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mercoledì, 01 aprile 2020 22:52 |
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Fabrizio Federici
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La diffusione della sindrome Covid-19 da coronavirus, il Sars- CoV-2 (così chiamato perchè dello stesso ceppo del virus che già causò la SARS del 2002-2004, temibile, ma fortunatamente di limitata diffusione), sta sollevando, tra i cittadini, vari interrogativi anche sulle possibili conseguenze di quest'infezione per quegli organi - bocca, naso, occhi - che per questo temibile virus spesso rappresentano la porta d’ingresso nell'organismo. "Si pensa erroneamente - spiega il Dottor Daniele Di Clemente, oculista romano socio dell'American Academy of Ophthalmology e delle principali società scientifiche europee, spesso relatore in congressi oftalmologici e organizzatore di corsi specialistici - che l'occhio, essendo assai piu' piccolo della bocca, rappresenti, per il coronavirus, una via d'accesso all'organismo minore, quasi trascurabile. Invece, l'esperienza dimostra che bisogna fare molta attenzione ad evitare ogni tipo di insulti da agenti fisici che possono introdurre questo od altri pericolosi virus nei nostri occhi: come ad esempio l'entrata di particelle di polvere infetta, attraverso il finestrino aperto di un'auto in corsa, oppure i casi di auto-traumatismo, con le proprie mani, infette, che strofinano gli occhi".
CTU del Tribunale di Roma, consulente a tempo indeterminato oftalmologo presso l'INAIL, socio fondatore dell'European Medical Service Onlus,il Dr. Di Clemente è un professionista impegnato nella ricerca e nella diffusione di tecniche e strumenti innovativi nell' oftalmologia. Con lui focalizziamo la situazione dell'occhio ai tempi del coronavirus.
Dottor Di Clemente, la lotta che la classe medica e gli altri operatori sanitari, in tutto il mondo, stanno conducendo contro il coronavirus , spesso con alti costi umani in termini di vittime, ci sta portando a nuove acquisizioni anche nell'oculistica?
Senz'altro; anzitutto, proprio la necessità di prevenire l'entrata del virus nell'organismo attraverso l'apparato oculare mette maggiormente in primo piano, nell'oculistica, quella che oggi si chiama "low tech ophthalmology".
Che termine complicato! Cosa vuol dire?
Per “low tech ophthalmology" (letteralmente, “Oftalmologia a basso contenuto tecnologico”, N.d.R.).intendiamo, più che una nuova branca dell'oftalmologia, un nuovo modo di fare medicina oculistica impiegando non strumentazioni oftalmologiche complesse, ma semplici, e usando molto l'ascolto del paziente, l'anamnesi patologica: cioè l'attenta decifrazione dei tanti sintomi, che egli ci riferisce. Tutti potenzialmente importanti, nonostante le apparenze, per capire ciò che l'occhio ci vuole far sapere.
Sintomi come, ad esempio...-?
Ad esempio le fotopsie, quei lampi luminosi che a volte improvvisamente attraversano il campo visivo: senz’altro da non sottovalutare, perchè indicano un principio di retinopatia. Oppure i fosfeni:; che sono, invece, come dei piccoli flash.
Ma cosa c’entra questo discorso col coronavirus?
C’entra, perché spesso, per capire se il virus può essere effettivamente entrato in un paziente passando attraverso gli occhi, è necessario un esame del paziente stesso all’insegna proprio della low tech ophtalmology: parlando attentamente con lui (secondo, del resto, i princìpi deontologici generali della medicina), cercando di ricostruire le sue abitudini, ecc…
Ma che bisogna fare, per evitare che il coronavirus possa entrare nel nostro organismo dagli occhi?
Anzitutto evitare assolutamente di toccarseli, o almeno, se proprio è indispensabile, farlo usando dei fazzolettini medicali appositi; poi, usare regolarmente degli occhiali scuri grandi, avvolgenti, che proteggono molto dagli agenti esterni.
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E possono esserci, poi correlazioni tra specifiche patologie oculari e sindrome da Covid-19?
Certo: un nesso importante è venuto fuori proprio pochi mesi fa, all’esordio del coronavirus in Cina.. Non dimentichiamo la tragica vicenda del giovane oculista cinese Li Wenliang. Era dicembre 2019, quando questo oftalmologo notò nell’ospedale di Wuhan sette pazienti la cui patologia assomigliava alla Sars, messi in quarantena. Si trovava, a sua insaputa, proprio in mezzo all’esplosione del Covid- 19; e, pur ignorando che si trattasse di un nuovo coronavirus, cercò di informare attraverso una chat i suoi colleghi, intuendo la gravità della situazione.
Sì, questo suo allarme non piacque al Governo cinese, che a gennaio scorso – come ricostruito dalla BBC- accusò Wenliang di aver diffuso “commenti falsi” e pericolosi per l’ordine pubblico. Sempre a gennaio, Li Wenliang dichiarò pubblicamente di essere stato costretto al silenzio, ricevendo le scuse da parte delle autorità. Ma era già troppo tardi. Curando una donna glaucomatosa, e ignaro che la paziente fosse anche affetta dal nuovo coronavirus, il dottore fu contagiato: 10 giorni dopo la Cina ufficializzava lo stato di emergenza. Dopo alcune notizie contraddittorie, la morte del dottore è stata definitivamente confermata il 6 febbraio. Ma cosa aveva scoperto, quest’oculista, di così importante e, soprattutto, scomodo per il Governo cinese?
Curando dei pazienti affetti da congiuntivite aspecifica, ed escludendo tutte le possibili cause di questa patologia, Wenliang aveva capito che quei casi di congiuntivite non erano che il segnale dell’entrata del Covid- 19 nell ‘organismo di questi pazienti, appunto attraverso gli occhi. Tutto il mondo deve tantissimo a questo coraggioso scienziato, la cui battaglia e la cui dolorosa morte sono paragonabili a quelle dell’altro medico Carlo Urbani, il ricercatore anconetano, scopritore della SARS , caduto “sul campo” nel 2003: al quale si deve anche l’elaborazione di un piano antipandemie ( il “metodo Urbani”, appunto) adottato tuttora dall’ OMS come protocollo per combattere questo tipo di epidemie, tra cui anche questa da Covid- 19.
La Commissione nazionale di Vigilanza cinese ora chiede una punizione per i funzionari di polizia di Wuhan che, a gennaio, scorso, ammonirono il Dr. Wenliang; mentre da più parti, si chiede di dedicare il 6 febbraio, giorno della sua morte, a una Giornata internazionale della Libertà di parola. Ma tornando al coronavirus, Dr. Di Clemente, ci sono dati per poter affermare che, con la guarigione, si consegue l’immunità dal virus stesso?
Senz’ altro no: per la sindrome da Covid-19, ogni discorso sull’immunità deve attendere la messa a punto di uno specifico vaccino. Così come, per restare al campo più, propriamente oftalmologico, non abbiamo elementi indicanti che la sindrome da Covid- 19 possa causare, anche a distanza di tempo, gravi lesioni all’apparato oculare. In questo momento, direi che la ricerca deve concentrarsi soprattutto su tutto quel che può aiutare l’organismo a potenziare le difese immunitarie, in modo da prevenire il contagio di questo virus. Per questo, sono essenziali i farmaci immunostimolanti; e l’ssunzione , anche nella dieta, di vitamine adeguate, specialmente la vitamina D.
In ultimo, Dottore, che messaggio sente di poter dare ai lettori?
Un messaggio, direi, di “speranza ragionante”. Senza assolutamente minimizzare la portata di quest’epidemia che sta flagellando il mondo, non dimentichiamo che la sindrome da Covid- 19 – come mi sembra che precisasse, in un’altra Sua intervista, il collega Giulio Tarro, immunologo di fama internazionale – in sostanza è una sindrome influenzale assai più grave del solito, dovuta a un virus appunto più aggressivo degli altri, che attacca fortemente le vie respiratorie: e che, quindi, può produrre esiti letali in pazienti anziani, defedati o malati cronici. Ma rimane, questa, una battaglia che possiamo - e dobbiamo - vincere. Mentre, per quanto attiene alle patologie oculari, raccomando a tutti i lettori di non sottovalutare mai (specie in questo periodo, ma in realtà sempre) la sintomatologia irritativa locale in regione oculare o perioculare. Però, mai ricorrere ad automedicazioni, terapie “fai da te” o prodotti da banco senza un adeguato controllo medico oftalmologico.
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Messaggio: Grazie all'amico Federici che mi ha inoltrato il messaggio e complimenti anche a voi per l'interesse pieno degli argomenti trattati |
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