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Fabrizio Federici
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Se torniamo rapidamente su "Kinky Boots", il musical che ha avuto un grande successo a Roma, è perché si tratta di una commedia sì trasgressiva, ma che fa fortemente riflettere: nel grande solco, in realtà, dell'"umorismo drammatico" inglese, da Swift ("I viaggi di Gulliver") ad Orwell ("1984", "La fattoria degli animali").
"Conosci e cerca di capire e accettare, per quanto possibile, te stesso". Così, diremmo, potremmo perfezionare il celebre insegnamento di base classico, socratico e cristiano: questa è proprio la filosofia di base questo musical "Kinky Boots", produzione originale di Broadway, con regìa e coreografie di Jerry Mitchell, basato sull'omonimo film della Miramax Motion Picture. Che è andato in scena, con grande successo, al Teatro "Brancaccio" di Roma, in versione italiana, con la regìa di Claudio Insegno.
Prodotto da Teatro Nuovo Milano, con testi originali di Harvey Fierstein e musiche e liriche di Cindy Lauper, "Kinky Boots" è un musical tra gli spettacoli più apprezzati, negli ultimi anni, a Broadway e nel West End di Londra. Potremmo definirlo (ma sarebbe, ovviamente, riduttivo) un musical a metà tra il mitico "The Rocky horror picture show" e "Chorus line". Perché il tema di base è la capacità di ognuno di noi di guardare in faccia sé stesso: cercando di capire e, per quanto possibile, accettare (con la giusta dose di maturità, obbiettività e anche ironia) pure quei lati - sul piano intellettuale, psicologico, sessuale - che contravvengono al pensiero e alla morale "classici", generalmente accettati dalla gente (parliamo, è chiaro, di quelle deviazioni che rappresentino obbiettivamente manifestazioni di creatività e di fantasia, non certo di deviazioni criminali).
E' quanto è successo, sin dall'infanzia, a Simon (qui un bravissimo Stan Believe), cittadino britannico, londinese, che sin da ragazzo si rende conto di avere forti propensioni non solo alla bisessualità, ma anche al travestitismo (è, in sostanza, un "Queer", per usare la precisa terminologia dei movimenti GLBTQ). Diventato adulto, col nome d'arte di Lola, e un fisico e un trucco da vera bellezza di colore, raduna intorno a sé un gruppo di giovani con le stesse sue caratteristiche. Sinché, una sera, in una strada di Londra non incontra per caso Charlie Price (un altrettanto bravo Marco Stabile), che cerca di salvarlo/a da un gruppo di malviventi: giovane figlio (con qualche anno meno di lui) di un imprenditore delle calzature da poco scomparso. Dal padre, Charlie ha ereditato, controvoglia, un'azienda che, però, dopo i fasti degli anni '80-'90 si trova in forti difficoltà (siamo nei primissimi anni del Duemila, il Regno Unito, col governo laburista di Tony Blair, sta cercando faticosamente di uscire da una quasi trentennale crisi economica). La concorrenza è forte, le vendite languono, e Charlie sta addirittura pensando di chiudere tutto, mandando a casa tutti i dipendenti.
Saranno proprio il naturale ottimismo, e la voglia di combattere, di Simon/ Lola che, contagiando positivamente Charlie, lo indurranno invece a diversificare la sua produzione, cercando altre aree di mercato: rivolgendosi soprattutto al pubblico GLBTQ, e, più in generale, a tutte quelle fasce di pubblico, specialmente giovanile (ma non solo), attratto, da sempre (e per giunta, in Gran Bretagna, per vecchia tradizione) da tutto quel che supera gli schemi convenzionali, dall'abbigliamento trasgressivo e inclinato verso il gothic e il fetish. Assunta Lola come stilista, Charlie così inizia - con l'entusiasta collaborazione dei suoi dipendenti - a produrre soprattutto "Kinky Boots": stivali dalle forme fortemente trasgressive e raffinate. Che iniziano ad andare forte sul mercato britannico e, in seguito, avranno anche una consacrazione internazionale in quella che è una delle capitali europee della moda, Milano: con una sfilata che, naturalmente, si baserà tutta su Lola e le sue trasgressive "girls". In questo modo, Charlie non solo salverà le sorti dell'azienda paterna e avrà anche modo di chiudere un rapporto affettivo falso e ormai logoro, avviando un'altra storia con una ragazza molto più meritevole: ma, anzitutto, imparerà a guardare e capire sé stesso e il resto del mondo con mente ed occhi completamente rinnovati.
Uno straordinario cast di attori e ballerini travolge e contagia il pubblico con la sua allegria. Sullo sfondo, la società britannica, col suo storico mix di aperture libertarie e chiusure vittoriane, slancio per i diritti civili e censure moralistiche. Mentre la disponibilità degli operai di Charlie ad aiutare il datore di lavoro in difficoltà ricorda, diremmo, sia le tradizioni anche solidaristiche dell'economia britannica dal '700 in poi, sia la riforma in senso partecipativo dell'economia tentata, tra fine anni '90 e primi anni duemila, da Tony Blair: la celebre "Stakeholder economy", poi corretta (ma non snaturata), in senso più liberale, dal suo successore tory David Cameron, col progetto della "Big society". Non sconfiniamo nella politica, ok, ma è triste, francamente, che oggi, con l'Inghilterra sulla porta della Brexit, tutto questo, che risale solo a pochi anni fa, sembri distare da noi anni luce...
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