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mercoledì, 25 gennaio 2017 23:15 |
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Francesca Bianchi
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FtNews
ha intervistato Barbara Bonomi Romagnoli, laureata in filosofia e giornalista professionista, che dal 2008 alleva api, occupandosi con grande entusiasmo di apicoltura e didattica. Iscritta all'albo nazionale degli esperti di analisi sensoriale del miele, fa parte del direttivo di Ami (Ambasciatori e ambasciatrici dei mieli in Italia). Nel corso della nostra chiacchierata, questa simpatica apicoltrice ci ha parlato dell'apicoltura biologica che pratica nel Viterbese e dei mieli di qualità prodotti dalle api. Ci ha presentato il suo libro Bee Happy. Storie di alveari, mieli e apiculture, in cui descrive un mondo ancora poco conosciuto, ma ricco di tante storie diverse, in cui è sempre più numerosa la presenza femminile. Un lavoro che si propone di parlare ad un pubblico vasto, nella speranza che tutti possano comprendere il ruolo fondamentale delle api nella nostra vita.
Quando ha deciso di diventare apicoltrice?
Tornata in Italia dopo un periodo di vita trascorso in Olanda, c’era poco lavoro per la mia professione di giornalista freelance. Allora ho iniziato a pensare a un piano B (“bucolico”), anche perché fra le cose buone riportate dai Paesi Bassi c’era il recupero della qualità della vita, che passa anche per la convinzione che si debba lavorare per vivere e non il contrario.
Cosa significa fare l'apicoltrice oggi?
Significa avere a che fare con un mondo in mutamento, nel quale si confrontano molte voci diverse, spesso maschili e un po’ resistenti agli input che arrivano da una generazione che sta approdando alla "Terra", arrivando da esperienze precedenti molto diverse.
Lei pratica un'apicoltura di tipo biologico. Che differenza c'è tra l'apicoltura biologica e quella tradizionale e quali sono i vantaggi derivanti dal metodo biologico?
In generale, le pratiche apistiche convenzionali prevedono l’utilizzo della chimica per curare le api, mentre chi ricorre al metodo bio usa solo sostanze naturali come timolo ed eucaliptolo, oppure l'acido ossalico. Quando compriamo la cera per i favi, controlliamo che sia prodotta da allevamenti biologici; questo permette di non avere residui nocivi di alcun tipo nel miele.
Così come l'ubicazione delle arnie deve essere dislocata in maniera tale che nel raggio di tre chilometri dal luogo in cui si trovano ci siano coltivazioni biologiche e/o flora spontanea e/o coltivazioni sottoposte a cure colturali di basso impatto ambientale. Per l'apicoltura convenzionale non esistono limitazioni di questo tipo, nel senso che le arnie possono stare anche vicino ad un'autostrada o a campi di monocultura intensiva.
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Quando e come è nata la Sua azienda agricola?
Azienda agricola è una parola grossa! Sto portando avanti un'attività messa in piedi da mio padre, apicoltore da diversi decenni.
Dove si trovano gli alveari della Sua azienda?
I nostri alveari si trovano in un'area protetta del Viterbese, dove c’è una campagna ancora poco urbanizzata.
Cosa mangiano le Sue api?
Le api bottinatrici volano sulle diverse specie di trifoglio presenti in queste zone, sui fiori di prugno selvatico, sui rovi di more e orchidee selvatiche, sui cardi e sulla vitalba, sulla lavanda, sul rosmarino, sull’erica, sulla salvia e sui fiorellini di campo. Non mancano poi gli alberi di castagno, le rose selvatiche, il lauro e il timo e le melate varie ad attrarre le bottinatrici.
Come avviene la produzione del miele? Può descriverci brevemente le varie fasi di lavorazione?
Prima di tutto ripeto sempre che il miele lo fanno le api, non è un prodotto trasformato dagli umani. È prodotto tramite quello che nel libro chiamo il “bacio d’amore", con cui le bottinatrici raccolgono il nettare dal profondo del fiore e lo custodiscono fino a casa nell’ingluvie, una sacca nell’apparato digerente, dove gli enzimi trasformano gli zuccheri del nettare e lo rendono quasi miele. Ed è con lo scambio di tanti bacini con la ligula che il nettare rigurgitato – eh sì, dobbiamo ammettere che si tratta tecnicamente di un vomitino! – matura, fino a diventare il miele che mangiamo. Grazie a questi passaggi di bocca la sostanza creata nello stomaco dell’ape perde la quantità di acqua in più, un transito delicato e poetico
che noi umani chiamiamo “trofallasi”. A quel punto le api depositano il miele ‘maturo’ nelle cellette di cera, noi umani lo raccogliamo, passiamo i favi nella centrifuga per recuperare solo il miele e separarlo dalla cera, infine, dopo un periodo di decantazione che permette di togliere eventuali residui di cera, lo invasettiamo.
Quanti tipi di miele produce?
Le nostre api producono solo miele millefiori perché non facciamo nomadismo, ossia non le spostiamo dove c’è un'ingente fonte uniflorale, per esempio accanto ad un bosco di castagni o ad una piantagione di girasoli. Mangiano un po’ di tutto e ogni anno le fioriture sono diverse.
Qual è il segreto per produrre un miele di qualità?
Far mangiare bene le api e stare attenti a non fare errori nella fase di raccolta.
Da cosa si riconosce un buon miele?
Un buon miele normalmente non ha residui di cera o impurità di nessun tipo, soprattutto deve essere stato raccolto quando era maturo per evitare che possa fermentare.
Che importanza rivestono le api per l’agricoltura e per la nostra sopravvivenza sulla Terra?
Rivestono un ruolo fondamentale, dal momento che svolgono il ruolo di impollinatrici di circa l’80 % delle specie vegetali.
Cosa L'ha spinta a cimentarsi nella stesura del libro "Bee Happy. Storie di alveari, mieli e apicolture"?
Come giornalista mi piace raccontare storie, soprattutto quelle meno note e, a partire dalla mia esperienza, ho pensato di descrivere un mondo ancora poco conosciuto, ma ricco di tante storie diverse.
Perché ha scelto un titolo così originale ed insolito per un libro avente come tema l'apicoltura?
Perché stare con le api è fonte di gioia e di piccoli momenti di felicità: osservare queste piccole insette è divertente e sconcertante insieme. Soprattutto, volevo far capire già dal titolo che si tratta di un racconto corale, non di un manuale specialistico.
Come è strutturato il libro e che impostazione presenta?
È un libro agevole e diviso in brevi capitoli, non è un manuale tecnico né un saggio specialistico per addetti ai lavori. L’intento è quello di parlare ad un pubblico vasto.
Nel Suo libro emerge un'interpretazione dell’apicoltura come atto culturale e politico. Ci spieghi meglio…
Credo che l’apicoltura, come tutte le attività umane, sia un atto politico e culturale e, come militante femminista, interpreto anche questa esperienza con le pratiche che ho imparato nei movimenti femministi. Non posso non rilevare anche nel mondo apistico un certo sessismo e resistenza al sesso femminile, forme gerarchiche in cui i leader, guarda caso, sono sempre maschi. Bisogna dire che c’è anche una parte consistente che invece lavora per uno scambio condiviso e partecipato. Ecco, personalmente mi ritrovo di più in questa sorta di “società civile” apistica.
Quale messaggio si augura possa arrivare ai lettori di questo piacevole e simpatico manuale?
Spero che si divertano leggendolo, che provino maggiore simpatia per queste paciose insette e, soprattutto, che si colga il loro ruolo essenziale per la nostra vita.
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