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Statua bronzea di Pertini a Nereto (TE) – dal sito:http://it.wikipedia.org/wiki/Sandro_Pertini
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Con i suoi collaboratori il rapporto fu sempre di intensità straordinaria: d’altronde, egli non esitò a licenziare Ghirelli dal ruolo di Capo Ufficio Stampa della Presidenza della Repubblica, quando, nel corso di un viaggio all’estero, egli colpevolmente fece trapelare una notizia, riguardante il Governo Cossiga, allora in carica, che avrebbe dovuto rimanere segreta fino a quando Pertini non fosse tornato in Italia.
Quanto al suo rapporto con Maccanico, non si può non ipotizzare che fu altrettanto originale e vivace, visto che il Presidente, per quanto novizio del Quirinale, all’atto dell'elezione, contrariamente al suo Segretario Generale, certo aveva la personalità giusta per non essere eterodiretto da chi, pure, poteva contare, in suo favore, di una maggiore familiarità con il protocollo presidenziale e con gli effettivi centri di potere dello Stato italiano.
Infine, originalissimo fu il rapporto con Bettino Craxi, dapprima Segretario del suo partito, quando egli venne eletto nel 1978 al Quirinale, e poi primo Presidente del Consiglio socialista nel 1983, da lui stesso nominato.
Pertini contestò alcuni passaggi della Segreteria Craxi nel biennio 1976-1978, prima dell’elezione quirinalizia, ma poi, con grandissimo stile, egli non prese la tessera del PSI, quando – divenuto Capo di Stato – doveva rappresentare non più una forza, ma l’intero arco costituzionale dei partiti, che lo avevano voluto a capo delle istituzioni repubblicane, nel momento più delicato della storia della Prima Repubblica, quando il terrorismo insanguinò le piazze e, direttamente, colpì la politica con il sequestro, prima, e l’omicidio, poi, di Aldo Moro, allora Presidente della Democrazia Cristiana, destinato ad essere il successore di Pertini, nel 1985, se dal covo brigatista fosse uscito vivo.
Sulla questione Moro, ci fu lo scontro più forte e stridente con Craxi: da una parte, il Premier era a favore della trattativa con le BR, in quanto sapeva bene che il mandante di quell’atto vile si trovava fuori dall’Italia e, dunque, andava stanato attraverso una fase di dialogo serio e costruttivo; invece, Pertini fu un assertore della linea della fermezza, per cui, dall’alto della sua moralità – sia pubblica, che privata – molto pronunciata, egli riteneva che con folli assassini non fosse né possibile, né lecito impostare alcuna trattativa, che potesse essere utile per il riconoscimento del loro ruolo e della loro battaglia, fortemente intrisa di ottusa ed insana ideologia.
Forse, a distanza di oltre trent’anni da quegli eventi, possiamo affermare che, almeno su quel punto, avesse ragione Craxi e non Pertini, visto che l’omicidio Moro non solo ha determinato la fine anticipata della Prima Repubblica, ma ha creato un caos istituzionale, di cui, tuttora, avvertiamo gli effetti assai nefasti, dato che l’uccisione dello statista democristiano segnò il punto più basso della popolarità della classe dirigente dell’epoca, che aveva lasciato marcire Moro nella prigione brigatista.
Il rapporto, infatti, fra il Paese reale ed i vari Andreotti, Cossiga, Fanfani, Zaccagnini, da quel momento in poi, non fu più come prima, perché gli Italiani, anche se non ne avevano le prove, che forse mai emergeranno del tutto, avevano ben capito che il sacrificio del Presidente della Democrazia Cristiana serviva per consumare un bagno catartico, utile però a chi rimaneva in vita e non, certamente, a chi era costretto a perdere la vita in un modo tragico, sia per sé, sia per i suoi familiari.
Fra una settimana, circa, sarà eletto il successore di Napolitano: milioni sono gli Italiani che sperano di poter vedere al Quirinale un nuovo Pertini, assertore di un modello di moralità tanto trasparente, quanto amato dalla pubblica opinione, visto che - dopo la sua scomparsa - la qualità, intellettuale ed etica, della classe politica italiana è andata scemando, raggiungendo forse – oggi – il suo limite più basso, visto che neanche Tangentopoli è servita ad eliminare quei vizi, che minano profondamente la relazione fra il ceto politico ed i cittadini, i quali sono sempre più sfiduciati e lontani dalle istituzioni, che giudicano con diffidenza e non con l’amore, che – invece – dovrebbe esistere, in una moderna ed avanzata democrazia liberale, fra i gruppi dirigenti e le classi dirette, fra l’élite ed il popolo.
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