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Rosario Pesce
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La legge elettorale, che verrà varata nelle prossime settimane per la gioia del Premier, che si è speso con energie leonine per condurre in porto l’Italicum, prevede un premio di maggioranza molto ampio in favore della lista – e non della coalizione – che dovesse raggiungere o superare il 40% dei voti al primo turno, per cui essa verrebbe a trovarsi con il 55% dei futuri deputati, visto che l’impianto complessivo del nuovo meccanismo di voto presuppone che il Senato sia non più elettivo.
È evidente che un premio così largo non può non falsare, poi, la successiva dinamica parlamentare, perché inevitabilmente il partito, che dovesse conseguirlo, non avrebbe bisogno di alleati per governare il Paese ed, in particolar modo, il suo leader - che sarebbe, già prima del voto, il Premier in pectore - potrebbe aspirare ad avere prerogative, quasi, di tipo monocratico su una Camera - peraltro - ridotta alla dimensione di un’Assemblea, per lo più, composta di nominati e non di eletti, dal momento che non è stato superato il vizio della precedente legge, che prevedeva le liste bloccate.
Noi sappiamo bene come quella elettorale sia una legge ordinaria, per cui può essere emanata, purché non violi il dettato della Costituzione vigente.
Appare, invece, che le lesioni dell’odierno diritto costituzionale, apportate dall’Italicum, siano diverse: innanzitutto, altera in modo marcato il rapporto fra il potere legislativo ed il potere esecutivo, visto che, in virtù del corposo premio di maggioranza, il dispositivo di voto diventa uno strumento surrettizio attraverso cui il vertice del Governo, di fatto, viene eletto direttamente dai cittadini, in palese contraddizione con il nostro modello di Repubblica parlamentare, che invece prevede che i cittadini debbano votare per una forza politica, salvo poi demandare alla libera dinamica delle formazioni presenti nelle Camere il varo di un Dicastero e la nomina conseguente di chi deve presiederlo.
Peraltro, appare evidente, anche, un altro limite dell’Italicum: una parte dei deputati, la maggioranza, sarà nominata, mentre l’altra verrà eletta con il meccanismo delle due preferenze di genere.
Orbene, forse pure in assenza di un’eccezione di incostituzionalità, sembra poco opportuno creare una discrasia così netta fra onorevoli, che dovranno – sempre e comunque – obbedire agli ordini di scuderia, dato che la loro presenza a Montecitorio si deve al principio di nomina, mentre gli altri – quelli che sono stati eletti, andando a chiedere il voto ad ogni elettore del loro collegio – avranno maggiore autonomia, visto che essi non devono essere grati a nessuno, se non ai cittadini, che li hanno onorati del loro consenso.
Si viene, quindi, a creare una differenza fra un ceto politico di serie A ed uno di serie B, perché, naturalmente, gli sforzi richiesti dalla campagna elettorale non sarebbero i medesimi per quanti hanno la possibilità di accedere, direttamente, all’Aula di Montecitorio e coloro che, invece, devono sudarsi l’elezione.
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