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Rosario Pesce
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È evidente che la vicenda quirinalizia possa riservare qualche sorpresa, anche facilmente prevedibile.
Renzi, infatti, ha iniziato il tour di incontri con le altre delegazioni dei partiti presenti in Parlamento, allo scopo di giungere all’indicazione di un nome condiviso, almeno per la quarta votazione, quando sarà necessario il quorum della maggioranza semplice per eleggere il Capo dello Stato.
Orbene, egli ha ricevuto un “niet” esplicito dalla delegazione di Alfano e Casini, che ha espressamente fatto riferimento all'opportunità che il successore di Napolitano abbia un curriculum istituzionale di buon rilievo, escludendo dunque, a-priori, i Ministri del Governo in carica, che sono tutti al primo incarico di un certo prestigio, ad eccezione di Gentiloni, che - comunque - neanche rientra nel prototipo disegnato dall’area centrista.
Pertanto, il Premier ha subìto il primo dissenso circa l’indicazione, che sta per fare: voci di dentro, non smentite, hanno esplicitamente indicato in Delrio il nominativo, che è a cuore al Presidente del Consiglio, visto che il profilo del Sottosegretario di Palazzo Chigi è esaustivo per chi, stando a capo dell'Esecutivo, non intende avere intralci dal futuro inquilino del Quirinale.
Quindi, esclusa in partenza l’opzione di un tecnico, quale poteva essere il Ministro del Tesoro, è ovvio che Renzi debba virare su una personalità importante, che sia stata magari a capo o del Governo o del PD negli anni della Seconda Repubblica.
I nomi, a questo punto, iniziano a restringersi sensibilmente in numero, visto che, fra gli ex-Segretari dei DS, potrebbero essere presi in considerazione Fassino o Veltroni, mentre, fra gli ex-Premier, Monti e Prodi, dal momento che riteniamo fuori gioco D’Alema, che invero non ha i favori dell’attuale leader democratico.
In tale rosa, però, le spine sono maggiori dei petali: infatti, gli ex-comunisti Fassino e Veltroni non sono ben visti dall’intero partito, in primis da chi ha condiviso, con loro, il comune percorso nell’ex-PCI, mentre Monti e Prodi appaiono personalità fin troppo autonome, che in verità non si limiterebbero mai a fare gli scendiletto del Premier o, peggio ancora, mai sarebbero passivamente prodighi agli interessi di Mediaset, la cui tutela verrebbe imposta loro da Berlusconi, qualora il Cavaliere ne fosse – finanche, solo per mera eventualità – lo sponsor dell’elezione.
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