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domenica, 25 agosto 2019 08:27 |
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Lisa Di Giovanni
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Diego Galdino vive a Roma e ogni mattina si alza molto presto per lavorare come barista. È tra gli autori italiani maggiormente pubblicati all'estero. I suoi romanzi sono infatti tradotti in otto paesi europei e Sudamerica.
Bosco Bianco è il suo nuovo romanzo d'amore ambientato sulla bellissima costiera amalfitana.
Cosa significa per te la scrittura?
Per me scrivere ha la valenza di una seduta terapeutica, come se il libro fosse uno psicologo che ti ascolta senza pregiudizi e ti giudica in modo oggettivo. Sei consapevole che grazie a lui puoi dire la verità, tutta la verità, forse quella che non hai mai detto a nessuno, senza doversi preoccupare delle conseguenze.
A me piace scrivere romanzi d’amore, perché scrivo quello che sento, quello che il mio cuore ha bisogno di esternare, io amo l’amore e tutti i suoi derivati.
Avresti mai immaginato che i tuoi romanzi fossero così apprezzati ed amati dai lettori? E che venissero addirittura pubblicati anche in altri Paesi?
La verità è che ogni giorno benedico la scrittura per essere entrata nella mia vita, perché grazie a lei ho avuto e ho la possibilità di conoscere posti e persone meravigliose, librai, lettori, che al momento dei saluti diventano degli amici di vecchia data a cui voler bene per sempre. Ho avuto la fortuna di poter presentare i miei romanzi alla Fiera di Francoforte, di Madrid, nel programma televisivo più importante della Polonia, di rappresentare l’Italia al Festival di Letteratura Europea in Germania, e infine a giugno sono stato in Bulgaria per un tour di presentazioni nelle città più importanti di questo paese. Soddisfazioni che ti restano dentro e alimentano la tua passione per la scrittura nelle difficoltà di un mondo editoriale italiano che a volte fatichi a comprendere pienamente.
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Da barista a scrittore: come nasce l’idea di scrivere libri?
Ho iniziato a scrivere romanzi molto tardi, anche se da bambino scrivevo delle storie di fantascienza, affascinato da cartoni animati come Goldrake o Mazinga Z, ricordo che la signora Maria, uno dei personaggi de Il primo caffè del mattino, mi cuciva insieme i fogli per farli diventare dei piccoli libri. Mi dispiace tantissimo che siano andati persi. Si può dire che sono diventato lo scrittore di oggi per merito – o colpa – di una ragazza adorabile che a sua volta adorava Rosamunde Pilcher, una scrittrice inglese che di storie d’amore se ne intendeva parecchio. Un giorno lei mi mise in mano un libro e mi disse: «Tieni, questo è il mio romanzo preferito, lo so, forse è un genere che piace più alle donne, ma sono certa che lo apprezzerai, conoscendo il tuo animo sensibile». Il titolo del romanzo era Ritorno a casa e la ragazza aveva pienamente ragione: quel libro mi conquistò a tal punto che nelle settimane a seguire lessi l’opera omnia dell’autrice. Il mio preferito era I cercatori di conchiglie. Scoprii che il sogno più grande di questa ragazza di cui ero perdutamente innamorato era quello di vedere di persona i posti meravigliosi in cui la Pilcher ambientava le sue storie, ma questo non era possibile perché un grave problema fisico le impediva gli spostamenti lunghi. Così, senza pensarci due volte, le proposi: «Andrò io per te, e i miei occhi saranno i tuoi. Farò un sacco di foto e poi te le farò vedere». Qualche giorno più tardi partii alla volta di Londra, con la benedizione della famiglia e la promessa di una camicia di forza al mio ritorno. Fu il viaggio più folle della mia vita e ancora oggi, quando ci ripenso, stento a credere di averlo fatto davvero. Due ore di aereo, sei ore di treno attraverso la Cornovaglia, un’ora di corriera per raggiungere Penzance, una delle ultime cittadine d’Inghilterra, e le mitiche scogliere di Land’s End. Decine di foto al mare, al cielo, alle verdi scogliere, al muschio sulle rocce, al vento, al tramonto, per poi all’alba del giorno dopo riprendere il treno e fare il viaggio a ritroso insieme ai pendolari di tutti i santi d’Inghilterra che andavano a lavorare a Londra. Un giorno soltanto, ma uno di quei giorni che ti cambiano la vita. Tornato a Roma, lasciai come promesso i miei occhi, i miei ricordi, le mie emozioni a quella ragazza e forse le avrei lasciato anche il mio cuore, se lei non si fosse trasferita con la famiglia in un’altra città a causa dei suoi problemi di salute. Non c’incontrammo mai più, ma era lei che mi aveva ispirato quel viaggio e in fin dei conti tutto ciò che letterariamente mi è successo in seguito si può ricondurre alla scintilla che lei aveva acceso in me, la voglia di scrivere una storia d’amore che a differenza della nostra finisse bene.
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Da barista a scrittore: come nasce l’idea di scrivere libri?
Ho iniziato a scrivere romanzi molto tardi, anche se da bambino scrivevo delle storie di fantascienza, affascinato da cartoni animati come Goldrake o Mazinga Z, ricordo che la signora Maria, uno dei personaggi de Il primo caffè del mattino, mi cuciva insieme i fogli per farli diventare dei piccoli libri. Mi dispiace tantissimo che siano andati persi. Si può dire che sono diventato lo scrittore di oggi per merito – o colpa – di una ragazza adorabile che a sua volta adorava Rosamunde Pilcher, una scrittrice inglese che di storie d’amore se ne intendeva parecchio. Un giorno lei mi mise in mano un libro e mi disse: «Tieni, questo è il mio romanzo preferito, lo so, forse è un genere che piace più alle donne, ma sono certa che lo apprezzerai, conoscendo il tuo animo sensibile». Il titolo del romanzo era Ritorno a casa e la ragazza aveva pienamente ragione: quel libro mi conquistò a tal punto che nelle settimane a seguire lessi l’opera omnia dell’autrice. Il mio preferito era I cercatori di conchiglie. Scoprii che il sogno più grande di questa ragazza di cui ero perdutamente innamorato era quello di vedere di persona i posti meravigliosi in cui la Pilcher ambientava le sue storie, ma questo non era possibile perché un grave problema fisico le impediva gli spostamenti lunghi. Così, senza pensarci due volte, le proposi: «Andrò io per te, e i miei occhi saranno i tuoi. Farò un sacco di foto e poi te le farò vedere». Qualche giorno più tardi partii alla volta di Londra, con la benedizione della famiglia e la promessa di una camicia di forza al mio ritorno. Fu il viaggio più folle della mia vita e ancora oggi, quando ci ripenso, stento a credere di averlo fatto davvero. Due ore di aereo, sei ore di treno attraverso la Cornovaglia, un’ora di corriera per raggiungere Penzance, una delle ultime cittadine d’Inghilterra, e le mitiche scogliere di Land’s End. Decine di foto al mare, al cielo, alle verdi scogliere, al muschio sulle rocce, al vento, al tramonto, per poi all’alba del giorno dopo riprendere il treno e fare il viaggio a ritroso insieme ai pendolari di tutti i santi d’Inghilterra che andavano a lavorare a Londra. Un giorno soltanto, ma uno di quei giorni che ti cambiano la vita. Tornato a Roma, lasciai come promesso i miei occhi, i miei ricordi, le mie emozioni a quella ragazza e forse le avrei lasciato anche il mio cuore, se lei non si fosse trasferita con la famiglia in un’altra città a causa dei suoi problemi di salute. Non c’incontrammo mai più, ma era lei che mi aveva ispirato quel viaggio e in fin dei conti tutto ciò che letterariamente mi è successo in seguito si può ricondurre alla scintilla che lei aveva acceso in me, la voglia di scrivere una storia d’amore che a differenza della nostra finisse bene.
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