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domenica, 29 marzo 2020 09:07 |
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Violetta Chiarini in scena
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Fabrizio Federici
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L'emergenza coronavirus, se da un lato costringe milioni di italiani ad una pesante, innaturale – per quanto necessaria – situazione di “arresti domiciliari”, dall'altro può rappresentare un'occasione preziosa per interrompere la nevrotica corsa quotidiana, fermandoci un attimo a riflettere, necessariamente, sul senso della vita, il rapporto con Dio e con la natura, coi nostri cari e con tutti gli altri, i conseguenti progetti per il futuro.
Riflessione e concentrazione favoriscono la creatività di saggisti, scrittori, artisti, musicisti, uomini di teatro (del quale venerdì 27 marzo è stata celebrata su streaming, con spettacoli a sipari abbassati, la giornata mondiale, con collegamenti ai siti del Metropolitan Theatre di New York e del Carlo Felice di Genova) e di cinema. Tra questi ultimi, abbiamo ascoltato, nella sua casa di campagna nel Reatino, Violetta Chiarini, nome storico del teatro italiano. Già diplomata allo Studio di Arti Sceniche di Alessandro Fersen e frequentatrice di master class di altri grandi maestri dello spettacolo, attrice nel teatro di prosa e musicale (sia sul palcoscenico, che ai microfoni) - e per lo schermo, cantante e autrice di testi, la Chiarini - membro anche del CENDIC, Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea - ha creato spettacoli che salvaguardano forme espressive musical-teatrali patrimonio dell’identità italiana ed europea, con forte attenzione per le nuove generazioni. Tutto ciò, rimanendo personaggio fuori dal coro, mai omologatosi alle logiche di mercato e di potere dello show-business, e riuscendo ad anticipare, con le sue creazioni, anche tendenze di cultura e di costume; un’artista, insomma, orgogliosa di essere rimasta sempre fedele alle sue convinzioni e al principio della “santità laica dell’attore”, inculcatole dal suo Maestro Fersen.
Violetta, come stai vivendo questa situazione di “prigionia” che riguarda tutti noi?
Sto tesaurizzando lo stop a tutte le attività, comprese le relazioni sociali dirette, con un provvidenziale ritiro nella mia casa di Casperia, in provincia di Rieti, nella campagna sabina. Qui ho anche il mio Centro Culturale “Piccolo Teatro del Violangelo”, col quale da oltre dieci anni svolgo attività di cultura, di spettacolo e di ricerca nel territorio.
Anni fa, tu hai creato l' Associazione “Terzo Millennio - Compagnia del Violangelo”, che ha presentato – in Italia e all'estero - performances di prosa e musica, assimilate dalla critica autorevole al Kabarett musical-letterario: spettacoli dal taglio brillante e giovanile, accomunati da una forte ricerca filologica e letteraria e dall’intento di valorizzare aspetti della nostra cultura trascurati da quella ufficiale, o dalla pigrizia mentale del pubblico. Col Centro Culturale, invece, collaborando anche con altre realtà - come Teatro Helios di Bordighera, Bis Tremila Bideri Produzioni, Teatro dell’Albero di Imperia, e altre - hai fatto conoscere, in ambito teatrale, il nome della “Perla della Sabina”, come viene chiamata l’antica Aspra, oggi appunto Casperia: uno dei borghi antichi più belli d'Italia (citato addirittura nell' “Eneide” virgiliana) Quale attività, tra queste, ha maggiormente favorito l'evoluzione del tuo pensiero?
Il Violangelo è sempre stato il mio pensatoio, il “Buen retiro” contro lo stress metropolitano di Roma, che pure adoro e dove normalmente vivo. Questo periodo di quarantena, che ho la grande fortuna di trascorrere nella pace e nel verde, mi facilita una profonda riflessione sulla vita, mi stimola pensieri e considerazioni affatto nuovi, in cui l’ego si fa da parte, per lasciar scaturire un senso di forte legame con tutta l’umanità e con la natura, mai provato prima così profondo e potente. E ripenso alle parole d’un’ intellettuale indiana riguardo alla pandemia, quando dice che la Natura, grande sperimentatrice, scarta le specie che non supportano l’intero sistema. Può essere vero, se pensiamo che nel corso di innumerevoli millenni sono scomparsi i dinosauri e altre specie, compreso l’uomo di Neanderthal. E noi siamo sicuri del successo della nostra specie, di sopravvivere per sempre, di essere di beneficio all’intero sistema? C’è da dubitarne fortemente, data la nostra crudeltà verso il pianeta Terra, a cui abbiamo distrutto piante e animali, e data anche la nostra mancanza di evoluzione come specie. Mentre le altre specie animali, infatti, uccidono solo perché minacciate, o affamate, noi uccidiamo le altre specie non per sopravvivenza, ma per senso di superiorità e di dominio, quando non per solo piacere. Il problema coronavirus non è la Cina o i cinesi, ma la nostra coscienza. Viviamo, infatti, pensando di essere separati da tutti, in una disconnessione che ha, in ogni campo, le sue ripercussioni. Vediamo infatti la violenza, figlia della paura, in tutte le sue forme aumentare in ogni parte del mondo; e il dilagare del cancro, delle calamità naturali, del coronavirus…
Tutto questo, mentre invece l'umanità da sempre, ben prima della rivoluzione telematica, è spiritualmente connessa con tutto il mondo e con le altre specie viventi. Forse, questa pandemia ce lo farà finalmente capire a fondo…
Ora o mai più!, Direi che questo è il momento della nostra trasformazione, che non dobbiamo assolutamente perdere, se vogliamo creare un mondo migliore per noi e per quelli che verranno. Dobbiamo capire che la solitudine è un’illusione, perché in realtà siamo tutti legati da una rete di relazioni tra persone e cose, siamo collegati al tutto; se riusciamo a percepire dentro di noi questi legami con l’intero universo, non ci sentiamo più separati dal mondo, e gli altri non diventano più i nemici da temere e combattere, bensì i fratelli con cui dialogare. È così che deponiamo le nostre armi interiori e diventiamo – per riprendere lo storico “Discorso della Montagna” del Vangelo - costruttori di pace. Questo tema del cambiamento, della rivoluzione umana di ciascun individuo - fulcro del pensiero del mio Maestro spirituale Daisaku Ikeda (il filosofo, educatore e maestro buddhista giapponese, attuale Presidente della Soka Gakkai International, N.d.R.) - cerco di svolgerlo nello scrivere testi (anche poetici e saggistici) e preparando spettacoli contenenti appunto tale messaggio, provando a dimostrare - sempre attraverso il linguaggio teatrale e l’evento scenico - che non è affatto utopico.
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Violetta Chiarini nello spettacolo "Come il colibrì"
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Quale tuo nuovo progetto persegue questi obbiettivi?
Penso soprattutto al mio ultimo progetto “Si vis pacem…”. Consta di tre spettacoli, due di prosa e uno musicale, diversi per forma, plot narrativo e linguaggio, ma accomunati da un denominatore comune: che è il capovolgimento del celebre detto latino “Si vis pacem, para bellum” in quella che è, invece, la formula oggi necessaria all’umanità: “Si vis pacem, para pacem! ” . Il primo di questi 3 spettacoli, Guerra mondiale e guerretta metropolitana, testo di prosa, ha vinto il “Premio Sipario-Portale dello Spettacolo” nel concorso di drammaturgia “Autori italiani 2018”, e ha debuttato il 28 Dicembre al Teatro Comunale di Casperia, come vincitore del bando della R.A.S.I., “Rete Artisti Italiani per l’Innovazione”.
Sì, è spettacolo – recensito anche su questa testata l'inverno scorso – che effettivamente affronta il tema guerra-pace in modo nuovo (col confronto tra situazioni della Seconda guerra mondiale e della Roma, violenta e stressante, degli anni '80-'90); ed offre una prospettiva nuova, in cui il ruolo della donna diventa fondamentale per la storia futura. E cosa puoi dirci degli altri due spettacoli?
Il secondo spettacolo di prosa si intitola Come il colibrì: è andato in scena in estratto, per esigenze di rassegna, al Teatro “Tordinona” di Roma per il Festival della Drammaturgia Italiana “Schegge d’Autore 2019”, in attesa di debutto integrale. Qui il tema della rivoluzione umana e della pace è trattato in chiave di empowerment femminile: la donna, sempre più protagonista del XXI secolo, madre dell’uomo, oltre che di sé stessa, prende coscienza del suo potere di creare un essere umano nuovo, un condottiero di pace. Ella è in grado, infatti, di deporre nel cuore della sua creatura i semi della pace fin dalla più tenera età, diventando così la chiave di volta per la formazione dell’umanità futura.
Tu hai sempre coltivato la passione per la musica, accanto a quella per il teatro, e hai realizzato vari spettacoli di teatro musicale, sempre con “Terzo Millennio- Compagnia del Violangelo”, strumento di base delle tue produzioni teatrali; col Centro Culturale di Casperia, inoltre (da te fondato e presieduto), hai contribuito a salvare la memoria storica di forme di teatro musicale italiano ed europeo che rischiavano di scomparire. In questa tua “trilogia della pace”, è compreso il tuo modo particolare di far teatro con la canzone, che ti ha contraddistinto nel panorama teatrale internazionale?
Non poteva mancare, nel mio progetto, un concerto-spettacolo. Si intitola E la Violeta (no) la va a la guera, con riferimento al famoso canto alpino “La Violeta la va la va”: è frutto del mio lungo sodalizio artistico con Antonello Vannucchi, musicista di fama internazionale, tra i padri del Jazz italiano, purtroppo recentemente scomparso. Lo spettacolo, coi modi del teatro musicale, vuole ispirare una riflessione su tutte le guerre e sulla ricerca di una convivenza civile che bandisca ogni forma di sopraffazione e di violenza. Il repertorio è costituito da canzoni e canti che hanno accompagnato le lotte e i conflitti armati del ‘900 europeo, rivisitati in una chiave nuova, ma sempre attenta al rispetto e alla valorizzazione del loro spirito originario: incastonati in un tessuto letterario in versi che ho scritto appositamente, per cui lo spettacolo-concerto rappresenta una novità assoluta. Non è potuto ancora andare in scena, sia per la scomparsa del mio insostituibile pianista accompagnatore, che da solo rappresentava un’intera orchestra, che per l’emergenza del coronavirus. Così, nel mio Buen retiro in Sabina, tra una pratica di meditazione e l’altra, mi sto dedicando al lavoro preparatorio che precede il debutto.
Quando pensi che avverrà?
Sono ottimista e spero di tornare in scena quanto prima. Faccio mio il famoso detto popolare “Più profonda è la notte, più vicina è l’alba”, e sento che sarà così. Noi esseri umani, oggi sofferenti e immersi nel caos, usciremo alfine arricchiti da questa terribile esperienza della pandemia, avremo conquistato la consapevolezza per aver imparato la lezione che la Natura ci ha impartito, proiettandoci così in un’epoca nuova.
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