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Lisa Di Giovanni
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Davide Rocco Colacrai è nato e cresciuto a Zurigo. Dopo essere arrivato in Italia per gli studi liceali (maturità scientifica), si è laureato a pieni voti in Giurisprudenza presso l'Università di Firenze, dove ha conseguito anche una specializzazione post lauream in studi giuridici e il Master di II Livello in Psichiatria forense e Criminologia. Attualmente lavora come impiegato. Ha all’attivo otto libri di poesia, ha già pronto il nono e come lo definisce lui forse è il più bello che ha mai pubblicato.
Nel suo ottavo libro dal titolo Asintoti e altre storie in grammi, pubblicato con Le Mezzelane, raccoglie frammenti di poesie in cui si specchia e scrive del mondo nelle sue molteplici estensioni di vita. Tocca temi importanti: parla dell'11 settembre, della famiglia, dei manicomi, dell'amicizia, dell'assenza e dell'amore.
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oltre a scrivere cosa fa nella vita?
Nella vita sono una persona molto curiosa – vado in giro a intuire le risposte alle grandi domande che mi accompagnano – tormentano e per le quali mi struggo – da quando sono in piccolo. Spesso mi meraviglio di trovarle, le risposte, o meglio di avvicinarmi infinitamente ad esse, nelle persone che incontro nel quotidiano. Infatti, mi occupo di risolvere qualsiasi problema – di qualsiasi natura – che i clienti della azienda per la quale lavoro mi sottopongono – problemi che spesso risolviamo insieme, il cliente ed io.
Quanto contano le sue radici e quanto condizionano quello che scrive?
Le mie radici, le mie credenze, il mio modo di essere e anche, sotto certe forme, il mio passato, o meglio quello che ero e che mi ha permesso di diventare chi sono oggi, tutto influenza, e permea, profondamente quello che mi scrivo e che quello che, attraverso i miei versi, esprimo.
I suoi familiari appoggiano la sua passione per la scrittura?
I miei familiari – e in generale, chi ho intorno – non hanno mai appoggiato la scrittura, la considerano come una attività a cui dedicarsi in via residuale, una specie di perdita di tempo, un fallimento quasi. E questo atteggiamento – di miscredenza, mi verrebbe da definirlo - ha rafforzato nel tempo il mio essere convinto della importanza che hanno le mie storie.
Se una grande casa editrice dovesse valutare il suo manoscritto, preferirebbe un no sincero o un sì a fin di bene?
Preferirei una sostanziale raccomandazione dopo aver ricevuto numerose porte chiuse in faccia e aver visto persone – non dico inesperte in assoluto ma sicuramente meno qualificate di me – passarmi avanti.
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