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Fabrizio Federici
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Al Teatro “Quirino”, sino al 5 novembre, uno spettacolo d’eccezione: la “Medea” di Euripide, nella traduzione di Umberto Albini, e nella storica regìa di Luca Ronconi, ripresa da Daniele Salvo. Si tratta, anzitutto, d’un doveroso omaggio a Ronconi (scomparso nel 2015, e celebre per varie regie di questo capolavoro euripideo, come a Zurigo nel 1981 e a Bergamo nel 1996): con uno spettacolo che è una pietra miliare nella storia del teatro nazionale, e dove l’attore (qui il bravissimo Franco Branciaroli), in tradizione pre-shakespeariana, veste i panni femminili di Medea.
“Medea” andò in scena per la prima volta nell’ Atene del 431 a.C., alla fine della mitica “Età di Pericle”, di poco precedente quella Guerra del Peloponneso che avrebbe tragicamente condotto alla fine dell’indipendenza greca. Domina quest’opera, un cupo senso di disperazione, di rabbia dell’uomo per la crudeltà dell’“Ananke”, il destino “cinico e baro”, superiore agli stessi déi: i quali, non a caso, in questo dramma euripideo (che precorre singolarmente, di circa un secolo, le note teorie di Epicuro sulla loro indifferenza alle tragedie umane) non intervengono minimamente nelle vicende di Medea, Giasone e dei loro figli.
“Medea – leggiamo nelle note di regia dello stesso Ronconi – è una ‘minaccia’, una ‘minaccia’ che incombe imminente anche sul pubblico”. Per questo suo essere misteriosa e mostruosa, può essere interpretata da un uomo.
La sua non è una tragedia della femminilità. In questa donna, già determinante per la vittoria di Giasone (Alfonso Veneroso) nell’impresa del vello d’oro in Colchide, poi sua sposa a Corinto (osteggiata dall’ establishment locale, in quanto “barbara”), madre di due figli; e, infine, assassina , per vendetta, di Glauce, nuova promessa sposa di Giasone (figlia del re locale, Creonte), di Creonte (Antonio Zanoletti) e, addirittura, dei suoi stessi figli, non si può certo leggere una sorta di femminista ante litteram. Troviamo, semmai, una follia alla Kubrick, e l’incarnazione proprio di quello spirito greco, ultra dionisiaco sino appunto alla follia, descritto da Nietsche nel geniale “La nascita della tragedia”. Medea, “dallo sguardo di toro” (ecco anche un richiamo, diremmo, al mostruoso Minotauro cretese), è smisurata, dotata d’un potere sinistro che s’accanisce (consapevolmente, non in preda all’ebbrezza, come sarà poi per Agave, protagonista de “Le Baccanti”) sulle nuove generazioni, i suoi figli (qui, i piccoli Matteo e Raffaele Bisegna). In tempi moderni, per incredibile, cinico ricorso storico, nella Berlino di fine aprile del ’45, sarà Magda Goebbels, gelida consorte del ministro della Propaganda Josef, e perfetta "Medea nazista", a uccidere i suoi figli a pochi giorni dalla caduta del bunker, non volendo farli crescere in un mondo senza il Fuhrer…
Scene (Francesco Calcagnini, riprese da Antonella Conte) e costumi (Jacques Reynaud, ripresi da Gianluca Sbicca) sono in chiave moderna. Il tutto, si deve al lavoro congiunto di CTB, Centro Teatrale Bresciano, Teatro de Gli Incamminati e Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa.
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