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mercoledì, 09 novembre 2022 06:03 |
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Una foto d'epoca di Arzachena. In alto, in splendida posizione panoramica, la chiesa di Santa Lucia
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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La scorsa primavera, in occasione delle manifestazioni organizzate dal Comune di Arzachena (SS) per celebrare i cento anni dell'autonomia comunale da Tempio Pausania, è stato presentato il libro Cònti e Canzòni. Un omaggio al promotore della chiesa di S. Lucia in Arzachena, edito da Taphros e curato dalla prof.ssa Iana De Muro. Insegnante di francese in pensione, la De Muro ha voluto dedicare questo libro al nonno materno, Nicolò Columbano Minóri, promotore della costruzione della chiesa dedicata a Santa Lucia, la santa protettrice della vista. In questa maniera è riuscita a coronare il sogno di suo nonno, che tanto desiderava stampare i suoi lavori in un volumetto, come dice lo stesso nei suoi scritti, non perché potessero godere un minimo di lode in campo letterario, ma più che altro per lasciarli in memoria ai miei figli e ai miei nipoti, affinché possano mettere in pratica i miei poveri consigli di sani principi morali, sociali, civili e religiosi che non mi stanco mai di insegnare. In questa pregevole pubblicazione, impreziosita da una bella prefazione a cura di don Francesco Cossu, sono confluiti gli scritti in prosa e in versi dell'illustre cittadino arzachenese Nicolò Columbano, testimone, nella sua lunga vita, dell'evoluzione di Arzachena da borgo rurale a capitale del turismo internazionale con la nascita della Costa Smeralda. Sincero amante della cultura, in vecchiaia si dedicò alla stesura di testi che ci restituiscono uno spaccato del Novecento di Arzachena. Quando Iana ne è venuta a conoscenza, colpita dalla ricchezza e dalla varietà dei contenuti, subito ha pensato fosse arrivato il momento di pubblicarli e condividerli con quella comunità per cui nonno Nicolò tanto si è speso. Qualche mese fa la prof.ssa De Muro ha rilasciato a FtNews una ricca intervista in cui ha ripercorso la vita del nonno, soffermandosi sulla sua indole, sulle sue passioni e sulle circostanze che portarono alla costruzione della chiesa di Santa Lucia, eretta nel punto più panoramico di Arzachena. Ascoltando Iana, si percepisce un senso profondo di gratitudine per il nonno, un uomo buono, onesto, generoso, di straordinaria fede, moralmente irreprensibile, stimato e benvoluto da tutta la comunità. Nelle sue parole emerge la speranza sincera che l'eredità, materiale e spirituale, di Nicolò Columbano possa essere d'esempio alle generazioni future.
Prof.ssa De Muro, qualche mese fa la casa editrice Taphros ha pubblicato il libro Cònti e Canzòni. Un omaggio al promotore della chiesa di S. Lucia in Arzachena, da lei curato in onore di Nicolò Columbano, suo nonno materno. Chi era suo nonno? Ci dica qualcosa della sua vita, della sua formazione, delle sue passioni. Che ruolo ha avuto nella storia arzachenese del secolo scorso?
Nonno Nicolò Columbano, chiamato Minóri per distinguerlo da suo cugino Nicola Columbano, noto Mannu, era nato il 12 maggio 1886 ad Arzachena da Luigi Columbano e Caterina Mannu. Nel 1908 si sposò con Domenica Minutti, sua cugina di primo grado. Dal loro matrimonio nacquero Luigino, Andreino, Armando, Filiberto, Augusto e mia madre Erina. Era un uomo di fede, buono e gentile, una persona di pace, sempre di buon umore. I suoi compaesani lo stimavano per il talento e per l'alto profilo morale. A giudicare dai vari interessi e dalle capacità manuali mostrate in varie attività, si può dire che fosse una persona versatile. Il suo mestiere principale fu quello di calzolaio. Mia zia Lina Columbano, figlia del fratello Tomaso, mi raccontava di quanto fosse bravo nella realizzazione delle scarpe da sposa. Amava la musica, il canto e il ballo; cantava nel coro della chiesa, suonava la tromba, insieme ai suoi fratelli istituì la banda musicale. Inoltre, era molto bravo ad estrarre i denti e si prodigava per sopperire alla mancanza di dentisti con una tenaglia che gli aveva procurato un conoscente di Tempio. Morì serenamente il 17 febbraio 1975, all'età di 89 anni.
Quanto alla sua formazione, nonno era un autodidatta. Nei suoi scritti emerge il rimpianto di non aver potuto seguire studi regolari. Era assetato di cultura e, per acculturarsi, nel 1937 acquistò il Dizionario Enciclopedico Labor. Leggeva tantissimo, conosceva a memoria molti romanzi, amava raccontare fiabe e storie.
Ecco, a proposito di questa sua passione, molti lo ricordano come un grande affabulatore...
Sì. Tenga presente che a quei tempi, nelle lunghe sere invernali, c'era l'usanza di riunirsi davanti al focolare per ascoltare li cònti di fuchili. Tutti rimanevano ammaliati dalla sua capacità di catturare l'attenzione. Mia Zia Francesca Columbano ricordava la meticolosità nell'esposizione dei fatti e il suo modo di raccontare che incantava; riusciva a tenere in tensione gli ascoltatori, spesso raccontando le sue storie come se fossero dei romanzi a puntate: quando l'attenzione era al massimo, proprio sul più bello, interrompeva e prometteva di continuare l'indomani. La sera dopo, terminata la cena, tutti si riunivano per ascoltare con entusiasmo e curiosità il prosieguo della storia. Io ero affascinata dal suo eloquio.
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Cosa l'ha spinta a pubblicare gli scritti di suo nonno?
Ho sentito il bisogno di dedicare un libro a nonno Nicolò per onorare la sua memoria. È stato un benefattore, un uomo di grande fede che, ad Arzachena, si fece promotore della costruzione della chiesetta di Santa Lucia. Ho voluto rievocare la sua impresa e pubblicare un'ampia scelta degli scritti inediti che ci ha lasciato. Da bambina non conoscevo i temi della sua poesia e non potevo immaginare la sua capacità di passare da un argomento all'altro: dalla memoria all'attualità, dalla morale alla politica, dal sacro al profano. Quando, molto tempo dopo, ho scoperto tutto ciò, mi sono decisa a sottrarre all'oblio molti dei suoi scritti. Ho avvertito il desiderio di curarne la pubblicazione e di portare, così, a compimento il suo sogno nel cassetto: quello di dare alle stampe le sue composizioni. Questo sogno è diventato realtà anche grazie alla disponibilità e al sostegno del Comune di Arzachena.
Come è riuscita a recuperare questo materiale? Quali argomenti affronta Nicolò Columbano nei suoi scritti?
Un giorno manifestai a mio cugino il desiderio di scrivere qualcosa sulla chiesa di Santa Lucia. Venni a sapere che custodiva gli scritti di nonno, il quale, soprattutto durante la vecchiaia, si era cimentato nella composizione di poesie e racconti. Mio cugino mi ha dato questo materiale, una mole imponente di scritti, grazie ai quali ho ricavato molte informazioni sulle sue passioni, sulla città di Arzachena e sulla chiesetta di Santa Lucia. Nonno ha lasciato più di cento poesie; noi siamo riusciti a recuperarne circa 70, quelle per me più rappresentative. Ho recuperato anche gli scritti in cui parla di Arzachena, dell'autonomia (lui ha fatto parte del comitato per l'autonomia) e del suo desiderio di acculturarsi. Nonostante avesse soltanto la terza elementare, scriveva perfettamente. Curò questi scritti per lasciarli in memoria a noi nipoti. Il destino, poi, ha voluto che tra questi nipoti ci fossi io, che penso di aver ereditato da lui la passione per la scrittura. Sono riuscita a realizzare il sogno di mio nonno: ho voluto che il libro uscisse a nome suo; io sono la curatrice.
Come è strutturato il libro?
Il libro è diviso in due parti. Nella prima ho riassunto i ricordi di mia madre, dei miei zii e di alcune persone che hanno conosciuto nonno Nicolò, che nel corso della sua lunga vita è stato testimone della nascita e dello sviluppo di Arzachena. Mi è sembrato opportuno delineare il contesto socio-culturale in cui è vissuto: ho ripercorso la storia di Arzachena da piccolo borgo, caratterizzato da un'economia agro-pastorale, alla nascita della Costa Smeralda. Nella seconda parte ho raccolto alcuni dei suoi numerosi scritti in italiano e in gallurese, a cui ho apportato minime correzioni. La trascrizione dei testi in gallurese, da lui composti con le sue elementari cognizioni di autodidatta, è svolta in accordo con le più recenti regole ortografiche elaborate dallo studioso Emilio Aresu.
Ha affermato di aver delineato il contesto sociale in cui è vissuto suo nonno. Come si presentava Arzachena all'epoca?
Per capire il contesto storico e sociale degli anni in cui visse Nicolò Columbano, non si può non fare riferimento all'antica organizzazione economica e sociale del territorio. Arzachena a quell'epoca era caratterizzata dalla cosiddetta civiltà degli stazzi. Tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, nell'area corrispondente all'attuale centro di Arzachena, a parte la chiesa di Santa Maria della Neve, con l'annessa canonica e le poche case sparse, c'erano soltanto alcuni orti, qualche vigneto e una rigogliosa campagna ricca di lecci e olivastri secolari. Non esistevano ancora le strade; gli unici mezzi di trasporto erano il cavallo e il carro a buoi.
Suo nonno nutriva una grande passione per la poesia; sicuramente conosceva i poeti della tradizione gallurese. Si ispirava a qualcuno in particolare? Quali argomenti affronta nei suoi componimenti poetici?
Pur essendo autodidatta, nonno coltivò sempre la passione per la poesia: lesse e studiò i grandi poeti della tradizione gallurese, alcuni vissuti molto prima di lui, altri suoi contemporanei e compaesani. A differenza di costoro, però, lui non sempre seguiva la metrica: la sua produzione poetica era improntata al verso sciolto con l'utilizzo della rima. Si lasciava trasportare dal suo talento. Le sue poesie sono ricchissime di contenuti. Don Francesco Cossu, che ha curato la prefazione del libro, le definisce "una cartolina di quel tempo", in quanto offrono degli spaccati di vita della società agropastorale arzachenese di allora. Nelle sue poesie parla anche delle mode dell'epoca, che spesso prende di mira, come avviene nella poesia intitolata La maleffica scìulinga, in cui si scaglia contro la moda di masticare il "chewing gum". Lui sperava sempre che i suoi messaggi potessero portare un cambiamento positivo nella società.
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La statua di Santa Lucia acquistata a Roma da Nicolò Columbano Minóri
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Veniamo a ciò che ha reso Nicolò Columbano un grande benefattore della comunità arzachense: si fece promotore della costruzione della chiesa di S. Lucia, a cui era profondamente devoto. Perché decise di impegnarsi nella realizzazione di questa chiesa? In che modo riuscì a realizzare questo sogno?
Il Venerdì Santo del 1904, quando aveva 18 anni, nonno Nicolò andò a caccia nella campagna di proprietà del padre Luigi. Mentre stava attraversando il fiume, dal fucile partì accidentalmente un colpo e, all'improvviso, non riuscì più a vedere da un occhio. Uomo di grande fede, si rivolse immediatamente a Santa Lucia, protettrice della vista, facendo un voto: promise alla Santa di costruire una chiesa in suo onore. Prese un po' d'acqua dal ruscello, si lavò l'occhio e ben presto si accorse di aver recuperato la vista. Da quel momento si adoperò per mantenere la promessa e, non appena gli fu possibile, si recò a Roma per scegliere e acquistare la statua della Santa, che arrivò da Roma con una pergamena contenente la benedizione del Papa. Custodì quella statua nella sua casa fino a quando la chiesa non fu costruita. La chiesetta di Santa Lucia, che iniziò ad essere costruita 21 anni dopo quell'episodio, fu il risultato di un intenso lavoro collettivo, secondo la consuetudine gallurese della manialìa, la prestazione gratuita e volontaria: offerte, lotterie e spettacoli furono attivati allo scopo di realizzare l'opera. La chiesetta fu tanto desiderata dalla stessa santa: secondo una tradizione orale riportata da don Francesco Cossu in una delle sue numerose pubblicazioni, la santa era apparsa in sogno a un anziano arzachenese, Salvatore Barraqueddu, chiedendogli di costruire la chiesa. Nonno Nicolò e Giovanni Filigheddu furono i primi a cercare i soldi per costruire la chiesa. Raccolti i fondi, grazie anche ad una considerevole donazione del mio bisnonno Luigi Columbano, il comitato istituito per la costruzione dell'edificio procedette ad acquistare il terreno prescelto. Aveva, così, inizio il sogno di mio nonno: costruire la chiesa in onore di Santa Lucia nel punto più panoramico del paese, nella stessa area in cui gli arzachenesi avevano eretto la prima chiesa campestre, dedicata a Santa Maria della Neve. Proprio sul pendio sinistro dell'attuale chiesa di Santa Lucia, infatti, pare sorgesse la 'jésgia 'èccja, prima che, da quel sito, la statua della Madonna fosse trasferita nel punto in cui poi sarebbe stata costruita la chiesa dedicata a Santa Maria, ossia nell'attuale Piazza Risorgimento.
Che ricordo conserva di suo nonno?
Quando nonno è morto, io avevo 16 anni, per cui non ricordo molto, ma di lui ho due immagini ben scolpite nella mia mente. Mi sembra ancora di vederlo, quando, nel suo ufficio di via Marconi, se ne stava per ore seduto davanti alla sua macchina da scrivere, sempre impegnato nello studio, a cui durante la vecchiaia si dedicò assiduamente. L'altra immagine chiara che ho di lui è quella delle giornate del Venerdì Santo. Ogni anno, all'ora di pranzo, ci raggiungeva a casa e si sedeva accanto al camino. Quel Venerdì Santo del 1904, oltre alla promessa di costruire la chiesa, aveva fatto anche il voto di osservare il digiuno ogni Venerdì Santo della sua vita. Aveva deciso di farlo a casa dei propri figli, affinché il suo sacrificio acquistasse più valore.
Suo nonno era un uomo di grande fede, ereditata sicuramente dai genitori, come lei afferma nel libro...
Pensi che conosceva la messa a memoria: zia Pinuccia Ceccherini mi raccontava che, quando era ammalato e non poteva andare in chiesa, se la celebrava da solo a casa. Questa fede l'ha ereditata dai genitori, entrambi molto religiosi. I genitori di mio nonno facevano parte dell'associazione di carità San Vincenzo, un'associazione che aiutava i bisognosi. Quando padre Manzella si spostava da Sassari ad Arzachena per delle missioni di carità, veniva ospitato a casa dei miei bisnonni. Abbiamo ancora il divano dove dormiva padre Manzella.
La vita è una grande avventura verso la luce: in esergo ha voluto ci fossero queste parole di Paul Claudel. Che ruolo ha avuto la luce, fisica e spirituale, nella vita di suo nonno?
Un libro del genere, dedicato a Santa Lucia, protettrice degli occhi e della vista, che Dante cita nella Divina Commedia come simbolo della Grazia illuminante, non poteva non avere un riferimento alla luce. La luce è una costante di tutto il libro, è un elemento imprescindibile. Tutta la vita di mio nonno è stata attraversata dalla luce, sia fisica che spirituale: uomo retto e moralmente irreprensibile, era immerso nella luce. La luce rischiara il cammino della conoscenza. Ognuno di noi è chiamato a un'esistenza che sconfigga le tenebre dell'ignoranza e del male.
Quale messaggio si augura possa arrivare ai lettori di questo libro?
Vorrei che la gente percepisse l'amore di mio nonno per la cultura, la sua fede, la sua determinazione: quando molti di coloro che erano impegnati nella costruzione della chiesa di Santa Lucia si scoraggiavano, lui li esortava ad avere fede, sicuro che un giorno sarebbe sorta una bellissima chiesa. E così è stato. Il suo è un messaggio di fede e speranza, un invito a credere in ciò che si fa e a non scoraggiarsi mai. È stato un arzachenese talentuoso e illuminato che ha fatto tanto per migliorare la vita della comunità. Nei suoi confronti provo una sincera gratitudine per quanto ha compiuto. Mi auguro che la sua eredità, materiale e spirituale, possa essere d'esempio alle generazioni future.
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