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giovedì, 09 aprile 2020 13:50 |
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Laconi - Menhir Museum - Statua Menhir Barrili I (foto di Nicola Castangia - ArcheoFoto Sardegna)
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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
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Il 22 febbraio scorso, a Firenze, nell'ambito dell'edizione 2020 di TourismA, l'archeologo Giorgio Murru, direttore del Menhir Museum - Museo regionale della Statuaria Preistorica in Sardegna, ha tenuto un ricco e applauditissimo intervento dal titolo Spiriti e Dèi nella statuaria preistorica della Sardegna. A questo appuntamento ha collaborato l’Associazione culturale ArcheoFoto Sardegna, che per l'occasione ha realizzato un filmato che ha incantato il pubblico presente nell'Auditorium del Palazzo dei Congressi di Firenze.
Il dott. Murru ha raccontato ai nostri lettori i dettagli della conferenza; ha iniziato subito a spiegare la simbologia e le caratteristiche dei menhir sardi, soffermandosi soprattutto su quelli conservati al Menhir Museum. Ha fatto una breve panoramica storica del periodo che segna il passaggio dal Neolitico all'età dei metalli, concentrandosi sul forte legame tra megalitismo e ipogeismo, così come è attestato dalle numerose testimonianze archeologiche. Ha fatto luce anche sulla stretta relazione tra la statuaria preistorica e il mondo nuragico, insistendo molto sull'importanza della sacralità, che permeava ogni aspetto della vita degli antichi Sardi, così sinceramente devoti alla loro Grande Madre Terra.
Nel suo appassionato e coinvolgente intervento l'auspicio che la storia millenaria della Sardegna e dei suoi fieri abitanti, che nel corso dei secoli hanno saputo proteggere, conservare e tramandare il loro patrimonio, vengano conosciute e riconosciute sempre di più, anche e soprattutto al di fuori dell'Isola.
Dott. Murru, il 22 febbraio scorso, a Firenze, nell'ambito dell'edizione 2020 di TourismA, ha tenuto un'interessante conferenza dal titolo Spiriti e Dèi nella statuaria preistorica della Sardegna. A questo appuntamento ha collaborato l’Associazione culturale ArcheoFoto Sardegna. Come si è svolto l'incontro? Come mai è stata scelta questa tematica?
A Firenze è stato proiettato un filmato spettacolare realizzato dall'Associazione ArcheoFoto Sardegna, con le eccezionali immagini del fotografo Nicola Castangia e le riprese aeree di Maurizio Cossu.
Il mio intervento è stato un ricco commento a questo filmato. Il punto di partenza da cui è scaturito questo intervento è una statua, rinvenuta a Ruinas vent'anni fa, un menhir che nella parte apicale presenta una maschera applicata che rappresenta un bovino, un corniforme, un toro. Riporta alla storia dei Mamuthones, ai fuochi, al ruolo che ha oggi l'animale nel carnevale sardo, un ruolo che un tempo era propiziatorio al risveglio della Madre Terra. A Firenze ho avuto modo di fare un confronto tra le maschere attuali, quelle tipiche del carnevale sardo di oggi, in particolare quelle dei Mamuthones, e le maschere di un tempo, dando ampio spazio alla statua ritrovata a Ruinas, che oggi è ancora sconosciuta.
Il mio intervento è stato preceduto e si è concluso con le launeddas di Luigi Lai, un’istituzione della musica sarda tradizionale, che ha incantato il pubblico dell'Auditorium del Palazzo dei Congressi di Firenze con un’esibizione di oltre sei minuti. Quello dell'esibizione di musicisti in occasioni ufficiali o in piazza è un esperimento che faccio di frequente. A TourismA in passato ho portato artisti, artigiani, ho dato spazio anche alla filigrana sarda collegata al mito delle Janas. Nell'ambito della comunicazione archeologica questi esperimenti consentono di far conoscere tante sfaccettature della storia millenaria dei Sardi. La Sardegna propone, infatti, un patrimonio culturale straordinario, unico per alcuni versi, e incredibilmente relazionato al patrimonio culturale del Mediterraneo, perché la sua posizione geografica ha fatto sì che sin dal Paleolitico fosse un luogo di approdo e di metabolizzazione di idee, di concetti di vita, di civiltà. Il Mediterraneo, che per noi non è mai stato un mare ostativo, ma un mare di congiunzione, un luogo di incontro di uomini, un'autostrada di culture, occasione di confronti e opportunità, ha fatto sì che la Sardegna contribuisse dalla preistoria fino al Medioevo alla nascita di un concetto mediterraneo ed europeo. La Sardegna acquisisce tutto ciò che i commercianti portano, anche e soprattutto a livello culturale, poi i sardi rielaborano queste influenze, adattandole alla loro cultura, e, a loro volta, le riesportano al di fuori dell'isola. La Sardegna ha avuto questo ruolo anche nella piena età nuragica, non solo in fase preistorica. Non è mai esistita una Sardegna isolata.
Cosa simboleggiano e quali caratteristiche presentano le statue menhir, in particolar modo quelle sarde? Chi sono gli "spiriti" e gli "dèi" a cui si fa riferimento nel titolo della relazione che ha discusso a Firenze?
Le statue menhir sono il primo esempio di una scultura antropomorfa, ovvero una scultura che riproduce le sembianze umane. Si tratta di massi di forma allungata infissi al suolo e innalzati verso il cielo. Vennero realizzati a partire dalla prima età del Rame dagli uomini del Mediterraneo, da quelli dell'Europa continentale, dall’Atlantico fino al Caucaso, alle terre del Medio Oriente e a quelle dell'Arabia Saudita. La Sardegna è al centro di questo meccanismo geografico. In Sardegna a figure tipicamente maschili, caratterizzate dalla presenza di un grande pugnale nella parte anteriore, si associano parallelamente figure femminili, definite dalla presenza dei seni. Questo connubio tra maschile e femminile non è esclusivamente sardo: la convivenza tra maschile e femminile è testimoniata in Italia anche in Lunigiana e in Puglia. La caratteristica delle statue di Laconi e del Sarcidano non è tanto l'antropomorfismo caratterizzato da un naso pronunciato, ampie sopracciglia e dalla presenza del pugnale, una costante delle statue maschili, quanto la presenza di quello che noi chiamiamo un “capovolto”. Con questo termine intendiamo un'anima, ciò che rimane delle sembianze di un uomo a testa in giù che sta compiendo il suo viaggio verso la Grande Madre Terra, colei che dona la vita, ma anche colei che si riprende i propri figli con il mistero della morte, per poter poi riconsegnare la vita. C'è tutta una serie di altri dettagli: ci sono statue ammantate, ovvero dotate di mantello, statue con un copricapo, che sembra quasi che riproponga le sembianze di un gabbano, cioè di una delle mantelle di orbace dei sardi, con tanto di cappuccio. Sono le prime statue antropomorfe del Mediterraneo, risalgono al 2900 a.C. Se prendiamo in considerazione una di queste testimonianze, come la statua di Barrili I, notiamo, infatti, che rappresenta un capo, un eroe divinizzato, un uomo che ha governato sul suo popolo con grande capacità organizzativa e anche attraverso l'uso della forza e il pugnale testimonia proprio questo. Il mantello, fortemente legato all'arma, sottintende l'appartenenza a una classe sociale altissima, infatti si tratta di un capo divinizzato, una figura quasi regale. Il mantello e il pugnale ci riportano ai bronzetti, al mondo nuragico, al capo tribù di Santa Vittoria di Serri. Questo personaggio ha avuto la possibilità di maneggiare quelle che sono le sfere del soprannaturale: il capovolto ci introduce anche alla capacità del toccare la materia del soprannaturale, del mistero della morte. Nel momento in cui la vita svanisce, il corpo si degrada, e da quel momento entra in gioco una grande fede, un grande culto, la religione che loro nel tempo avevano maturato: c'è la consapevolezza che una Grande Madre sia lì ad aspettare il corpo non più mortale, ma l'anima, lo spirito di questo individuo. Abbiamo a che fare con un capo, che è stato anche un sacerdote, uno sciamano, uno spirito che proteggeva i luoghi dove queste statue venivano innalzate a controllo di vie di penetrazione naturale, di vie di transumanza e, soprattutto, di vie di corsi d'acqua. Sono elementi straordinariamente positivi, sono elementi che semplificano le relazioni degli uomini con il mondo celeste, con il mondo della metafisica. Ecco, se vogliamo dare un senso alle statue menhir, dobbiamo vederle e intenderle in questo senso.
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Goni - Pranu Muttedu - Allineamento Menhir (foto di Nicola Castangia - ArcheoFoto Sardegna)
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In quali regioni della Sardegna si concentrano i menhir? Cosa ci testimoniano oggi questi simboli del megalitismo? Quanto a quelli conservati al Menhir Museum di Laconi, dove sono stati rinvenuti?
La distribuzione dei menhir sul territorio sardo non è omogenea. L'epicentro è il Sarcidano, nel Sarcidano l'epicentro è Laconi. Troviamo una concentrazione di statue preistoriche nel Barigadu, soprattutto a Samugheo e ad Allai, e anche nel Mandrolisai, fino alla Barbagia di Nuoro. Casi sporadici sono attestati anche nel sud della Sardegna, nell'altopiano di Abbasanta e Sedilo, seppur non con manifestazioni così forti e marcate e numericamente significative come nel Sarcidano, fino al Sulcis. Oggi determinati simboli delle statue menhir, come il pugnale che arricchisce gli esemplari maschili, sono una costante. Se ne deduce che già alla fine del IV millennio gli europei, i caucasici, i mediorientali, i nordafricani parlavano una stessa lingua dell’anima e utilizzavano un linguaggio comune.
Nel territorio di Laconi conosciamo una sessantina di menhir: uno degli esemplari più straordinari, anche in virtù delle dimensioni, è stato rinvenuto in regione Barrili, nei pressi di Genna Arréle, nella valle dei Menhir dai toponimi celebri come Palas de Nuraxi, Nuraghe Arrùbiu e Corte Nòa. Da questi luoghi provengono i quarantaquattro monoliti che sono stati custoditi nei depositi di questo grande museo, associati oggi a statue menhir che provengono da altri tre comuni: oltre a Laconi, Allai, Villa S. Antonio e Samugheo.
Dal dicembre 2010 il museo delle Statue Menhir è diventato il Museo regionale della Statuaria Preistorica. Proprio qui a Laconi due anni fa è nata la Rete Nazionale dei Musei delle Statue Stele Menhir. Oltre a Laconi, l’iniziativa coinvolge i Musei di Aosta, Trento, Riva del Garda e Arco di Trento, La Spezia, Pontremoli, Bolzano, Teglio-Sondrio, Mupre, Museo dell’Arte Preistorica della Valle Camonica a di Capo di Ponte, il Museo di Bovino e di Manfredonia, in Puglia.
Come avviene in Sardegna il passaggio dal Neolitico all'età dei metalli? Le testimonianze archeologiche cosa ci rivelano in merito al rapporto tra megalitismo e ipogeismo?
Il Neolitico, che nell'arco di cinque millenni ha portato in Sardegna straordinari modelli culturali, alla fine del IV millennio a.C. lascia spazio all'era dei primi metalli. A Goni, nel Gerrei, nella parte centro-orientale del sud Sardegna, negli anni Ottanta del secolo scorso il prof. Enrico Atzeni ha messo in luce un documento archeologico di straordinario significato, uno dei più importanti della ricerca archeologica sulla preistoria mediterranea: viene scavato un grande masso erratico, al cui interno si trova una sepoltura del tipo a domus de janas. Il grosso masso è contenuto all'interno di tre circoli megalitici protetti da tre grandi menhir. Siamo alla origini del megalitismo in un ambito culturale e cronologico del Neolitico finale, noto come Cultura di Ozieri, intorno alla metà del IV millennio: a Goni, nel complesso archeologico di Pranu Muttedu, si incontrano due culture così apparentemente diverse come il megalitismo, che in Sardegna arriva nel V millennio attraverso i menhir, e l'ipogeismo, che invece è tradizionalmente radicato nell’isola già nel V millennio, come testimonia la massiccia presenza sul territorio dell'Isola delle grotticelle artificiali note come "domus de janas", ovvero 'case delle fate'.
Una sepoltura ipogeica risalente a 6500 anni fa a Cuccuru is Arrìus, nel Sinis di Cabras, restituisce un individuo disteso su un fianco in posizione fetale su un letto di ocra rossa. Stringe in mano, oltre a frecce in selce e ossidiana, una statuina di Dea Madre, straordinaria attestazione di un culto maturo e fortissimo che i sardi terranno vivo per millenni. I sardi scavano le domus de janas dove sentono pulsare il cuore della Grande Madre, li in quel punto le restituiranno il corpo del defunto. Talvolta, nei casi più complessi, riproducono le forme e le caratteristiche delle case dei vivi, vere e proprie basiliche ipogeiche con tanti ambienti arricchiti da pitture e simboli, come le protomi taurine. Non bisogna dimenticare che il toro, simbolo di forza fisica e di potere riproduttivo, in questa fase del tardo Neolitico era considerato il partner della Grande Madre.
Le domus de Janas sono presenti in tutto il territorio dell'isola, da nord a sud, da est a ovest, in grandi necropoli o singole, e raccontano di un momento di forte spiritualità dei sardi.
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Laconi - Menhir Museum - Statua Menhir Bau Carradore (fotomontaggio con tramonto; foto di Nicola Castangia - ArcheoFoto Sardegna)
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Ci faccia qualche esempio concreto dei simboli presenti nelle d omus de janas e del forte legame tra megalitismo e ipogeismo che esse testimoniano...
Tra i tanti simboli che ci colpiscono all'interno delle domus de janas, ce n'è uno in particolare: tra il 1600 e il 1400 a.C. nella Nurra, precisamente tra Sassari e Alghero, i sardi scolpiscono sulla fronte delle domus de janas dei portali. Grandi portali che introducono al luogo di sepoltura, spesso arricchiti da due braccia semicircolari ad esedra. Sono l’evoluzione delle false porte che spesso si riscontrano all’interno delle domus de janas, la porta attraverso la quale le anime dei defunti transitano per potersi ricongiungere alla Grande Madre.
Poi, nel Bronzo Antico (2.200-1.600 a.C.), nell’evoluzione del megalitismo quel grande portale diventa la stele centinata che arricchisce il prospetto architettonico delle cosiddette tombe dei giganti, alla base del quale si apre il piccolo portello che immette nel corridoio sepolcrale. Le tombe dei giganti sono delle sepolture collettive, talvolta il vano funerario può superare i venti metri di lunghezza e contenere più di cento inumati. Tutto questo ha un'origine: all'interno delle domus de janas già abbiamo le false porte, le porte attraverso le quali il corpo del defunto non può passare, ma la sua anima sì, e il corpo viene sepolto nel punto di maggior congiunzione tra la vita terrena e la vita futura. Sono documenti eccezionali che riportano ad una capacità incredibile di amare.
A proposito di false porte, una particolarissima ed esclusiva la riscontriamo scolpita anche su una statua menhir di Laconi. Proviene dal sito di Piscina’e sali e dimostra che il megalitismo si è appropriato dei canoni artistici e ideologici propri delle genti che hanno scavato le domus de janas.
Faccio altri esempi. Uno su tutti, il più emblematico, è il caso della tomba di giganti di Aiòdda, al confine tra Nurallào e Nuràgus, nella Sardegna centrale, scavata dal prof. Enrico Atzeni. Presenta una stele centinata spezzata, il corridoio sepolcrale lungo oltre dieci metri e l'eccezionale presenza, a destra e a sinistra appena si varca il portello d'ingresso, di due statue menhir armate di doppio pugnale in bella evidenza, come fossero dei tutori nei confronti degli spiriti maligni che potevano portare negatività ai defunti. Si tratta di un documento archeologico eccezionale che ha restituito reperti in bronzo e ceramiche frammentate appartenenti alla Cultura di Bonnannaro (2.000-1.800 a.C.), che coincide con la Prima Età del Bronzo. Da lì provengono altre sedici statue menhir che prima dello scavo erano interpretate esclusivamente come materiale da costruzione; oggi, invece, sappiamo che erano lì per creare una protezione ulteriore ai defunti dagli spiriti maligni.
In ultimo, a Samugheo, nella regione del Barigadu, nella tomba di giganti di Paùle Luturru il corridoio funerario, subito dopo l’ingresso, è preceduto da due menhir antropomorfi, due guardiani, messi lì a proteggere, controllare, a tenere lontano tutto ciò che può portare negatività alle sepolture.
Che relazione esiste, invece, tra il mondo della statuaria preistorica e i nuraghi?
Resiste ancora la convinzione che il mondo della statuaria preistorica abbia avuto termine prima dell’età nuragica e che i sardi nuragici e il mondo preistorico siano due mondi distinti. Credo, invece, che il fenomeno dei nuraghi sia stato la naturale evoluzione di una civiltà radicata nell’isola già da alcuni millenni e che proprio le esperienze maturate nel tempo, l’evoluzione dei principi di gestione politica ed economica e le nuove tecnologie, grazie anche ai continui apporti esterni, stiano alla base dell’esplosione della “bella età dei nuraghi”. Oggi possiamo dire che questo muro culturale è stato abbattuto dalla ricerca archeologica. Oltre la Giara di Gesturi, in territorio di Senis, un'area di confine tra terre di grano e terre proprie degli allevatori, in una località che si chiama Bidda’e Pedra, ossia “la città di pietra”, è stato individuato un insediamento preistorico e protostorico su cui si erge un nuraghe. A terra, accanto al nuraghe, si rinvengono statue menhir integre. Il nuraghe viene costruito, ma non vengono toccati i segni dei padri, che sono poi i loro stessi segni, essendo loro i figli di quei padri. Stesso discorso a Laconi: nel nuraghe Orrùbiu c'è una statua menhir maschile armata, posta lì a creare l'architrave di una delle nicchie della camera di base di questa torre nuragica. Non penso affatto sia stata messa lì per caso. Siamo al centro di un territorio che prende il nome di valle dei Menhir e dove ancora oggi, come in località Perda Iddòcca, alcune statue menhir sono ancora in piedi.
Ad Allai, prospiciente il golfo di Oristano, in un altipiano dalla sacralità incredibile, sorge il nuraghe Araseda, i cui architravi sono costituiti da due grandi statue menhir. Ma c'è di più: a venti metri dal nuraghe correva un allineamento di statue menhir. Non ne hanno toccato neppure una, anzi, per completare l'opera, hanno aperto una cava di trachite per trarre materiale di costruzione. E si potrebbero fare tanti altri esempi.
La prosecuzione del culto dei megaliti in Sardegna proseguirà ben oltre l’età nuragica. A tale proposito mi piace ricordare che Papa Gregorio Magno nel 595, scrivendo ai vescovi sardi, li inviterà a un impegno maggiore nell’opera di cristianizzazione dell’isola e chiederà loro come sia possibile che, dopo sei secoli dalla morte di Cristo, i sardi adorino ancora idoli di legno e idoli di pietra. E, subito dopo, inviterà alla conversione Ospitone, Dux Barbaricinorum, il capo dei Barbaricini, i quali, verosimilmente, adoravano anch’essi, ancora, idoli di legno e idoli di pietra. Gli idoli di legno possiamo immaginarli nella foresta: sono le querce millenarie, sono gli olivastri millenari, i depositari di ciò che rappresenta la memoria storica di questo popolo. Le pietre altro non sono che i menhir e le statue menhir. E anche noi, oggi, possiamo accarezzarli e guardarli con emozione, consapevoli di trovarci al cospetto di una preziosa testimonianza di un popolo che nel corso dei millenni li ha protetti e ne ha custodito il culto fino a tempi recentissimi.
Da Direttore del Menhir Museum - Museo regionale della Statuaria Preistorica in Sardegna, quale messaggio si augura possa arrivare a tutti coloro che hanno il piacere di ascoltare i suoi interventi dedicati a fare luce sulla millenaria storia della Sardegna?
Vorrei tanto che emergesse chiaramente il messaggio che la storia di questa terra è stata fatta dai suoi abitanti: sono stati i Sardi ad aver prodotto tutto questo. Nelle loro imponenti costruzioni c'è tutta la coscienza di un popolo che ha conservato, protetto e custodito quest’immenso patrimonio.
In secondo luogo, vorrei che fosse ben chiaro che siamo all’origine della statuaria mediterranea: stiamo spostando indietro di ben 2000 anni l'orologio della storia e della civiltà italica! Non si può non evidenziare l'enorme contributo della preistoria nella genesi delle grandi civiltà europee: i sardi hanno contribuito a creare le basi per la nascita della civiltà moderna. E il nostro obiettivo è proprio quello di valorizzare un patrimonio comune, purtroppo poco conosciuto, come tutti i fenomeni culturali che precedono la grande storia nazionale, un patrimonio dalla forza prorompente, non esclusivo di una regione o di una nazione, ma europeo e pan mediterraneo.
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