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Rosario Pesce
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Uno dei fenomeni più importanti della società italiana è, invero, il calcio, visto che milioni sono gli individui che, ogni domenica o ogni mercoledì, assistono alla partita del campionato nazionale o dei tornei europei.
Il giro di danaro, che ruota intorno ad un fenomeno simile, è enorme, per cui si può dire, senza timore di smentita, che fra le varie tipologie di aziende, legate all’intrattenimento, certo quella calcistica è in grado, oggi, di produrre i maggiori utili in favore degli imprenditori, che investono le proprie energie in tale ambito produttivo.
Pertanto, diviene essenziale la credibilità di un fenomeno così vasto e diffuso, che è in grado di calamitare interessi di ogni tipo.
Perché sia credibile, è evidente che non deve esserci alcun dubbio in merito alla regolarità delle partite, per cui tutti devono essere convinti che gli errori arbitrali, in grado di orientare gli esiti di un campionato, sono eventualmente legati a fatti di natura colposa e non dolosa.
Purtroppo, visti i precedenti di qualche anno fa, una simile convinzione non esiste, per cui, quando un arbitro, finanche in palese buona fede, assegna un rigore inesistente in favore di questa o di quella squadra, gli Italiani sono pronti - immediatamente - ad ipotizzare che ci sia un’occulta regia, capace di orientare il risultato finale della partita o, addirittura, di un’intera competizione, che dura nove mesi.
È ovvio che un simile atteggiamento non fa, per nulla, bene al calcio, perché, di conseguenza, non può che verificarsi che migliaia di spettatori o di tifosi, non credendo più nella correttezza delle procedure, si allontanano sempre più da un fenomeno, come appunto quello calcistico, che comunque rimane di interesse sociale amplissimo, come abbiamo già sottolineato.
Cosa fare, allora, per restituire credibilità ad un evento, come quello pallonaro, che è pur sempre una delle prime aziende del nostro Paese?
Bisogna, forse, costruire un sistema diverso di governance, che restituisca, anche, alle piccole società fette di sovranità, che sono loro tolte, ineluttabilmente, dai sodalizi più forti e blasonati?
Certo è che il calcio è la cartina di tornasole del nostro Paese, per cui qualsiasi eventuale fattore di critica, che si avanza contro il calcio, non può non essere esteso a qualsiasi altro comparto della vita civile e produttiva.
Peraltro, finanche il calcio europeo, che era stato lontano dalle critiche e dai sospetti, è oggi al centro di molte polemiche, dal momento che, come avviene sui campi italiani, pure su quelli continentali si inizia ad ipotizzare che questa o quella partita possa essere orientata verso un risultato piuttosto che verso un altro.
D’altronde, l’esplosione delle scommesse ha fatto sì che gli interessi economici divenissero ridondanti, per cui, a maggior ragione, si diffonde il dubbio che la grande criminalità organizzata possa avere interesse a determinare a tavolino i risultati, per non perdere ingenti somme di danaro nel mercato legale – ed in quello illegale – delle scommesse.
Per tutte queste ragioni, forse un intervento catartico ad opera degli operatori calcistici, nazionali ed internazionali, non solo è opportuno, ma auspicabile: altrimenti, per davvero, rischia di morire una delle passioni più autentiche degli Italiani di ogni età e ceto sociale.
Ma, saremo capaci di rinnovare le istituzioni del calcio, visto che, in questi anni, ogni intervento riformatore, per quanto ispirato da nobili principi, ha sovente determinato effetti ben diversi da quelli ipotizzati?
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