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Irene Borgna: Louis Oreiller, il pastore di stambecchi

lunedì, 20 luglio 2020 07:47

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Louis Oreiller (foto di fratel Andrea Serafino)
Francesca Bianchi
La montagna mi ha visto nascere, mi ha nutrito, insegnato, curato. Così sono diventato il signore delle cenge rocciose, la sentinella dei valichi secondari e l'esperto delle morene nascoste: ho regnato su quel reame di sassi non perché era mio, ma perché gli appartenevo. La montagna mi ha concesso di starle insieme e io sono diventato il suo custode rispettoso, un pastore di stambecchi in tutte le stagioni. (Louis Oreiller)
FtNews ha intervistato l'antropologa alpina Irene Borgna, che due anni fa per la collana di letteratura di montagna Passi, edita da Ponte alle Grazie in collaborazione con il Club Alpino Italiano, ha pubblicato il libro Il Pastore di Stambecchi. Storia di una vita fuori traccia, scritto insieme a Louis Oreiller.
Nato nel 1934 a Rhêmes-Notre-Dame, grazioso paesino a 1725 metri di quota immerso all'interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso, Oreiller da ragazzo, mosso dalla povertà, ha fatto il cacciatore, il manovale, il boscaiolo e il contrabbandiere. A un certo punto la sua vita ha subito una svolta: è stato prima guardiaparco, poi guardiacaccia, diventando il signore delle cenge rocciose, la sentinella dei valichi secondari e l'esperto delle morene nascoste, un pastore di stambecchi in tutte le stagioni. Ha iniziato a parlare e a vivere in simbiosi con i cani, le volpi, le marmotte, i gipeti, i camosci, con i tanti animali che hanno sempre popolato quell'incantevole angolo della Valle d'Aosta. Nelle lunghe giornate solitarie al cospetto di vette e ghiacciai, Louis ha saputo ascoltare le cascate, gli alberi, gli animali, ha instaurato un dialogo intenso e complice con la natura in cui era immerso e verso cui si è sempre comportato come un ospite rispettoso. Appartengo alla montagna, Rhêmes è la mia terra, la mia mamma... Di questo fiero montanaro allergico al mare e alla pianura colpisce proprio il legame indissolubile con la Natura, la devozione filiale e l'amore sconfinato nei confronti della terra in cui è nato e da cui non si è mai allontanato: un reame di sassi di cui conosce ogni canalone, ogni balza di roccia, ogni albero. Nel corso della nostra bella intervista Irene - che il mese scorso è tornata in libreria con Sulle Alpi (Editoriale Scienza) https://www.editorialescienza.it/it/libro/sulle-alpi-ambiente-alpino-spiegato-ai-bambini.htm , un libro illustrato per ragazzi per scoprire aneddoti e curiosità sulla natura e sulla storia delle montagne - ci racconta come trascorrevano le lunghe giornate solitarie di Oreiller da guardiaparco e da guardiacaccia, quali espedienti escogitava per non farsi vedere dai bracconieri, svelandoci simpatici aneddoti dei tanti pomeriggi trascorsi a casa di Louis e di sua moglie Nathalie davanti a una serie infinita di caffè.
Così prendono forma i tanti ricordi di un'intera vita trascorsa in alta quota, sempre rigorosamente "fuori traccia". Irene spiega anche come è cambiato il rapporto di Louis con la montagna ora che non può allontanarsi molto dalla propria abitazione e molti lavori sono diventati per lui faticosi.
La preziosa testimonianza di vita di questo geloso custode di una civiltà ormai scomparsa ci ricorda che siamo parte del disegno, il nostro destino è collegato a quello di tutti i viventi. Louis è stato un uomo capace di adattarsi senza perdersi e questa potrebbe essere una delle sue eredità più grandi. Accettare i limiti (anzi, sceglierseli consapevolmente), sentirsi parte del tutto, lavorare duro, essere giusti e coraggiosi, non dimenticarsi di sorridere, mai. (Irene Borgna)

Irene, tu hai all'attivo un dottorato di ricerca in Antropologia alpina con l'antropologo e scrittore Marco Aime. Di cosa si occupa esattamente questa disciplina?
L’antropologia alpina è stata fondata all’inizio del Novecento da alcuni tizi curiosi che, invece di andare a ficcanasare in giro per il mondo alla ricerca di popolazioni remote, hanno rivolto il loro sguardo e la loro attenzione per la prima volta alle Alpi. E, così facendo, hanno scoperto una sorta di continente misterioso, piazzato proprio nel cuore dell’Europa e caratterizzato da una ricchezza di lingue, usi, costumi, tradizioni, mitologie, farmacopee pazzesca. Era l’esotico dietro casa, il diverso senza dover prendere l’aereo. Se vogliamo dare una definizione più generale, gli antropologi alpini si interessano dei mille modi con cui gli esseri umani si sono attrezzati per fare sulle Alpi le stesse cose che facciamo dappertutto: vestirci, costruirci un riparo, accoppiarci, curarci, immaginarci il divino e rappresentare il mondo. Non finirò mai di meravigliarmi di quanto, in condizioni paragonabili di quota, di clima, di esposizione, la storia e la fantasia umana abbiano dato vita a un insieme sorprendente di soluzioni differenti e simili nello stesso tempo.

Due anni fa per Ponte alle Grazie hai dato alle stampe il libro Il Pastore di Stambecchi. Storia di una vita fuori traccia, scritto insieme a Louis Oreiller. Come sei riuscita a "scovare" la storia di questo indomito montanaro "allergico al mare e alla pianura" e, soprattutto, a raccogliere le sue confidenze e i ricordi della sua lunga vita trascorsa in alta quota?
Un colpo di fortuna. Un mio amico scrittore, che si chiama Marco Magnone (e che ho conosciuto in occasione di una residenza d’artista in Valle Gesso - io organizzavo, non ero l’artista), un giorno mi chiama e mi dice che un amico (Gianandrea Piccioli) di amici (Marco Revelli e Antonella Tarpino) cercava qualcuno che raccogliesse le storie di un anziano montanaro che abita e ha sempre vissuto in un paese remoto della Valle d’Aosta. Mi chiese se ero interessata a provare e mi mise in contatto con Gianandrea. Va da sé che era una proposta così strampalata e improbabile che non ho saputo resistere: sono stata contattata dal fantomatico “amico di amici” che mi ha invitata a Rhêmes. Lì ho conosciuto Louis e… per fortuna ci siamo annusati e piaciuti da subito. È stato il primo di una lunga serie di viaggi a Rhêmes e di chiacchierate lunghe pomeriggi interi.
Rhêmes-Notre-Dame (foto di Piero Borgna)
Oreiller è cresciuto con la guerra. Da ragazzo, mosso dalla povertà, è stato cacciatore, manovale e contrabbandiere. Nel libro racconta che spesso la mattina, prima di andare a scuola, andava a caccia di marmotte e di faine. A un certo punto, però, la sua vita ha subito un cambiamento radicale: è diventato prima guardiaparco, poi guardiacaccia. Così, nel susseguirsi delle stagioni, è diventato il signore delle cenge rocciose, la sentinella dei valichi secondari e l'esperto delle morene nascoste, un pastore di stambecchi in tutte le stagioni. Ha iniziato a parlare e a vivere in simbiosi con i cani, le mucche, le galline, con i tanti animali che popolano quell'incantevole angolo della Valle d'Aosta. Immerso nella superba bellezza di vette e ghiacciai, come trascorrevano le lunghe giornate solitarie da guardiaparco e da guardiacaccia? Quali espedienti escogitava per non farsi vedere dai bracconieri?
Oggi, invece, come trascorrono le giornate di Louis? È cambiato il suo rapporto con la montagna?

Immagina quanto può essere difficile, imbarazzante persino, trovarsi a fare la “guardia” in una piccola comunità dove tutti si conoscono, quando fino al giorno prima ingrossavi anche tu le fila dei “ladri”. Louis aveva il suo sistema per non venire meno al suo dovere e nello stesso tempo per fare meno multe possibile: prevenire. Partiva a notte fonda per poter essere già sul posto prima dell’arrivo dei bracconieri, in modo da poter sventare il peggio, evitando che uccidessero gli animali. Conoscendo il mestiere, per lui era facile trovare i punti giusti dove aspettare e da dove osservare senza esser visto…
Le sue giornate erano divise fra i compiti quotidiani (portare il sale, censire gli animali, fare vigilanza, accompagnare persone nel Parco o nella Riserva) e l’osservazione solitaria della natura, che occupava molte ore del suo tempo. Credo che il suo cambio di prospettiva, da predatore per necessità a parte della montagna per esperienza, sia stato aiutato parecchio dal fatto di avere la possibilità di osservare la natura per ore, a occhio nudo o da dietro il binocolo, liberato dell’urgenza immediata di doversi procurare il cibo.
Oggi Louis se ne sta a casa con Nathalie, sua moglie. Bada alle faccende di casa, alle galline. Gironzola nei dintorni, ma senza spingersi troppo lontano. È ancora bravissimo a dileguarsi facendo perdere le sue tracce quando non gli va di incontrare nessuno, chiacchiera volentieri con chi gli va a genio - ammesso che sia dell’umore giusto. Qualche lavoro è diventato un po' pesante per lui e non si dà pace per questo: uno dei suoi crucci è di non riuscire più a fare la legna per la stufa per Natalia.

Tante volte Louis ha accompagnato gruppi di ricercatori al Parco Nazionale del Gran Paradiso e molti clienti della Riserva di caccia. Per lui era un po' come girare il mondo senza muoversi da Rhêmes... Animato da un profondo desiderio di conoscenza, da tutti ha cercato di apprendere qualcosa. Oggi che rapporto ha con i tanti turisti che si riversano a Rhêmes-Notre-Dame e con coloro che vogliono conoscere da vicino questo piccolo paese d'alta montagna e la civiltà alpina della Val di Rhêmes?
Oddio, nella misura in cui si tratta di persone civili, rispettose e genuinamente interessate alla natura e alla cultura locali (sempre se ne ha voglia e sempre che quel giorno sia dell’umore giusto), Louis sa essere accogliente e racconta volentieri e di gusto. Diciamo, però, che questo non è esattamente l’identikit del turista medio, e allora possono nascere dei contrattempi che talvolta sfociano in veri e proprio battibecchi. Soprattutto quando qualcuno della piana commette l’imprudenza di provare a spiegare a Louis come si sta al mondo e come si vive in montagna. A prescindere, non ho dubbi su da che parte schierarmi: anch’io ho un po’ la sindrome da invasione, quando i sentieri sono troppo affollati - e cerco gli itinerari più scartati, a margine.

Cosa significava vivere la montagna a quei tempi? Tu, Irene, hai avuto il piacere di ascoltare dal vivo i ricordi più cari della vita di questo fiero testimone di una civiltà ormai scomparsa. Come pensi sia cambiato nel tempo il rapporto degli uomini con la montagna?
Vivere in montagna a quei tempi era una fatica e una tribolazione. Adesso che abbiamo le pance piene e il riscaldamento diventiamo troppo spesso e troppo facilmente nostalgici, dimenticando che difficilmente uno di noi sopravvivrebbe a una sola settimana vissuta nelle condizioni di freddo, fame, fatica di quando Louis era bambino. Detesto la retorica del “si stava meglio quando si stava peggio”. Quello che fa inferocire Louis, e che condivido, è che oggi ci sarebbero gli strumenti (legislativi e tecnici) per incoraggiare un ritorno alla montagna, magari non quella estrema, non alle borgate più in quota e disperse, ma alla media montagna. La montagna abitata in modo rispettoso è un’opzione praticabile e anche desiderabile, ma non basta la buona volontà di pochi: servono leggi che facilitino un certo tipo di insediamento che fa bene al territorio, che impediscano gli abusi edilizi, che incoraggino la manutenzione della montagna.
Oggi la montagna “povera”, quella che ha visto il grande spopolamento a partire dagli anni ‘20, è rimasta spopolata e sta perdendo anche gli ultimi servizi. I turisti arrivano a ondate e, veloci come sono venuti e (per la maggior parte) ignoranti come davanzali, tornano in basso portandosi via più selfie che ricordi. Per il cittadino medio la montagna è un posto “incontaminato” (ogni volta che qualcuno, riferendosi alle Alpi, le definisce incontaminate, un antropologo alpino viene colpito da una colica, perché non c’è centimetro quadrato delle Alpi che non sia stato profondamente trasformato dall’attività umana n.d.a.) dove ricaricare le batterie, nemmeno fossimo dei telefoni giù di tono. Per il montanaro medio, che non ha scelto la montagna, le terre alte sono semplicemente un posto più scomodo di un altro dove abitare. La fetta interessante sono i forestieri che lasciano la pianura o la città per fare sul serio, cercando un modo (e, ve lo assicuro perché ci sbatto il naso tutti i giorni, non è facile) per vivere e lavorare in montagna. Oppure i montanari, nati in montagna, che a un certo punto della loro vita la montagna se la sono scelta, che sarebbero potuti andare a vivere altrove e che, invece, magari dopo l’università, sono tornati e realizzano progetti di vita originali. Un timore che mi ossessiona?
Irene Borgna (foto di Andrea Fenoglio)
Che quando il riscaldamento globale renderà difficile vivere in città, la montagna venga presa d’assalto in modo disordinato. Se fossimo un minimo previdenti ci organizzeremmo per evitarlo, così come dovremmo da subito mutare in modo radicale il nostro stile di vita, ma il periodo post-Covid ci sta dimostrando che come specie siamo sempre convinti che l’estinzione non sia un’opzione che ci riguarda da vicino.

Che ricordo conserva delle tante giornate trascorse insieme a Louis Oreiller?
Caffè. Infiniti. Nel bicchiere di vetro spesso da osteria. Niente a che vedere con quelle robe inquinanti da fighetti che sono le cialde: caffè nero della moka, bello carico. Eventualmente allungato con panna. Decine di sigarette girate da Louis. Ore di racconti. Qualche sporadico intervento di Nathalie, che parla poco, ma mai a sproposito e sempre con una vena di ironia davvero rara. Il registratore che cade fra le pieghe del divano e ce lo dimentichiamo perché siamo troppo presi dalle parole. Il trasformarsi delle visite in momenti di confidenza, oserei quasi dire di amicizia. Peraltro: non ci siamo mica persi di vista. Compatibilmente con gli impegni di lavoro, si torna appena possibile a trovare Louis e Nathalie. Anche con Gianandrea e Donella, che me li hanno presentati, è nata una bella amicizia.
Su tutto, il ricordo di un montanaro autentico e nello stesso tempo atipico perché allegro, ironico, interessato al mondo, capace di indignarsi ancora per le ingiustizie, disponibile ad ascoltare anche i piccoli fatti della vita degli altri con sincera attenzione. Louis è speciale perché avrebbe potuto scegliere di vivere altrove, di andarsene, di fare altro, invece ha deciso di restare. La montagna per lui è diventata una scelta, non una condanna. E fa una bella differenza.

Appartengo alla montagna, Rhêmes è la mia terra, la mia mamma... Di Louis colpisce il legame indissolubile con la Natura, la devozione filiale nei confronti della terra in cui è nato e da cui non si è mai allontanato. Nelle lunghe giornate solitarie al cospetto delle sue amate montagne, Louis ha saputo ascoltare le cascate, gli alberi, gli animali, ha instaurato un dialogo intenso e complice con la natura in cui era immerso. Quale lezione può ricavare da questa esperienza l'uomo di oggi, che nella sua visione arrogante e antropocentrica non si fa scrupolo alcuno nel saccheggiare e depredare le infinite ricchezze che Madre Terra ci dona? Quale messaggio ti auguri possa arrivare a tutti coloro che leggeranno questa preziosa testimonianza di una vita vissuta quasi sempre "fuori traccia"?
Senso del limite. Senso della connessione. Perché fra le righe Louis racconta che la natura non è un quadro che noi ammiriamo da fuori della cornice. Siamo parte del disegno, il nostro destino è collegato a quello di tutti i viventi. Con la differenza che stiamo compromettendo per avidità le condizioni di esistenza delle altre specie.
Ogni lettore troverà nel libro il “suo” messaggio. Perché è sempre così: riconosciamo nei libri qualcosa che ci risuona perché lo serbiamo dentro. Qualcuno, leggendo i racconti di Louis, si riconoscerà nella sua curiosità, nella capacità di osservazione, nell’umiltà del mettersi in ascolto per cercare di capire, nel suo coraggio, persino nella sua baldanzosa faccia tosta. Tutti, senza accorgersene, si porteranno nel cuore l’affresco di un mondo perduto che Louis ha traghettato dagli anni ‘30 del Novecento al terzo millennio. Louis è stato un uomo capace di adattarsi senza perdersi e questa potrebbe essere una delle sue eredità più grandi. Accettare i limiti (anzi, sceglierseli consapevolmente), sentirsi parte del tutto, lavorare duro, essere giusti e coraggiosi, non dimenticarsi di sorridere, mai.
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