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Rosario Pesce
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Quella di ieri sera è stata, per davvero, una brutta partita.
La Juve non ha vinto il trofeo calcistico più importante, la Coppa Campioni, ma soprattutto ha dimostrato una netta inferiorità tecnica rispetto ai suoi avversari spagnoli del Real Madrid.
È evidente viepiù che, quindi, il calcio italiano debba fare un salto di qualità rilevante, se vuole finalmente tornare a vincere trofei internazionali, che, nei decenni scorsi, arricchivano il carnet delle nostre società.
Invece, la distanza fra i nostri club e quelli più blasonati è netta: i campioni, che le squadre spagnole e quelle inglesi possono esibire, non potranno mai giocare in Italia, visti i loro altissimi stipendi, che – ad oggi – non possono essere pagati dai nostri sodalizi.
Un tempo, Maradona e Platini giocavano in Italia; oggi, Messi e Ronaldo giocano per i colori delle squadre iberiche e sono, per queste, i principali responsabili dei loro successi.
Cosa fare, allora, per riportare in Italia i grandissimi campioni, che invece preferiscono altri lidi?
È ovvio che il nostro calcio deve divenire concorrenziale: cosa che non è, a causa dei profitti, ancora, limitati che esso produce rispetto al soccer spagnolo o a quello anglosassone.
Stadi di proprietà, merchandising, diritti televisivi, sono tutte voci di bilancio che devono crescere notevolmente, se si vuole che il campione di turno venga a calpestare l’erba dei nostri campi da gioco.
La Juventus è, senza dubbio, la società italiana più avanzata, ma i suoi risultati ancora non sono sufficienti, perché venga colmato il gap, economico e tecnico, rispetto alle società europee che sono in grado di fatturare più del doppio di ciò che fattura il club degli Agnelli.
La riforma dei campionati potrebbe essere, invero, un ottimo viatico per far crescere il nostro calcio: forse, qualche squadra in meno nella nostra Serie A e qualcuna in più in Coppa Campioni potrebbe garantire proventi maggiori, che sono la precondizione di qualsiasi possibile successo sportivo.
Frattanto, in attesa che tali riforme vengano implementate, è opportuno che il calcio italiano si autoriformi, anche per taluni aspetti relativi alla governance interna, perché è chiaro che la principale azienda del nostro Paese non può essere gestita, ancora, con i criteri di venti anni fa, quando la dimensione sportiva e spettacolare prevaleva su quella finanziaria e produttiva.
Solo per tal via, la Champions potrà tornare ad abbellire le sedi sociali dei nostri sodalizi e noi Italiani potremmo essere felici di aver riacquisito un primato europeo, che abbiamo perso subito dopo Calciopoli e che non abbiamo mai più riconquistato, per davvero.
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