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Rosario Pesce
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Quella che si è chiusa nei giorni scorsi è stata una legislatura anomala, visto che gli eventi, che ci ha regalato, rimarranno nella storia per le novità che hanno indotto.
Sono stati cinque anni nel corso dei quali si è assistito alla elezione di due Capi di Stato, al varo di tre Governi, alla nascita di almeno due differenti maggioranze parlamentari: fatti, questi, che dimostrano ampiamente il carattere straordinario di una legislatura nella quale, invano, si è tentato perfino di innovare la Costituzione, introducendo dei cambiamenti significativi, che il popolo ha bocciato in occasione del referendum dello scorso anno.
In particolare, la figura di rilievo è stata quella di Renzi, che, una volta eletto Segretario del suo partito nel mese di dicembre del 2013, è divenuto poi il protagonista dell’intera legislatura, giungendo a Palazzo Chigi e rimanendovi per tre anni circa.
A posteriori e nella immediatezza degli eventi, diviene difficile giudicare l’operato di molti autorevoli rappresentanti ed, in particolare, la dinamica di eventi, che sono di difficile lettura, finanche, per chi fa questo di mestiere.
È evidente che il tentativo renziano di imprimere un cambiamento alla politica italiana sia fallito nella misura in cui il suo disegno di riforma della Costituzione non è stato condiviso dal popolo sovrano, che lo ha bocciato in occasione del voto, appunto, del 4 dicembre 2016.
Ma, la legislatura appena finita non può essere ricordata solo per il fallimento della riforma costituzionale. Va dato atto a Renzi che ha tentato di imprimere una svolta, anche, sui temi della bioetica: la legge, in particolare, sul testamento biologico rappresenta un piccolo passo in avanti in un Paese, che ha sempre visto con diffidenza le innovazioni nel campo dell’etica.
Peraltro, l’instabilità, cui il Paese è andato incontro, dimostra bene come il terremoto politico impresso dalla svolta renziana ha determinato effetti negativi, in primis, per lo stesso Renzi, che è rimasto vittima dei cambiamenti che, pure, ha tentato di compulsare.
È ovvio che non si può individuare, comunque, in una sola figura, pur autorevole, le ragioni dei successi e dei fallimenti di un ciclo politico, che è nato nel febbraio del 2013, quando per pochi voti i Grillini non sono stati capaci di mettere a segno il risultato elettorale più imprevisto che la storia avrebbe conosciuto.
Tuttora, non si sa in quale direzione andrà la nuova legislatura, quella che dovrà cioè realizzare ciò che non è stato fatto nel corso di quella appena conclusa: dall’approvazione dello Ius Soli alla riforma autenticamente progressiva del dettato costituzionale, volta a ricostruire le ragioni del dialogo fra il popolo e le istituzioni, anche allo scopo di ratificare un nuovo patto fra eletti ed elettori.
D’altronde, se Renzi ha perso la sua sfida, altri pure dovranno portare avanti, con diversi mezzi ed in forme innovative, un tentativo di innovazione delle nostre istituzioni, non ripetendo gli errori commessi da chi, forse, ha perso - ad un certo punto - il legame più vero con la pubblica opinione del suo Paese.
Le elezioni del prossimo 4 marzo ci diranno chi sarà investito di tale compito: forse, ancora Renzi?
O Di Maio?
O Berlusconi?
O un diverso esponente del PD?
Certo è che le riforme andranno fatte: non è più solo una questione di mera opportunità, ma è un obbligo morale degli eletti futuri verso gli elettori e verso coloro che, invece, decideranno di non recarsi alle urne.
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