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Rosario Pesce
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Il rapporto Ocse del 2014 fornisce un’esatta fotografia della condizione dell’istruzione nel nostro Paese, che purtroppo non è molto dissimile da quella degli anni precedenti.
L’Italia è, infatti, ancora in forte ritardo rispetto alle nazioni più sviluppate, perché molti indicatori continuano ad essere deficitari: innanzitutto, è altissima la percentuale dei cosiddetti N.E.E.T., cioè di coloro che non sono impegnati in percorsi né di istruzione, né di formazione/lavoro.
Non è un caso se le nostre scuole producono un numero inferiore di diplomati rispetto a quelle dei Paesi più avanzati, così come, dall’indagine del 2014, trova conferma un dato tipico della tradizione italiana: la cultura scientifico-matematica incontra difficoltà notevoli nello svilupparsi, per cui, in particolar modo, le facoltà universitarie del settore tecnologico danno meno laureati rispetto al fabbisogno nazionale, anche se la qualità degli stessi è molto buona, visto che poi moltissimi di loro, emigrando, riescono a conseguire importanti riconoscimenti professionali, anche in ambiente accademico.
Un altro dato preoccupante è rappresentato dagli investimenti statali in materia di istruzione: infatti, nel corso del primo decennio del nuovo secolo, lo Stato ha tagliato in modo rilevante la spesa per Scuola ed Università, procedendo in controtendenza rispetto alle altre nazioni sviluppate che, negli anni della crisi economico-finanziaria, dal 2007 in poi, hanno investito in ricerca allo scopo di attraversare - con il minor numero di danni possibili - la contingenza storica non favorevole.
Un sol dato premia l’Italia, ma questo elemento va preso in considerazione ed approfondito: nel nostro Paese, risulterebbero impiegati un maggior numero di docenti rispetto alla media occidentale.
Bisogna tener conto, però, del fatto che, da noi, esiste un sistema di integrazione della disabilità molto importante e significativo, per cui è rilevante, in termini statistici, la figura del docente di sostegno, assente invece in altre realtà – come, ad esempio, in Francia – dove, non essendo in vigore la medesima legislazione italiana, non è previsto il regime delle compresenze ed il rapporto fra docenti ed alunni diviene, inevitabilmente, più basso.
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