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Venezia: Idoli, il potere dell'immagine

mercoledì, 12 dicembre 2018 18:57

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Idolo a occhi con corpo convesso - Asia occidentale 3300-3000 a.C. - Alabastro gessoso, alt. 9 cm, largh. 7,8 cm - Collezione Ligabue, Venezia
Francesca Bianchi
Resterà aperta fino al prossimo 20 gennaio, nelle eleganti sale di Palazzo Loredan - Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, a Venezia, la mostra Idoli. Il potere dell'immagine, promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue e curata da Annie Caubet, conservatrice onoraria del Musée du Louvre.
FtNews ha intervistato il prof. Stefano de Martino, ordinario di Anatolistica all'Università di Torino ed autore di un saggio nel prezioso catalogo edito da Skira.
Il Prof. de Martino ci conduce in un entusiasmante viaggio nel tempo e nello spazio, dove protagonisti assoluti sono oltre 100 straordinari reperti tra Occidente ed Oriente, dalla Penisola Iberica alla Valle dell'Indo, dalle porte dell'Atlantico fino ai remoti confini dell'Estremo Oriente, risalenti ad un’epoca di grande transizione, in cui i villaggi del Neolitico si evolvono a poco a poco nelle società urbane dell’Età del Bronzo. Delle misteriose ed affascinanti rappresentazioni della figura umana che è possibile ammirare a Palazzo Loredan, quattordici appartengono alla Collezione Ligabue, tutte le altre provengono da collezioni private internazionali e da importanti musei europei.
Il prof. Stefano de Martino chiarisce subito i due aspetti centrali della mostra: la rappresentazione del divino, incarnata dalle tante "Dee Madri" esposte, sublimi nella loro eterna, primordiale bellezza, e i contatti culturali tra regioni diverse. De Martino dichiara che è sorprendente vedere come, in parti del mondo tra loro lontanissime, si siano affermate tradizioni e forme di rappresentazioni simili, specificando, però, che si tratta di figure simili all’apparenza, rispondenti a codici iconografici analoghi, perché ciascuna è un "unicum" nelle proporzioni, nei particolari, nel fascino, grazie al tocco dell’artista.
Nel corso della nostra conversazione, l'accademico si è espresso anche in merito al metodo di ricerca di Marija Gimbutas, archeologa e linguista lituana che ricostruì la storia dell'Antica Europa e che nei pannelli esplicativi della mostra di Venezia non viene mai menzionata.
Al termine dell'intervista lo studioso si è soffermato con orgoglio sull'alta qualità scientifica della mostra, che grazie alla bellezza dei reperti esposti e alla ricchezza dei materiali didattici si presenta in una forma adatta anche ad un pubblico di non addetti ai lavori. Dalle sue parole emerge chiaramente la gratitudine per la Fondazione Ligabue e per il suo Presidente, il dott. Inti Ligabue, che ha fatto della divulgazione della conoscenza la sua missione.

Prof. de Martino, la mostra Idoli. Il potere dell'immagine, curata da Annie Caubet, conservatrice onoraria del Musée du Louvre, propone un affascinante viaggio nel tempo e nello spazio, prendendo in esame oltre 100 opere tra Occidente ed Oriente, dalla Penisola Iberica alla Valle dell'Indo, dalle porte dell'Atlantico fino ai remoti confini dell'Estremo Oriente, risalenti ad un periodo compreso tra 4000 e 2000 a.C. Come è nata l'idea di organizzare un'esposizione di così alto livello scientifico, centrata sulla raffigurazione del corpo umano nel periodo tradizionalmente considerato l'alba della civiltà?
La progettualità della mostra si deve al Dott. Inti Ligabue, Presidente della Fondazione Giancarlo Ligabue, e alla Dott.ssa Annie Caubet. Era intenzione del Dott. Ligabue costruire una mostra che, diversamente dalle altre fino ad ora organizzate dalla Fondazione, presentasse non solo pezzi della Collezione Ligabue, ma anche opere conservate presso Musei e collezioni italiani e stranieri. Si voleva partite da alcuni pezzi significativi che fanno parte della Collezione Ligabue e rimandano al mondo del culto e della religione, quali ad esempio la “Venere Ligabue”, una figurina raffigurante un personaggio femminile seduto, la cui provenienza è l’Asia centrale, più precisamente la regione del fiume Oxus. Al tempo stesso la “Venere Ligabue”, come gli altri reperti dell’area dell’Oxus, presenta caratteri che rimandano sia alla Mesopotamia, sia alla valle dell’Indo; si sono, quindi, delineati due aspetti centrali per la mostra: la rappresentazione del divino e i contatti culturali tra regioni diverse.

Perché si parla di "Idoli"? A cosa si fa riferimento e cosa si intende con questo termine?
Il termine “idoli” fa riferimento alla rappresentazione del divino e, quindi, a come gli uomini materializzavano le immagini delle divinità e all’uso che di queste immagini si facevano nell’ambito del culto, sia in sedi ufficiali come i templi, sia per devozione personale, ad esempio nell’ambito di edifici di uso domestico oppure per accompagnare i defunti nel loro viaggio nell’oltretomba.

Come è strutturato il percorso espositivo che attende i visitatori?
La mostra segue un percorso geografico. Si parte dall’estremo Occidente, cioè la Penisola Iberica, per raggiungere la Sardegna, le isole Cicladi, Cipro, l’Anatolia, l’Egitto, la penisola arabica, la Siria, la Mesopotamia, l'Iran, l’Asia centrale e, infine, la Valle dell’Indo.

Come mai è stata presa in considerazione un'estensione cronologica e geografica così ampia? E' possibile ravvisare una continuità, in parti del mondo tra loro lontanissime, dei linguaggi figurativi adottati nella raffigurazione del corpo umano, in particolare nella rappresentazione della figura femminile?
Il periodo preso in esame comprende due millenni; questo periodo è stato scelto non a caso, ma ha un significato storico estremamente importante, perché corrisponde all’età nella quale in molte regioni del mondo antico, quali l’Egitto, la Mesopotamia e la valle dell’Indo, si verificano grandi trasformazioni culturali, sociali e politiche. E' in questo periodo, infatti, che nascono le prime grandi città e, dunque, le comunità agricole danno vita a strutture urbane, con differenziazioni di compiti e funzioni e con gerarchie sociali definite. Tutto questo ha ovviamente una ricaduta anche nel culto, con la formazione di grandi strutture templari centralizzate
Figura steatopigia stante - Arabia sud-occidentale - IV millennio a.C. - Basalto, alt. 22 cm - Collezione privata, Londra
L’area geografica è molto vasta e comprende due macroregioni, quella del Mediterraneo e quella dell’Asia centrale. Il Mediterraneo era una grande via di comunicazione non solo commerciale, ma anche culturale, che permetteva la trasmissione di conoscenze tra paesi lontani tra di loro. Gravitavano sull’asse mediterraneo non solo la Penisola Iberica e le isole del Mediterraneo, dalla Sardegna, a Cipro e alle Cicladi, ma anche l’Anatolia, la Siria e l’Egitto. L’altra macroregione è quella dell’Asia centrale, dall’Iran alla valle dell’Indo. Qui le comunicazioni seguivano prevalentemente il corso dei grandi fiumi. La Mesopotamia appare in questa mostra non più, come in genere si fa, il centro del mondo antico preclassico, ma come una regione di cerniera tra l’Oriente e l’Occidente. In forza di questa sua collocazione geografica, è proprio la Mesopotamia a recepire e a diffondere suggestioni provenienti sia da ovest che da est.

Come interpreta il fatto che in parti del mondo tra loro lontanissime si siano affermate tradizioni e forme di rappresentazioni simili e si siano ritrovati materiali necessariamente giunti da paesi distanti, eppure già in relazione tra loro, quali l'ossidiana della Sardegna e dell'Anatolia, i lapislazzuli importati dall'Afghanistan, l'avorio ottenuto dalle zanne degli ippopotami dell'Egitto o delle Coste del Levante?
La circolazione di materie prime e beni di lusso era molto attiva già in età antica. Il lapislazzuli veniva esportato dall’Asia centrale verso regioni molto lontane e raggiungeva tutti i centri principali dell’area del Mediterraneo. Anche l’ossidiana aveva una circolazione vasta: in Anatolia essa era diffusa su tutto il territorio, nonostante non fossero molti i luoghi dai quali l’ossidiana veniva ricavata. Non dobbiamo pensare che il commercio di questi materiali avvenisse attraverso percorsi diretti e tramite le stesse persone. Le merci probabilmente transitavano di villaggio in villaggio attraverso un percorso di centinaia e centinaia di chilometri. Le soste nelle tappe intermedie favorivano sicuramente la conoscenza di realtà ambientali e culturali diverse e lo scambio reciproco di informazioni sia di carattere tecnologico, sia più genericamente culturale. Questo, però, non deve portarci a sostenere teorie diffusionistiche e a vedere iconografie o fenomeni simili e documentati in luoghi lontani, necessariamente come dovuti alla loro diffusione dall’originario centro di ideazione fino a terre lontane. Un esempio è costituito dall’iconografia in qualche modo confrontabile degli idoli a occhi dell’Asia occidentale con quella delle figure con occhi della Penisola Iberica: in entrambi i casi i grandi occhi spalancati presumibilmente rappresentano in maniera tangibile lo stupore e la contemplazione della vista delle divinità. Si tratta di un concetto che culture diverse, in maniera del tutto autonoma e l’una indipendentemente dall’altra, possono sviluppare e realizzare.

Come si è evoluto il sistema simbolico, metaforico e spirituale di quel "grande arazzo di culture interconnesse" che si venne a creare tra la fine del IV e per tutto il III millennio a.C.?
Il percorso espositivo della mostra si articola nelle singole sezioni anche in maniera diacronica e, quindi, il visitatore può rendersi conto che in molte regioni la raffigurazione tradizionale delle divinità femminili steatopigie venne abbandonata e si costituirono due filoni iconografici, uno indirizzato verso la raffigurazione astratta, con corpi resi mediante volumi geometrici e a volte astratti (ad esempio gli idoli a disco da Kültepe), e un altro, invece, che favorisce la rappresentazione naturalistica, come vediamo ad esempio in Mesopotamia. La nascita dei centri urbani e di strutture politiche che controllavano territori vasti e produttivi ha portato da un lato al formarsi di artigiani professionisti che hanno sviluppato tecniche di lavorazione sofisticate, e dall’altro di una committenza che richiedeva prodotti sempre più elaborati, fatti di materiali pregiati e distintivi di una condizione sociale elevata.

Quale messaggio, quali idee trasmettono questi reperti senza tempo?
Si tratta di un viaggio virtuale attraverso un’antichità remota. Il visitatore può semplicemente ammirare con curiosità i pezzi esposti, oppure può anche cercare di comprendere le modalità attraverso le quali i popoli antichi immaginavano l’aspetto delle loro divinità, in epoche e regioni diverse. Un significativo supporto per la comprensione della mostra è dato dai materiali didattici, quali i pannelli esplicativi e il materiale multimediale.

Che immagini ci forniscono della cultura che li ha prodotti? Cosa ci rivelano dell’ambiente sociale, economico, culturale e religioso in cui sono nati?
Le immagini sono un patrimonio straordinario di conoscenza. Dobbiamo, però, sempre tenere presente che esse vanno studiate nel loro contesto di provenienza. Una statuetta che era stata deposta in una sepoltura aveva sicuramente un significato diverso rispetto ad una che si trovava all’interno di un tempio oppure di un edificio abitativo. Queste ultime erano raffigurazioni in genere fatte di materiali poveri, come l’argilla. Un simulacro divino in un tempio era invece realizzato con materiali pregiati dai migliori artigiani. Nelle sepolture, infine, il defunto portava con sé quanto di meglio aveva e alcuni degli oggetti del corredo dovevano essere "markers" della sua specifica condizione sociale. Inoltre, anche le modalità di conservazione danno indicazioni importanti. Ad esempio, è stato osservato che alcune delle immagini femminili rinvenute in contesti domestici in Anatolia e in Siria erano state spezzate intenzionalmente in antico separando il capo dal corpo. E’ stata avanzata l’ipotesi che questo fosse stato fatto all’interno di rituali magici di passaggio che segnavano le diverse fasi della vita di una donna, in particolare il passaggio dalla pubertà all’età adulta. La figurina spezzata segnava questo passaggio e al tempo stesso voleva assicurare alla giovane donna la realizzazione della sua nuova fase della vita, forse come moglie e madre. Dunque, il singolo reperto va sempre posto nel suo contesto di ritrovamento, considerando il momento in cui è stato prodotto ed utilizzato e tutte le altre informazioni che l’archeologia può dare.

In quale momento la rappresentazione femminile connessa alla fertilità, alla generatività, all'abbondanza, tanto diffusa nel Neolitico, iniziò a perdere valore?
Le cosiddette "Dee Madri" sono diffuse prevalentemente in società agricole, dove le manifestazioni religiose e i culti erano fondamentalmente finalizzati ad assicurare il ciclo della produttività agricola, indispensabile per la sopravvivenza. Quando, intorno al 3000 a.C., si sviluppano società urbane, l’economia di queste società non è più solo agricola, ma si sviluppano anche l’artigianato, i commerci, le attività militari e, quindi, l’interazione tra uomini e dei diviene più complessa, con "panthea" composti di molte divinità maschili e femminili e, al tempo stesso, all’interno di società nelle quali il ruolo degli uomini era ormai prevalente, anche le raffigurazioni di personaggi maschili si diffondono. Dobbiamo, però, cercare di evitare generalizzazioni eccessive; infatti nel sito di Çatal Höyük, dove è stata ritrovata la statuetta (pag. 33 del catalogo) esemplificativa della categoria delle immagini femminili steatopigie, sono state rinvenute anche molte altre immagini in argilla raffiguranti umanoidi senza marcature sessuali e moltissime raffigurazioni di animali.
Figura Femminile geometrica - Sardegna, Turriga (Senorbì) - Antica Età del Bronzo - Marmo, alt. 43 cm, largh. 18 cm - Polo Museale della Sardegna - Museo Archeologico Nazionale di Cagliari
Perché, secondo Lei, le statuette preistoriche suscitano in noi ancora così tante emozioni? Come si spiega il loro fascino senza tempo che oltrepassa le generazioni e i millenni?
Alcune delle raffigurazioni, ad esempio gli idoli cicladici, sono forme astratte che appaiano particolarmente vicine alla nostra sensibilità, perché ci ricordano opere dell’arte contemporanea e, quindi, paradossalmente sono estremamente moderne, nella loro essenzialità di forme.

Nell'apparato didattico che accompagna l'esposizione non si parla mai di "Grande Madre" o di "Grande Dea". Perché si evita quasi sempre una presa di posizione netta in merito alle interpretazioni di queste statuette femminili arcaiche? Cos'era, secondo Lei, il culto della Dea e che peso hanno avuto in merito le ricerche di Marija Gimbutas, straordinaria studiosa che con instancabile passione ha indagato i culti della Vecchia Europa dell'età neolitica? Io non ricordo di aver mai sentito pronunciare il suo nome dai numerosi docenti che ho avuto nel corso della mia carriera scolastica ed universitaria. Come si spiega tanto oscurantismo da parte della cultura ufficiale nei confronti di questa studiosa e del suo metodo di ricerca?
Marija Gimbutas è stata sicuramente una grande studiosa, ma il nostro percorso scientifico subisce necessariamente evoluzioni sia metodologiche che conoscitive. La Gimbutas ha portato avanti le sue ricerche fondamentalmente cercando di identificare tratti culturali con specifici popoli. La Gimbutas contrapponeva le società agricole preindoeuropee (nelle quali il culto delle divinità femminili sarebbe stato particolarmente sviluppato) alla cultura indoeuropea, maschile, bellicosa e, dunque, portatrice di culti legati ad entità maschili, secondo una visione stereotipa che oggi non è più condivisibile. Anche la teoria secondo la quale il percorso seguito dagli Indoeuropei sarebbe identificabile attraverso le sepolture maschili monumentali (i Kurgan) non è più sostenibile. Questa mostra fa chiaramente comprendere come popoli e regioni diverse possano sviluppare in maniera indipendente pensieri e manufatti simili e, al tempo stesso, la diffusione di conoscenze non è attribuibile sempre all’arrivo di nuove genti, ma sono le connessioni commerciali che diffondono tradizioni ed innovazioni da un paese all’altro.

Ad un certo punto si passò dall'esclusiva presenza di figure femminili al trionfo delle rappresentazioni maschili. In quale momento storico gli uomini (dei, sovrani, eroi) divennero protagonisti? Quali fattori determinarono questa inversione di rotta?
Il formarsi di entità politiche consolidate in Mesopotamia, in Egitto e nella Valle dell’Indo indubbiamente portò a rendere il ruolo dell’uomo prevalente all’interno delle società, nella figura del re, dei funzionari di rango nelle gerarchie militari. Gilgamesh è un caso esemplificativo: è un grande sovrano le cui imprese vengono cantate e diffuse. I sovrani fanno erigere immagini di loro stessi. Ancora una volta, però, non dobbiamo generalizzare. Le divinità femminili sono ancora al centro dei sistemi religiosi di molti paesi, dalla Mesopotamia all’Egitto. E spesso le divinità sono organizzate in famiglie divine, nelle quali il dio ha una sua consorte che è una divinità ovviamente femminile.

La dott.ssa Annie Caubet ha curato anche il catalogo della mostra, edito da Skira ed intitolato Idoli. Il potere dell'immagine. Come è strutturato e di quali contributi si avvale?
Il catalogo si apre con una serie di saggi (v. la sezione Lo Scenario) introduttivi, poi segue il percorso espositivo che si muove da Occidente verso Oriente. La curatrice Annie Caubet, che ha una competenza trasversale molto vasta, essendosi occupata nel corso della sua carriera di regioni ed epoche diverse, dal Mediterraneo all’Asia centrale, è autore di alcuni saggi e di molte delle schede delle opere esposte. La Caubet, tuttavia, ha anche coinvolto studiosi, ciascuno esperto di una singola area geografica, i quali hanno scritto saggi tematici. In questa maniera i vari capitoli sono stati affidati ad esperti con competenze specifiche e questo era necessario per un catalogo che raccoglie opere di epoche e regioni tanto diverse. Skira ha assicurato al catalogo una veste grafica di altissima qualità.

Quali riflessioni si augura che questa splendida mostra possa suscitare in tutti coloro che avranno il piacere di visitarla?
La diffusione della conoscenza del mondo antico è un dovere per tutti coloro che lavorano nelle università e nelle strutture museali. Molto spesso siamo autori solo di opere scientifiche non fruibili da un grande pubblico, mentre invece è necessaria la resa in maniera fruibile da tutti, ma al tempo stesso pienamente corretta, dei risultati più recenti della ricerca scientifica in campo umanistico. Il coinvolgimento di esperti accreditati assicura la qualità scientifica della mostra e del catalogo, ma si è cercato di esprimere i contenuti in maniera facilmente comprensibile. La mostra, sia per il fascino dei reperti esposti, sia per l’estrema eleganza dell’esposizione e la ricchezza dei materiali didattici assolve pienamente alla duplice funzione di offrire un prodotto di alta qualità scientifica in una forma adatta anche ad un pubblico vasto. Ma questa funzione di disseminazione della conoscenza la Fondazione Ligabue la assolve da molti anni con risultati di altissima qualità e ancora una volta il nostro grazie va al Presidente Inti Ligabue per la sua generosità ed il suo inesauribile entusiasmo.
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