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Rosario Pesce
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L’evento delle ultime due giornate di calcio è, certamente, rappresentato dall’introduzione della Var, cioè di quel dispositivo tecnologico, che consente agli arbitri di rivedere le azioni più importanti di una partita, su segnalazione di un loro collega, ed eventualmente di cambiare una decisione già assunta su fatti salienti, quali possono essere la concessione di un rigore o la decretazione di un’espulsione.
Si può ben immaginare la portata del cambiamento: prima, la gestione arbitrale della partita era affidata esclusivamente all’arbitro, per cui, in caso di errore umano, era ineluttabile che il match prendesse una piega diversa da quella odierna, vista la presenza di un mezzo tecnologico che integra l’operato dell’arbitro e gli consente di emendare una decisione, altrimenti, destinata a rimanere sbagliata.
È ovvio che i nemici della Var non mancano, nonostante il salto di qualità che essa consente di fare in termini di trasparenza dell’arbitrato.
C’è chi dice che rallenta i tempi di gioco; chi dice che l’errore, comunque, è sempre possibile, anche perché l’occhio del pc può non vedere fatti che si svolgono a velocità rilevanti, così come accade all’occhio umano; c’è chi dice che delegittima gli arbitri, perché, sulle scelte salienti della partita, di fatto li espropria della potestà decisionale, in favore di un occhio elettronico, che si sostituisce per intero a quello dell’uomo.
Ma, nonostante queste obiezioni, non possiamo non sottolineare i passi in avanti che essa determina.
In Italia – ma, in alcuni Paesi europei la situazione non è dissimile – gli arbitri sono stati delegittimati dagli scandali, che hanno fatto emergere casi di corruzione, ormai, conclamati: la vicenda di Calciopoli è l’episodio più eclatante nel nostro Paese, che colpì (quasi) l’intera classe arbitrale nel lontano 2006, determinando conseguenze rilevantissime, da un punto di vista disciplinare, sia per le società, che per gli arbitri coinvolti nelle indagini della Procura della Repubblica di Napoli e della Procura Federale.
Non è un caso se, in questi anni, ad ogni errore arbitrale in favore di una società potente del calcio italiano, i tifosi delle squadre avverse hanno sempre invocato lo spettro di Calciopoli, al fine di convincere loro stessi e gli altri che la cattiva pianta della corruzione non era stata sradicata del tutto dal nostro calcio.
E non si può, invero, dimenticare che, dopo Calciopoli, molti tifosi si sono allontanati dal fenomeno calcistico, ritenendo che esso fosse inquinato da dinamiche che, poco o nulla, hanno a che fare con lo sport e con i principi sani, che dovrebbero informare la pratica sportiva, sia a fini ludici, che professionistici.
La Var, quindi, anche se non elimina del tutto la possibilità dell’errore dalla decisione arbitrale, dà nuova legittimazione alle decisioni, che assume l’uomo vestito di nero, che ha il compito di dirigere ventidue uomini in mezzo al campo.
Per questo motivo, riteniamo che essa sia un passo in avanti nella storia del nostro calcio.
Certo, alcune cose vanno cambiate: ad esempio, si può operare affinché i tempi di intervento siano più celeri, per evitare che le due frazioni di gioco non si protraggano troppo a lungo, ma il principio di fondo del meccanismo della Var è pregevole e va difeso contro chi vorrebbe tornare al recente passato.
D’altronde, se ai tifosi piace assistere alla moviola dopo la partita, perché l’arbitro non la può usare, durante la partita, per tentare - in buona fede - di sbagliare meno?
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