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Perché, in Italia, diversamente che in altri grandi Paesi europei e non, non si riesce a creare una vera cultura diffusa, popolare ma di qualità, della musica (tranne, è chiaro, quanto riguarda la musica leggera: con tutte le ambiguità, peraltro, che questo temine contiene)?
Oppure ciò avviene solo in alcune zone del Paese (da Milano all’Emilia, a Firenze col suo “Maggio”) dove le antiche tradizioni musicali son rimaste radicate nella società, anche per l’eredità di grandi maestri (Verdi, Puccini, Rossini, ecc…), o la presenza di teatri di fama mondiale (Scala, Regio di Parma, ecc…)?
Direi che le cause sono molteplici: ma predomina il fatto che, in Italia, da molti decenni quasi non esiste una politica statale per la musica di qualità (come del resto, fatte salve le differenze tra i singoli settori, per l’arte e la cultura in genere). Accanto a limitati fondi statali ci sono, certo, finanziamenti soprattutto di enti locali e fondazioni private (che, non dimentichiamo, risultano molto importanti proprio per quelle aree del Paese, citate prima, che rappresentano un po’ le “isole felici” della musica operistica e sinfonica). Ma restano, purtroppo, delle eccezioni. Nell’ultimo ventennio con la politica sistematica dei tagli alla spesa pubblica, la situazione è ulteriormente peggiorata. La cultura in genere, oggi, in Italia è sottovalutata, per non dire proprio svalutata: mentre rappresenterebbe uno dei punti di forza del nostro Paese, anche come formidabile volano economico e di crescita occupazionale.
Le conseguenze a catena di questa "politica dei tagli" – nei campi economico, occupazionale, professionale, turistico, di rapporti con l’estero, ecc..- le conosciamo bene. Non è, del resto, un'anomalia solo italiana, e solo di tempi recenti? Parliamo soprattutto dei Paesi europei, tutti variamente contraddistinti, sin dall'800, da una politica interventista dello Stato in campo socio-economico, lasciando fuori dal discorso gli USA, dove, invece., la cultura sin dall'inizio è stata finanziata soprattutto dai privati?
Penso che è dovere di tutte le forze che credono nella cultura - musicale, artistica, letteraria - e nell’informazione (non solo gli “addetti ai lavori”, ma anche artisti, scrittori, intellettuali, giovani, troppo trascurati dalle politiche occupazionali - e non solo - di questo Paese, amanti della cultura in genere), scendere finalmente in piazza per un drastico cambio di politica in tutti questi campi. Altrimenti l'Italia, già culla del Rinascimento, nonostante le sue gloriose tradizioni culturali, è destinata irreparabilmente al declino. Ma aggiungo che è anche questione di fantasia, di inventiva, di farsi venire, per la cultura, idee nuove, ma non viziate (come spesso accade, da noi, sin dagli anni ’60) dall’ideologia: guardando all’esempio anche degli altri Paesi, come Francia, Germania, Inghilterra ed anche (fatte salve, è chiaro, le forti differenze culturali e politiche pubbliche) gli USA.
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