione a Padoan, visto che il prestito, disposto nei giorni scorsi dalla BCE, costituisce un’importantissima boccata d’ossigeno per il Tesoro, sebbene le somme - erogate dalla Banca Europea - debbano poi essere restituite, dal momento che la liberale dazione di danaro si è materializzata nella forma dell’acquisto di titoli di Stato, su cui inevitabilmente gravano gli opportuni interessi.
Peraltro, si è concretizzata un’altra precondizione vantaggiosa, sia per l’economia nazionale, sia per la finanza pubblica: l’abbassamento, infatti, del prezzo del petrolio costituisce un’incentivazione significativa per il rilancio della produzione e, dunque, per l’incremento del gettito fiscale conseguente, che è una voce essenziale per la tenuta complessiva dei conti.
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