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Out of Tibet: il foto-racconto della diaspora tibetana sbarca a Roma

lunedì, 23 maggio 2016 00:04

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Francesca Bianchi
Domani 24 maggio sarà presentato a Roma il libro Out of Tibet, un progetto editoriale della fotografa Albertina d’Urso che documenta la vita degli esuli tibetani sparsi per il mondo. In questo straordinario reportage sulla diaspora tibetana, oltre alle foto più toccanti che la d'Urso ha scattato nel corso di circa dieci anni di ricerca, sono raccolte anche alcune testimonianze che l'autrice ha potuto ascoltare di persona dai rifugiati.
Lobsang Sangay, Primo Ministro del Governo Tibetano in esilio, ha scritto l’introduzione; la premessa è stata curata dal Dalai Lama, leader spirituale dei Tibetani che guida la resistenza pacifica per la liberazione del Tibet dall'egemonia cinese.
La presentazione del libro sarà accompagnata da un'esposizione delle fotografie scattate dall'autrice.
FtNews ha incontrato Albertina d'Urso, ex sciatrice e modella, che ha fatto dei reportage sociali ed umanitari in giro per il mondo una vera e propria missione di vita. Nel corso della nostra piacevole conversazione, Albertina ha parlato con grande ammirazione del coraggio e della determinazione che ha riscontrato nei Tibetani sparsi in tutto il mondo e, soprattutto, del profondo attaccamento alle loro tradizioni e alla loro cultura millenaria.
Si è soffermata anche sui ricordi che più sono rimasti impressi nel suo cuore e sulla speranza che questo libro possa raggiungere gli esuli che vivono nei Paesi più disparati, rendendo consapevole l'opinione pubblica dell'ingiustizia che hanno subito e che continuano a subire.

Come è nato il Suo interesse per il Tibet?
E' nato leggendo alcuni libri su questo popolo e sulla sua straordinaria cultura.

Come è maturata l'idea di realizzare un progetto editoriale in grado di raccontare la diaspora tibetana?
Durante il mio primo viaggio in Tibet, ormai già occupato da anni dalla Cina, ero rimasta molto delusa per non essere riuscita a respirare nulla di quanto avevo letto sul popolo Tibetano. Qualche anno dopo ho parlato di questa esperienza ad alcuni rifugiati tibetani conosciuti in India che mi hanno raccontato degli sforzi che la loro comunità in esilio stava facendo per preservare la loro cultura, ormai repressa nella loro terra di origine, e a consigliarmi di seguirli fino a Bylacuppe, in Karnataka, il più grande insediamento tibetano.
Quanto è durata la ricerca?
Circa 10 anni. Ovviamente i viaggi sono stati diluiti nel tempo. Ho seguito molte altre storie e progetti in questo periodo, ma ho sempre trovato il modo di continuare con costanza questa ricerca. Una volta terminata la parte fotografica, sono serviti circa altri due anni per l’editing, la raccolta dei testi, la scelta dell’editore, il design del libro e la campagna kickstarter per finanziare questa prima edizione.

Lei è entrata in contatto con diverse comunità tibetane sparse per il mondo. Cosa accomuna i Tibetani e cosa La affascina della loro cultura?
I Tibetani sono accomunati da un forte attaccamento alle loro radici ed alla loro cultura. Le loro case sono sempre arredate in modo tradizionale. Il tè al burro e i loro piatti tipici sono serviti in tutte le tavole e vi è un grande sforzo per far sì che anche chi nasce in esilio frequenti scuole in cui, oltre alla lingua tibetana, vengano insegnati anche l’artigianato, la musica, le danze. Una volta entrati in casa di una famiglia tibetana, non vi è più differenza se all’esterno si trova una metropoli come New York o le montagne del Nepal o del Sikkim: loro si sentono Tibetani e basta.
Mi affascina, poi, la determinazione di queste persone che hanno abbandonato tutto, hanno attraversato la catena montuosa dell’Himalaya a piedi, si sono ritrovati in luoghi stranieri e sono riusciti ad integrarsi molto rapidamente. Oltre ad essere un popolo molto laborioso, i Tibetani sono anche molto solidali fra loro e si aiutano a vicenda, per questo riescono a rifarsi una vita e ad essere autonomi molto in fretta in tutti i Paesi che li ospitano.

C'è una storia o una persona che ha lasciato un ricordo particolare nel Suo cuore?
Ce n’è più di una. Sicuramente mi è rimasta nel cuore la prima famiglia incontrata, con la quale ho mantenuto i rapporti e che ho rivisto in molte occasioni. Poi sicuramente c’è Namgyal, la ragazza malata di tubercolosi che nel libro è ritratta in ospedale. Ogni volta che rivedo la foto mi viene il magone. Abbiamo provato ad aiutarla per più di un anno, ma ormai era tardi e la malattia era in uno stadio troppo avanzato.
Il libro è accompagnato da un'esposizione itinerante che ha fatto tappa a Milano lo scorso 21 marzo e che martedì prossimo sarà a Roma. Quali altre tappe sono previste?
Dopo la mostra di Milano e di Roma ne è prevista una a Londra a fine settembre. Spero poi di poter continuare a far girare questo progetto, soprattutto nelle città dove sono state scattate queste fotografie e dove esistono le comunità di profughi tibetani, all'insaputa di gran parte degli altri abitanti. Non è una causa di cui si parla diffusamente ed è molto importante che non venga dimenticata.

Secondo Lei questo Suo prezioso lavoro riuscirà a scuotere le coscienze dell'opinione pubblica e dei governi in merito alla delicata questione degli esuli tibetani?
Questo libro è indubbiamente molto importante per raccontare e conoscere la storia degli esuli tibetani. Sicuramente, non essendo una causa di cui si parla molto, vi è troppa disinformazione. Purtroppo non credo che scuoterà i governi, che sono già perfettamente a conoscenza di questa situazione, ma preferiscono ignorarla. Mi piacerebbe che ciò succedesse, ma posso dire che sarebbe un miracolo. In ogni caso, farà conoscere questo straordinario popolo, la sua storia, la sua triste situazione e lo farà sentire più vicino alla gente. Anche poche persone possono fare molto.
Uno dei più grandi desideri dei Tibetani è proprio quello di far sopravvivere la propria cultura e di farla conoscere. L'obiettivo di questo libro è quello di ricongiungere gli esuli sparsi per il mondo e di avvicinare a loro più persone possibile. Credo che chi lo farà non se ne pentirà: hanno davvero molto da insegnare!
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