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Fabrizio Federici
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Ho appreso, purtroppo tardivamente, della morte – varie settimane fa, negli USA, dove risiedeva stabilmente da anni – di Balfour Zapler, giornalista, intellettuale a tutto tondo, già direttore, dal 2003 al 2006, di “Shalom”, mensile della comunità ebraica di Roma. Ho perso, prima ancora che un validissimo collega, un carissimo, fraterno amico, quasi un padre: che, negli anni in cui diresse “Shalom” (cui da diverso tempo collaboro) e in seguito, m’è stato sempre affettuosamente vicino, spesso aiutandomi nella vita di tutti i giorni e dandomi sempre consigli validissimi. Dietro un carattere e dei modi di fare apparentemente burberi, Balfour celava (ma tutti lo sapevano, conoscendolo da anni) un cuore d’oro, uno spirito sempre pronto alla comprensione, alla solidarietà umana, all’ empatia col vicino, spinta spesso alla condivisione dei suoi problemi.
Nato a Bari nel 1930, ebreo italiano di formazione e mentalità laica, Balfour (così chiamato, dai genitori, evidentemente in omaggio a quel ministro degli esteri britannico, Arthur Balfour, che esattamente cento anni fa, nel 1917, aveva rilasciato quella storica Dichiarazione del Foreign Office che ufficialmente riconosceva i diritti degli ebrei a ricreare un “focolare nazionale” in Palestina, senza per questo calpestare i diritti degli arabi palestinesi), aveva studiato discipline diverse, frutto di più interessi (medicina, regia cinematografica, comunicazioni di massa), laureandosi poi in Scienze politiche. Reporter da campo durante varie rivoluzioni nell’area dei Caraibi, fu tra i pochi a intervistare Fidel Castro, ancora combattente nella Sierra Maestra; fu inviato speciale di settimanali brasiliani in Europa, Medio ed Estremo Oriente e in Africa; aveva diretto (o collaborato a) varie riviste, quotidiani e programmi radiofonici in lingua inglese, spagnola, portoghese e italiana in Venezuela e Brasile. È stato tra i fondatori della “Dante Alighieri” ad Haifa, Comandante dell’ Unità di collegamento con la stampa estera del portavoce dell’ esercito israeliano e, nel 1982, consigliere personale per i media dell’ allora Ministro della difesa Ytzhak Rabin (poi tragicamente assassinato, nel novembre 1995, a Tel Aviv, da un ebreo nazionalista fanatico). Alla crescita di “Shalom”, Zapler aveva dato un grande contributo, dandogli un taglio più moderno e trasfornandolo – anche con l’introduzione della storia di copertina – in un vero e proprio magazine.
Da Balfour ho imparato molto, come giornalista, sia nella collaborazione a “Shalom” che nella realizzazione di “Genesi”, rivista (di cui fui coordinatore editoriale, sempre con lui Direttore) centrata sul dialogo interreligioso e interculturale tra Nord e Sud del mondo, scritta in più lingue (italiano, inglese, ebraico, arabo). Un esperimento che ci arricchì molto, arenatosi purtroppo troppo presto, dopo soli due anni di pubblicazione. Con me, giovane collaboratore, Balfour non aveva mai fatto pesare la sua grande statura professionale: parlandomi spesso, anzi, in grande amicizia, dei suoi problemi di salute e familiari, e della carica di gioventù e di speranza che gli aveva dato diventare nuovamente padre, a settantasette anni, d’ uno splendido bambino. E raccontava di quando, a soli diciott’anni, aveva partecipato alla difesa di Gerusalemme, nella Guerra d’indipendenza d’Israele del maggio 1948 (“Ci portarono su delle colline immediatamente ad est di Gerusalemme, contro gli arabi che avanzavano: come gli altri, ho sparato un po’ a casaccio, non so cosa ho combinato…!”). O di quando, molto tempo dopo, a ottobre del ’73, a Londra, s’era immediatamente presentato all’ ambasciata israeliana, appena saputo dello scoppio della guerra del Kippur. A quel tempo portavoce dell’esercito, Balfour in seguito avrebbe ricordato minuto per minuto le ore che avevano preceduto l’attacco, e persino “il durissimo sfogo di Yitzhak Rabin (a quei tempi ambasciatore di Golda Meir a Washington) contro la miopia del suo Primo ministro” (che, pur avendo saputo in anticipo dell’imminente attacco siro-egiziano contro Israele, programmato per il 6 ottobre, non aveva voluto proclamare immediatamente la mobilitazione generale, per non togliere tanti padri israeliani alle loro famiglie nel giorno, appunto, della festa del Kippur). Vicino ai laburisti, poi spostatosi, negli ultimi anni, sulle posizioni del nuovo partito centrista Kadima, Balfour aveva sempre creduto nella cultura del dialogo, con tutte le persone e le forze ragionevoli (al punto, mi disse una volta, d’essere pronto – se fosse stato possibile – ad un confronto persino con Hamas). Occhi vivacissimi, la battuta arguta sempre pronta, Zapler fisicamente ricordava un po’ Ytzhak Shamir, il premier israeliano che nel 1991, dopo la prima guerra del Golfo, alla conferenza di Madrid aveva avviato la storica svolta del dialogo con l’ OLP di Arafat.
Alla moglie, Maria Vittoria, cardiologo di fama, ai figli più grandi e all’ultimo, ora decenne, Ezra (Balfour era fiero del nome dato a quest’ ultimo figlio: il nome del sacerdote che nel 459 a. C. aveva guidato il ritorno del secondo contingente di ebrei dall’ esilio babilonese), le mie più sincere, più profonde, pur tardive, condoglianze. Ciao, caro Balfour: nell’aldilà (dove, come minimo, dovranno affidarti la direzione del principale quotidiano), spero che davvero potrai trattenerti piacevolmente con Mosè e Maimonide, Spinoza e Kafka, Einstein e Freud, Dayan e Rabin…
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