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Rosario Pesce
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È evidente che, nel mondo dello sport, l’Italia in questo momento abbia degli attori “minori”.
Il grave insuccesso della Nazionale di calcio, nella partita contro la Spagna, dimostra ampiamente come il Mondiale, vinto in Germania nel 2006, sarà destinato a rimanere l’ultimo, ancora, per moltissimi anni, visto che i nuovi atleti non sono, invero, all’altezza dei campioni che abbiamo avuto in passato.
Ma, non solo nel calcio siamo in difficoltà rispetto alle altre nazioni europee.
Finanche, negli sport individuali, dove non è necessario allestire un intero team, i talenti scarseggiano.
Nel motociclismo, nell’automobilismo, nel tennis, ormai, mancano autentici campioni da decenni ed il nostro sport si fonda, ancora, su talenti del recente passato che continuano l’attività agonistica, come nel caso di Valentino Rossi.
Perché, allora, non si verifica il necessario ricambio generazionale?
Perché i talenti dell’ultimo ventennio sono rimasti ibernati e, dopo di loro, non c’è stato null’altro?
Molto probabilmente, esiste un ritardo nell’organizzazione, per cui, come nel calcio, pur standoci dei talenti, mancano molto spesso le necessarie strutture nelle quali questi possono crescere e divenire dei campioni maturi.
Gli ultimi grandi calciatori italiani, da Baggio a Del Piero, da Zola a Pirlo, sembrano oggi degli autentici miraggi: certo, non si intravedono nuovi campioni che, nell’immaginario della nazione intera, possano sostituire questi ex-atleti.
È ovvio che una simile condizione non solo svilisce l’immagine internazionale del nostro sport, ma evidenzia una crisi di sistema, che deve essere risolta a breve, se non si vuole che, finanche, i Paesi dell’Est possano sopravanzarci ed acquisire un peso maggiore del nostro a livello continentale ed internazionale.
D’altronde, in economia non accade una cosa analoga?
Il nostro sistema produttivo è fermo, nonostante i proclami del Governo, ed a breve rischieremo di essere superati da economie che, fino a poco tempo fa, erano molto più deboli della nostra.
Cosa fare?
Rassegnarsi ad un ruolo da comprimario o tentare il salto di qualità?
È ovvio che, proseguendo su questa strada, saremo nelle retrovie dell’Europa e del mondo.
Forse, dopo i fasti del Medioevo, dell’epoca moderna e di una parte del XX secolo, saremo condannati ad essere il Secondo o il Terzo Mondo in tutti (o quasi) gli ambiti della vita civile?
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