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Fabrizio Federici
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Cos'hanno in comune, Filippo Turati e George Orwell, Simone Weil e Ortega Y Gasset, Gaetano Salvemini e Hannah Arendt, Ignazio Silone e Albert Camus? Molte cose, nonostante la forte diversità delle loro formazioni politico-culturali e dei contrasti in cui hanno operato. Ma soprattutto, la comune fede in una società "aperta", nel senso migliore del termine: una società (come più volte chiarito da Karl Popper , ma anche da un teorico della nonviolenza assoluta, seguace di Gandhi, come Aldo Capitini) che, pur non identificandosi con alcuna ideologia o religione, abbia però alla sua base una serie di valori irrinunciabili, non negoziabili. Da identificare soprattutto con la cultura del razionalismo critico (da Cartesio a Spinoza e a Kant), la "civiltà del dubbio", la possibilità di mettere in costruttiva discussione tutto, ad eccezione appunto della libertà d'espressione, di culto e d'organizzazione sociale. La libertà (per riprendere la celebre risposta del Silone a colloquio con una funzionaria staliniana nell' URSS di fine anni '20) di poter sempre dire "No", in modo ragionato: il che non significa esser per forza, sempre, dei "bastian contrari", o sposare un'assoluta ("ratzingeriana", diremmo, chiaramente in senso più laico della celebre espressione di Benedetto XVI) "dittatura del relativismo".
Questo lo spirito con cui un folto gruppo di autori (da Francesco Berti a Corrado Ocone, da Giuseppe Bedeschi a Gaetano Pecora, da Luigi Fenizi a Dario Antiseri ), coordinati da Giampietro Berti, già docente ordinario di Storia contemporanea all' Università di Padova, Nunziante Mastrolia, politologo e Luciano Pellicani, sociologo e docente emerito alla LUISS "Guido Carli", ha scritto "I difensori dell' Occidente" (Ogliastro Cilento, Licosia edizioni, 2016, pp. 437,€. 28,00). Galleria di personalità variamente controcorrente, di intellettuali (e non solo) variamente "inorganici" - e proprio per questo, scomodi - che, anzitutto, riscattano fortemente il Novecento dalle etichettature ( giustificate, ma riduttive) di secolo dei totalitarismi e dei genocidi di massa. Restituendolo alla sua più ampia connotazione di secolo anche dei grandi filoni di pensiero critico, antitotalitario, anti-ideologie tradizionali (pensiamo a socialismo riformista e liberale, liberalsocialismo e liberalismo radicale, cattolicesimo democratico; e alle nuove idee nonviolente, federaliste infra e sovranazionali, ecologiste).
Non la solita serie di "medaglioni" biografici, quindi, ma una galleria di stringati saggi critici: vòlti - con l'ausilio sempre di adeguate bibliografie - a cogliere l'attualità, la capacità di parlare anche al futuro, di questi maestri , e difensori, appunto, dei migliori valori dell' Occidente (non a caso, in copertina campeggia la riproduzione d'una coppa di ceramica greca del V sec. A. C., con un soldato persiano e un oplita ateniese, celebrativa della battaglia di Maratona). Diciamo appunto i migliori valori perché sappiamo bene - come rileva, nell' Introduzione, Nunziante Mastrolia - che l' Occidente, nella sua storia, annovera anche vere e proprie vergogne storiche, come l'Inquisizione o la tratta degli schiavi; ma ci riferiamo a quella che è l'eredità migliore - e al tempo stesso davvero antica - dell' Occidente. Quella democrazia comunque difesa (al di là, è chiaro, degli interessi imperialistici e geopolitici, sempre presenti nelle scelte delle nazioni) dai greci a Maratona e a Salamina, dai "così pochi" di Churchill nei cieli inglesi del 1940, dagli insorti antisovietici di Berlino Est e di Budapest nel 1953 e 1956.
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