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Rosario Pesce
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Il caso giudiziario scoppiato in Emilia, che vede per protagonisti entrambi i candidati alla Presidenza della Regione, Bonaccini e Richetti, i quali avrebbero dovuto sfidarsi nelle prossime primarie di ottobre, pone in evidenza un problema molto avvertito all’interno del PD: quello della formazione delle classi dirigenti nei territori.
Infatti, con il passo indietro, fatto da Richetti, e con quello che, probabilmente, potrebbe essere indotto a fare Bonaccini, il partito, che ha egemonizzato per settant’anni circa le sorti della regione più rossa d’Italia, si trova in forte ritardo nell’individuare il successore di Vasco Errani, a sua volta costretto a dimettersi dalla carica di Governatore a seguito di una condanna, non definitiva, per falso ideologico.
È ipotizzabile che, in un quadro simile, possa essere richiesto ad una personalità di specchiata moralità, come Graziano Delrio, di rinunciare al suo incarico governativo romano per essere investito della candidatura in Emilia, sottraendo così il PD ad un imbarazzo tanto evidente, quanto dannoso: è ovvio che, se l’indecisione non verrà risolta nel giro di pochi giorni, il perdurare di un contenzioso di tale importanza non solo può creare nocumento al partito a livello regionale, ma può danneggiare l’immagine del PD, anche, agli occhi della pubblica opinione non emiliana, che potrebbe tornare a nutrire – a torto – sentimenti diffusi ed autentici di avversione ed ostilità alla casta.
Il problema, però, della formazione della classe dirigente locale non è solo emiliano: infatti, in molte altre regioni, dove si voterà nella prossima primavera, tuttora il partito non ha individuato i candidati, che sfideranno gli avversari del Centro-Destra, perchè nessuno di quelli, che si sono proposti, sono destinatari di un consenso così ampio da rendere pleonastico il ricorso alle elezioni primarie.
Il caso campano, a tal proposito, è paradigmatico: in quella regione, come in altre, è molto alto il rischio che il candidato venga individuato a livello romano; passando, dunque, attraverso il vaglio successivo di un’elezione primaria di mera ratifica, il suo nome sarà proposto, poi, all’attenzione dell’elettore per la formalizzazione del dato politico.
In tale dinamica è presente un vulnus importante: l’ascesa di Renzi alla Segreteria Nazionale, nello scorso mese di dicembre, finora non ha determinato un’effettiva ricaduta sui territori, dove la classe dirigente è sostanzialmente, ancora, quella preesistente al trionfo renziano; d’altronde, il dato anagrafico di Sindaci, Presidenti di Provincia e parlamentari dimostra bene come la generazione dei quarantenni sia, tuttora, poco presente nei quadri dirigenti.
Pertanto, lo svecchiamento, che avrebbe dovuto essere la condizione preliminare del successo renziano, rischia di essere un dato che si costruisce solo “ex-post”, con conseguenze imprevedibili.
Infatti, si sovrappongono due spezzoni di classe dirigente, che sono incoerenti fra loro, dal momento che ciascuno di essi presenta un limite rilevante: per un verso, gli anziani hanno scarso appeal per il dato meramente anagrafico e perché, in passato, hanno subito sonore sconfitte, per cui la loro eventuale riproposizione sarebbe il segno tangibile di una debolezza di fondo; i giovani, invece, non avendo la visibilità mediatica, di cui ha goduto Renzi, quando ha scalato la Segreteria Nazionale, rischiano di ambire ad una leadership ancora gracile, per cui al primo incidente di percorso - come può essere un avviso di garanzia - inevitabilmente sono fuori gioco - forse in modo definitivo - come si è verificato in Emilia.
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