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venerdì, 05 marzo 2021 09:33 |
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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FtNews
ha intervistato il prof. Ivano Dionigi, già professore ordinario di Lingua e letteratura latina all'Alma Mater di Bologna, di cui è stato Rettore dal 2009 al 2015. Fondatore e direttore del Centro Studi "La permanenza del Classico" dell'Università di Bologna e Presidente della Pontificia Accademia di Latinità, il noto filologo ha presentato ai nostri lettori il suo ultimo libro, pubblicato da Laterza qualche mese fa e intitolato Segui il tuo demone. Quattro precetti più uno.
'Obbedire al tempo' (parere tempori), 'seguire il demone' (deum sequi), 'conoscere se stessi' (se noscere), 'non eccedere in nulla' (nihil nimis): questi quattro precetti, richiamati da Cicerone in un passo del De finibus bonorum et malorum, racchiudono, secondo lo studioso, la summa della saggezza dei classici, così lontani da noi, eppure così prepotentemente vicini alla nostra sensibilità. Il titolo del libro riecheggia la risposta che Max Weber diede ad alcuni giovani tedeschi che, nel clima di incertezza e devastazione che caratterizzò il periodo immediatamente successivo alla fine del primo conflitto mondiale, gli chiesero chi dovessero seguire e cosa dovessero fare. Weber, facendo appello alla responsabilità individuale, rispose loro: "Ognuno segua il demone che tiene i fili della sua vita".
Il prof. Dionigi è tornato a interrogare i classici, ha cercato ancora una volta di metterli in contatto con gli uomini del nostro tempo, ha affidato loro un compito impegnativo e indispensabile: rivolgersi ai nostri giovani, la cui straordinaria bellezza è pari alla loro fragilità. Le nostre ragazze e i nostri ragazzi stanno pagando il prezzo più alto di questa pandemia; sempre più soli, quasi "addomesticati", privi di punti di riferimento, mai come oggi hanno bisogno di qualcuno che sappia parlare a loro e di loro, aiutandoli a scoprire la propria unicità, a coltivare il proprio dáimon, a soddisfare la loro ansia di verità, a recuperare quel legame indissolubile tra il sapere e il potere.
Ivano Dionigi conosce bene le nuove generazioni: nel corso della sua carriera ha incontrato migliaia di studenti, così uguali dal profondo Sud al profondo Nord, con gli stessi interrogativi; ha dialogato con loro, li ha ascoltati; nei loro confronti ha maturato una fiducia sincera.
L'illustre latinista invita tutti gli adulti, soprattutto chi ha la fortuna di poter contribuire ogni giorno alla formazione delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, a leggere nei loro occhi la bellezza della loro età, i sogni, i desideri, le speranze, ma anche le angosce, le paure, le inquietudini che si agitano nella loro anima. Un invito a prenderli per mano e guidarli in questo tempo sospeso e incerto, esortandoli a reagire contro l'istigazione quotidiana alla superficialità e a far sentire con forza la loro voce. Sono loro che fanno l'unità, la bellezza, la speranza di questo nostro Paese provvidenzialmente ricco di talenti e maledettamente incurante di essi.
Prof. Dionigi, lo scorso ottobre è uscito il suo ultimo libro, intitolato Segui il tuo demone. Quattro precetti più uno. Come è nata questa pubblicazione? A quali precetti si fa riferimento?
Quando ho finito ufficialmente la carriera accademica, al compimento del 70esimo anno, ho tenuto a tutta la comunità universitaria una lectio molto meditata, intitolata "Quattro precetti più uno". In un passaggio del De finibus bonorum et malorum, Cicerone sintetizza in quattro precetti tutta la saggezza classica: tempori parere, 'obbedire al tempo'; sequi deum, 'seguire il demone'; se noscere, 'conoscere sé stessi'; nihil nimis, 'non eccedere'. Avevo individuato questo passo di Cicerone che in 41 lettere e 8 parole riassume tutta la sapientia veterum. Successivamente ho pensato di arricchire quella lectio, perché mi sembrava che quei quattro precetti segnassero la sintesi della saggezza classica e avessero forza fondativa e nello stesso tempo antagonistica del nostro presente. Cicerone afferma che tutti e quattro sono confinati alla saggezza interiore e hanno una vis maxima se sono inseriti nello studio della scientia. Questo mi ha confortato all'approfondimento, perché tale affermazione di Cicerone fa giustizia del pregiudizio che la classicità sia sorda al pensiero scientifico. Molti si chiedono sorpresi come mai, tra questi quattro precetti, paradossalmente sia assente la politica. In realtà questa domanda è frutto di un'anomalia, di un enorme paradosso dei nostri giorni, in cui vige un assurdo e osceno apartheid tra il sapere e il potere, una separazione anomala tra cultura e politica. La politica o è anche cultura o non è politica. Con il termine cultura intendo essenzialmente la presenza di tre condizioni: il recupero della dimensione del tempo, il sapersi porre domande e il possesso della visione dell'insieme. Oggi è fondamentale riappacificarsi col tempo: noi siamo tempo. La grande rete dello spazio ha mandato in esilio il tempo; abbiamo staccato ai giovani la spina della storia. Quanto al secondo punto, bisogna dire che i classici sono maestri nell'ars interrogandi: hanno ansia di verità, ci pongono le domande ultime e penultime della vita. Noi oggi siamo ansiosi di dare risposte, mentre il porci domande è un grande alleato della politica. Nel libro cerco di incrociare queste domande con le domande degli uomini dei nostri giorni; è un modo, un tentativo di mettere in contatto i grandi del passato con gli uomini di oggi. Altra caratteristica importante riguarda il possesso di una visione dell'insieme: in un'epoca come la nostra, in cui tutto è iper-specialistico e i linguaggi rischiano di non comunicare tra loro, è fondamentale possedere l'arte della sintesi, la 'scienza dell'intero'. Queste tre condizioni sono le mie tre stelle polari. Avrei potuto scrivere un libro di 500 pagine, ma ho preferito dire piuttosto che chiacchierare, perché, parafrasando Agostino, quanto più blateriamo, tanto più siamo muti. Ecco, così è nato questo libro, che nel titolo richiama l’invito a seguire il demone che tiene i fili della propria vita, invito che Max Weber rivolse ai giovani alla fine della della prima guerra mondiale.
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Nel corso della sua carriera ha incontrato tantissimi giovani e ancora oggi continua instancabilmente a girare l'Italia in lungo e in largo per incontrare studentesse e studenti e far conoscere loro la bellezza e l'immortalità dei classici. Come reagiscono quando sentono parlare di Cicerone, Lucrezio, Virgilio, Orazio, Seneca? Di cosa hanno bisogno oggi i nostri ragazzi?
Oggi tutti rincorrono i verba obvia, tutti fanno ricorso alle stesse parole; nei confronti di chi dissente c'è anche una sorta di criminalizzazione della critica. Nessuno osa andare controcorrente. Questo è il linguaggio di oggi, ma è questo che giova ai ragazzi? Nel mio lungo viaggio in giro per l'Italia, che mi ha consentito di incontrare oltre 15.000 giovani, ho constatato il loro interesse nei confronti degli autori classici. Anche i giovani, non quando sono in gruppo, ma quando sono più silenziosi o in particolari momenti, avvertono che questo il linguaggio diffuso oggi suona come una moneta falsa. Hanno bisogno di adulti che siano in grado di ascoltarli. Oggi tutti parlano a questi ragazzi, ma non parlano né di loro né a loro. Se uno parla a loro e di loro può usare qualunque linguaggio, invece gli si dà un po' di anestetico. Questa DAD li ha addomesticati, li ha ridotti ad animali domestici. Che siano benvenute la tecnologia e tutte le forme del sapere, ma non sono sufficienti. Sono contro questa modernità che inganna i ragazzi e propone loro dosi di veleno quotidiano. I classici non consolano, ma interrogano, e i giovani sono attratti da queste domande; spesso se le pongono anche loro. I classici sono competenti in umanità, hanno ansia di verità, quella verità e quella umanità che i nostri ragazzi ci chiedono.
Oggi i ragazzi sono sempre più soli, privi di punti di riferimento e senza prospettive. Cosa possiamo fare per aiutarli a trovare il proprio demone e renderli consapevoli dell'unicità e dell'importanza della vita di ognuno di loro?
I giovani oggi non frequentano più la chiesa, le famiglie non sono più luogo di formazione, i partiti sono disfatti, l'unica risorsa che hanno è la scuola. Le uniche risorse che abbiamo sono la scuola e l'università, ultimi avamposti civili di cui nessuno parla e pochi si curano. Penso sia necessario mettere in contatto il mondo dell'università con il mondo della scuola: in questo momento, chi ha più vantaggio - culturalmente parlando, intendo - più deve dare. L'università deve assistere il mondo della scuola superiore. Non sono severo con la modernità, sono severo con questa politica che ha scisso il sapere dal potere. Hanno ridotto tutto a tecnica, abuso, scandalo. Il monito "segui il tuo demone" ha questo valore: dobbiamo far capire ai ragazzi che ognuno ha la propria identità, la propria storia, il proprio valore, ognuno deve cercare di scoprire il demone che tende i fili della propria vita. Bisogna creare le condizioni affinché questi ragazzi scoprano il proprio demone e si rendano attori e non semplici spettatori della loro vita. Qui entra in gioco la scuola, luogo della formazione dello spirito critico, del confronto, della discussione. La scuola dovrebbe essere aperta 24 ore su 24; i professori dovrebbero avere uno stipendio raddoppiato e, per essere all'altezza del loro nome, devono professare la bellezza del sapere, l'etica della competenza, la coscienza civile. Ai giovani che, dopo le macerie della prima guerra mondiale, gli chiesero chi seguire, Weber rispose: "Ognuno segua il demone che tira i fili della propria vita". Questo è un messaggio di conforto: ogni giovane deve capire di essere irripetibile. Dobbiamo iniettare una dose di ottimismo nei nostri ragazzi e anche un consapevole senso di responsabilizzazione.
Nel libro definisce una oscenità la separazione tra cultura e politica. Di cosa abbiamo bisogno oggi per recuperare quel legame inscindibile tra il sapere e il potere?
Platone ha cercato di far politica attiva, poi ha fallito. Eschilo ha combattuto a Maratona e ha voluto che sulla sua tomba venisse ricordato non come tragediografo, ma come soldato di Maratona; Sofocle è stato stratega a Samo. Tra i precetti non compare il precetto politico perché era scontato: tutto era politica. Quella di oggi è una anomalia: da una parte c'è l'intellettuale che studia, dall'altro il politico che gestisce. Cicerone e Seneca ci hanno lasciato scritti ispirati alla politica, all'etica, al pensiero religioso, sociale, civile, educativo, ma sono stati anche esponenti di primo piano rispettivamente della repubblica e dell'impero. Noi abbiamo bisogno di costretti della politica, non di volontari. Lo statista non sta in mezzo al popolo per sondarne gli istinti. Lo statista non è un acclamato dalle folle, sta solo, è un isolato. Oggi abbiamo bisogno di un átopos, come Socrate, un irregolare, un fuoriposto, un uomo non omologabile, uno che segua non il pensiero comune, ma il sapere scientificamente fondato, e sappia ascoltare la voce del dáimon del pensiero. I ragazzi, quando vedono un irregolare, lo seguono. Basti pensare al successo che riscuotono presso i giovani personaggi eccentrici come Jim Morrison o Vasco Rossi. Noi, invece, abbiamo messo questi nostri giovani tutti in serie, creando quello che il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han chiama l' "inferno dell'uguale", senza l'eros della differenza. Ogni giovane nel suo piccolo deve essere eccentrico.
Cosa implica la nozione del dáimon classico?
Dáimon a ciascuno è il suo modo di essere, sentenzia Eraclito. Socrate ammette di aver avuto fin da ragazzo una voce interiore che gli suggeriva quando tacere e quando parlare. Socrate ebbe l'intuizione della voce interiore, che noi traduciamo con il termine coscienza. Il dáimon aveva una duplice dimensione: era una realtà interna, ma anche esterna all'uomo. Riguardava tanto il pensiero religioso, quanto quello filosofico. Da Socrate, facendo un salto di venti secoli, sono arrivato a Weber. Il termine dáimonè alla radice della parola greca che noi traduciamo con il termine felicità, ovvero eudaimonía, una parola che ho pudore a pronunciare.
Nel 2018 ha dato alle stampe il libro Quando la vita ti viene a trovare. Lucrezio, Seneca e noi (Laterza), un dialogo immaginario tra Lucrezio e Seneca, due giganti della classicità che cita spesso anche in Segui il tuo demone. Ha dichiarato più volte che i giovani preferiscono Seneca a Lucrezio. Perché, secondo lei? Come deve essere interpretato questo dato?
Il 90% dei giovani e dei giovanissimi preferisce Seneca. Quando mi sono laureato, correva l'anno 1972, andava di moda Lucrezio. Era il periodo dell'iconoclastia, della rottura, della contestazione. Il fatto che oggi i giovani preferiscano Seneca, terapeuta dell'anima umana, non deve essere interpretato come un segno di rassegnazione. Tutt'altro: significa che i giovani preferiscono l'interiorità, per cui c'è terreno fertile perché questo demone emerga. I giovani hanno bisogno di guide che li confortino, non di profeti che li convertano.
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Come mai ha dedicato questo libro a Massimo Cacciari?
L'amico Massimo Cacciari ci insegna l'interrogazione dei classici, come scrivo nel frontespizio del libro. Sono i classici a interrogare noi, ma siamo anche noi a interrogare i classici. L'apertura interrogante dei classici è il loro miracolo: quando leggo i classici, leggo me stesso. Con Cacciari c'è una consuetudine che ci lega dagli anni Novanta, quando insegnavo a Venezia. Lui ha sempre detto che quella dei filologi classici è una gran bella compagnia. Nel 2014, nelle vesti di Magnifico Rettore dell'Alma Mater Studiorum di Bologna, gli ho anche conferito la laurea honoris causa in Filologia, letteratura e tradizione classica. In quell'occasione tenne una bellissima lezione magistrale.
Sant'Agostino alla domanda Tu quis es? rispose Homo vivens mortaliter, un uomo destinato alla morte. Oggi noi cosa rispondiamo a questa domanda?
Fino a un anno fa eravamo nel regno in cui tutto era possibile. Poi è arrivata questa pandemia che ci ha dato un bel ridimensionamento, una bella sberla. La scienza e la tecnologia miravano all'allungamento della vita, alla tensione a non morire, alla delegittimazione del limite, che gli antichi consideravano un sacrilegio. Oggi per noi, invece, è vietato vietare. Oggi dobbiamo cercare chi è l'uomo. L'uomo ha infinite possibilità: può diventare Dio o decadere a bestia. Oggi si tenta di diventare Dio, di delegittimare il limite. Qui non si tratta di essere contro la scienza, ma perché uno sia completamente scienziato o tecnologo deve avere anche il pensiero lungo. Guai a smentire il valore della scienza o della tecnologia, ma perché un pensiero scientifico sia ricco, produttivo, pieno, non può fare a meno di quelle tre componenti di cui ho parlato prima: la riscoperta del pensiero interrogante, la riappacificazione con il tempo e il possesso di una visione complessiva delle cose. Se il pensiero scientifico e quello tecnologico vanno avanti muniti del pensiero socratico, sono più tranquillo. Penso, infatti, che si correranno meno rischi, si avranno più effetti benefici, magari decelerando un po', perché la grande velocità costituisce un problema dei nostri tempi. Un vero scienziato e un vero tecnologo sanno guardare contemporaneamente al notum e al novum, cercando di esplorare le possibilità inespresse dal notum e ripensandone la vocazione, sempre con lo sguardo rivolto al domani.
Quale messaggio si augura possa arrivare a coloro che leggeranno questo libro?
Mi auguro che ognuno inizi a trasformarsi in un confessore con le persone che gli stanno accanto, per capire se qualcuno abbia trovato o meno il proprio demone. Questo è un libro che possono leggere tranquillamente i nostri giovani. L'ho scritto pensando a loro; credo che in queste pagine ci siano dosi di antidoto per i guai dei nostri giovani, la cui straordinaria bellezza è pari alla loro fragilità. Ed è proprio a loro che vorrei giungesse il messaggio più potente di questo libro: fate sentire la vostra voce, non siate clandestini; il vostro tempo non è domani, è ora. Seguite il vostro demone, ma vi sia di esempio quella pagina in cui Marco Aurelio ricorda e ringrazia per nome tutti coloro che lo hanno formato: nonno, padre, madre, bisnonno, precettore, tutti i maestri, i parenti, gli amici e i bravi servitori. Impegnatevi in politica. Fatelo con passione e orgoglio, non solo per affermare voi stessi, ma anche per una sorta di pietas verso di noi, che non ce l'abbiamo fatta a lasciarvi un mondo migliore. Siate consapevoli della vostra forza, perché il tempo vi è amico: avete il futuro nel sangue e il privilegio di dare del tu al tempo. Siate insoddisfatti, siate esigenti, siate rigorosi. Adesso tocca a voi, cari ragazzi: dipendiamo da voi, siete fondamentali!
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