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venerdì, 20 dicembre 2019 18:59 |
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Da sinistra, Fabrizio Federici, Aldo Francesco Ciaccio e Jean-Marie Gervais
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Fabrizio Federici
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Repubblica Democratica del Congo, già colonia belga, l'ex Zaire di Mobutu ( che dal 1997, con la caduta del
suo regime e la morte in esilio del dittatore, ha preso definitivamente questo nome, distinguendosi
dall'altra, molto più piccola per estensione, Repubblica del Congo ex-francese di Brazzavillle): un Paese dilaniato, in 60 anni di indipendenza, da conflitti feroci, causa di milioni di vittime. Fatti come la secessione del Katanga (luglio 1960), l'area del Paese più ricca di risorse minerarie (diamanti, rame, uranio, e altro ancora) e l'assassinio del Presidente socialista Patrice Lumumba (gennaio
1961), hanno causato in questo Paese ferite molto gravi, in buona parte ancora non sanate. Nel 2018-'19, finalmente il Governo belga ha pronunciato un doveroso "mea culpa" per l'uccisione di Lumumba ad
opera di mercenari filoccidentali e filostatunitensi, dedicandogli - se non andiamo errati - una piazza e una
lapide a Bruxelles. A questi traumi si sono aggiunti gli altri della nuova guerra civile esplosa a fine anni '90 dopo il crollo del mobutismo, con la tentata secessione di altre province del Nord ed Est del Paese, e
l'inserimento anche di potenze limitrofe (Zimbabwe, Angola). Il risultato è un altro di quei genocidi che l'Occdente finge di non vedere: 6 milioni di congolesi uccisi negli ultimi anni, la devastazione di vaste zone del Paese e il
grave ristagno del suo sviluppo, nonostante gli aiuti (peraltro probabilmente "interessati") della Cina
popolare, dal 2009 in poi. A tutto questo si è aggiunto, negli ultimi anni, il flagello dell' Ebola,
periodicamente serpeggiante.
Domenica 22 Dicembre, alle 11, nella chiesa della Natività di Piazza Pasquino (di fronte alla statua tra i più popolari simboli di Roma, e a pochi passi da Piazza Navona), sarà celebrata una Messa con il rito zairese:
rito che, approvato dalla Congregazione vaticana per il culto divino nell' 88, dopo un lungo processo di
inculturazione della liturgia, incoraggiato da Paolo VI e Giovanni Paolo II, pur mantenendo i punti essenziali del rito cattolico, tiene conto (così come la Chiesa fa da decenni per tanti altri Paesi del Terzo Mondo) della tradizione stilistica orale africana, coinvolgendo attivamente l’assemblea attraverso danze e canti accompagnati da tamburi e altri strumenti tradizionali. Il tutto rappresenta una tappa importante nell' Anno giubilare dei cattolici congolesi: iniziato il 1° dicembre; quando, all’Altare della Cattedra della Basilica di S. Pietro, Papa Francesco ha presieduto la Messa per la Comunità cattolica congolese di Roma in occasione del 25° anniversario della fondazione della cappellania, appunto nella chiesa della Natività a Piazza Pasquino.In quell'occasione, Bergoglio ha pregato per la pace nell’ est del Paese, specie nei territori di Beni e di Minembwe, devastati
dai conflitti; e, ha chiesto con forza che «si rinunci alle armi e ci si converta da un’economia che si serve della guerra a un’economia che
serva la pace».
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Da sinistra, Aldo Francesco Ciaccio e Fabrizio Federici
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Le attività del Giubileo (che proseguirà sino al 1° dicembre 2020) sono organizzate dalla comunità cattolica congolese di Roma in stretta collaborazione con l' associazione di promozione sociale "Tota Pulchra": che, nata nel 2016 da un’idea di Monsignor Jean-Marie Gervais, Prefetto Coadiutore del Capitolo Vaticano, presieduta dallo stesso Gervais vuole dare ospitalità e spazio agli artisti, specie ai più giovani e/o bisognosi, aiutandoli ad esprimere la propria arte e, al contempo, organizzando e promuovendo eventi d'ogni tipo. Il Giubileo dei cattolici congolesi proseguirà nel 2020 con varie iniziative religiose e culturali: tra cui una dedicata specficamente ai beati congolesi, e un
importate convegno nei primi mesi del nuovo anno.
La celebrazione di Domenica prossima si concentrerà più sull’indulgenza plenaria concessa dalla Santa
Sede per quest'anno giubilare, il cui bollo sarà solennemente letto durante la Messa. Altro momento essenziale sarà l'esibizione di Aldo Francesco Ciaccio, cantautore, musicista ("menestrello", si definisce lui stesso) e artista figurativo, calabrese d'origine: che canterà "I love you Jesus cries". Una canzone (titolo inglese, testo in italiano) che Ciaccio - amico di artisti come Umberto Tozzi, Pupo, Albano, Gianni Morandi - ha scritto nel '99, cantandola per la prima volta la sera della Vigilia di Natale nella chiesa di Forcella (il popolare quartiere di Napoli): e che rappresenta un
sincero omaggio alla grandezza di Cristo, simbolo non solo di amore universale, ma di empatia, di
comunicazione con tutti, di dialogo interreligioso e interculturale, di capacità di accettare gli altri, contro
qualsiasi muro dell'odio e dell'intolleranza, e lottare contro guerre, sottosviluppo, trattamento criminale
dell'infanzia. "Dopo varie vicissitudini - spiega Ciaccio - ho deciso, da anni, di dedicare la mia vita sopratutto a Cristo, cercando di far capire al mondo qual è veramente il suo messaggio: dopo Forcella, nel 2000 portai la canzone a Vienna, dove ebbi l'appoggio di un grande del pianoforte, Willi Schneider. Decisi, allora, di
portare "I love you, Jesus cries" (notare il gioco dell'assonanza "Christ"/ "cries", terza persona singolare del presente indicativo del verbo "to cry", "piangere" N.dR.) in giro per il mondo. Tanti artisti, in questi 20 anni, avrebbero voluto comprarla, io non ho mai voluto cederla, ma chiedo che qualsiasi provento economico
che ne derivi sia usato solo per soccorrere la povera gente in tutto il mondo. Mi piacerebbe anche che questa canzone diventasse l'inno della comunità cattolica congolese".
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