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lunedì, 26 febbraio 2018 10:45 |
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Francesca Bianchi
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Longobardi. Un popolo che cambia la storia, una mostra epocale che dopo il grande successo ottenuto al Castello di Pavia, è ora esposta al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove resterà aperta fino al prossimo 25 marzo, per fare poi tappa, a partire da aprile 2018, al Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo. Punto di arrivo di oltre quindici anni di nuove indagini archeologiche, epigrafiche e storico-politiche su siti e necropoli altomedievali, si tratta della più importante esposizione mai realizzata sui Longobardi. Oltre 300 le opere esposte, molte delle quali inedite, più di 80 i musei e gli enti prestatori, oltre 50 gli studiosi coinvolti nelle ricerche e nel catalogo edito da Skira, 32 i siti e i centri longobardi rappresentati in mostra, 58 i corredi funerari esposti integralmente, 17 i video originali e le installazioni multimediali, centinaia i materiali dei depositi del MANN vagliati dall’Università Suor Orsola Benincasa, per individuare e studiare per la prima volta i manufatti d’epoca altomedievale conservati nel museo napoletano.
FtNews
ha intervistato il prof. Federico Marazzi, che insieme al prof. Gian Pietro Brogiolo ha curato questa monumentale mostra organizzata da Villaggio Globale International. Il prof. Marazzi ha spiegato che questa esposizione fornisce una visione complessiva del ruolo, dell’identità, delle strategie, della cultura e dell’eredità del popolo longobardo, coprendo un arco temporale che va dalla metà del VI secolo, dalla presenza gotica in Italia, alla fine del I millennio. Lo studioso ha ripercorso le tappe più importanti della storia dei Longobardi, che nel 568, guidati da Alboino, hanno varcato le Alpi Giulie, iniziando la loro espansione sul suolo italiano che divenne, così, crocevia strategico tra Occidente e Oriente, un tempo cuore dell’Impero Romano e ora sede della Cristianità. Nel corso dell'intervista, il prof. Marazzi ha parlato dei caratteri della dominazione longobarda nell'Italia meridionale, soffermandosi sulle principali fasi che portarono alla conquista di Benevento, Capua e Salerno e sul ruolo di Napoli, città che si fece portavoce del ruolo fondamentale del Meridione nell’epopea degli “uomini dalle lunghe barbe” e nella mediazione culturale tra Mediterraneo e nord Europa.
Fino al prossimo 25 marzo, presso il Museo archeologico nazionale di Napoli, uno dei più antichi al mondo, sarà visitabile la mostra Longobardi. Un popolo che cambia la storia.
Perché questa monumentale mostra, che fino al 3 dicembre scorso è stata al Castello Visconteo di Pavia e che in aprile sbarcherà all'Ermitage di San Pietroburgo, è stata accolta proprio al Mann, tempio dell'arte greco-romana?
I motivi sono sostanzialmente due. Innanzitutto il MANN ci è apparso essere l’unica realtà in Campania in grado di supportare dal punto di vista logistico un evento espositivo di questa complessità, avendo al proprio interno tutte le competenze tecniche necessarie (conservatori, restauratori, architetti, archeologi, etc). In secondo luogo, è stata una precisa scelta del Direttore del Museo quella di aprire i propri spazi ad una visione “globale” dell’archeologia, che quindi superasse il recinto dell’età classica e prendesse in considerazione altri periodi altrettanto rilevanti per la storia e l’identità della Campania.
Quattro grandi mostre (Milano, Cividale-Passariano, Brescia, Torino) hanno illustrato negli ultimi quaranta anni i diversi aspetti della fase storica segnata dalla dominazione longobarda. Quali tasselli aggiunge e qual è la peculiarità di Longobardi. Un popolo che cambia la storia, la più importante esposizione mai realizzata sui Longobardi?
Negli ultimi quindici anni le scoperte archeologiche e l’approfondimento degli studi hanno proceduto a ritmi veramente serrati e quindi era di per sé rilevante la quantità di dati nuovi che si erano resi disponibili per la prima volta. Ma va aggiunto anche che la lettura dell’impatto dell’arrivo dei Longobardi sulla realtà italiana è andata mutando in questi ultimi anni, aprendosi ad una più attenta valutazione delle trasformazioni traumatiche che produsse sul tessuto sociale italiano e ad una considerazione più ponderata della capacità che questo popolo ebbe d’imprimere tali trasformazioni.
Come è strutturato il percorso espositivo che attende i visitatori?
Il percorso segue un ordine cronologico, procedendo dai reperti che rappresentano le fasi immediatamente anteriori all’arrivo dei Longobardi in Italia, sino a giungere alle estreme propaggini della vita degli stati longobardi del Sud e alla loro conquista da parte dei Normanni, negli ultimi decenni dell’XI secolo.
Chi erano i Longobardi? Perché cambiarono la storia?
In un’Italia già prostrata dalla lunga crisi determinata dal disfacimento dell’Impero d’Occidente e dalla sanguinosa guerra intrapresa dall’Impero d’Oriente (quello che noi chiamiamo Impero Bizantino) per riconquistarla agli Ostrogoti, l’arrivo dei Longobardi determinò la definitiva disarticolazione di quanto restava della società e delle istituzioni di origine antica, sostituendovi una dominazione impostata su presupposti e tradizioni completamente diverse. Differentemente da quanto avevano fatto gli Ostrogoti, che avevano cercato di dominare l’Italia con la collaborazione delle popolazioni locali, i Longobardi v’imposero la propria egemonia in modo assai meno “mediato”, di fatto facendo tabula rasa delle classi dirigenti e delle istituzioni romane e sostituendosi ad esse in modo brutale e radicale. Da quel momento in poi, la storia d’Italia avrebbe preso una direzione del tutto nuova, entrando definitivamente in quel periodo che noi oggi, convenzionalmente, chiamiamo “Medioevo”.
Quali sono state le tappe più importanti del radicamento longobardo in Italia?
Oltre quello dell’ingresso in Italia, avvenuto nel 568, il momento clou del radicamento longobardo nella Penisola può, a mio avviso, essere considerato quello in cui, intorno al 590, i Longobardi riuscirono fortunosamente a superare il tentativo posto in essere dall’Impero Bizantino, alleato con i Franchi, di eliminarli come entità politica indipendente. Da quel momento in poi, il regno e le sue istituzioni avrebbero trovato le condizioni per una progressiva stabilizzazione e, quindi, per avviare un processo di lenta integrazione con la realtà locale, che si sarebbe faticosamente compiuto nel corso del VII secolo.
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Edictum Rothari (codice membranaceo, Cod. Sang. 730), San Gallen, Stiftsbibliothek;
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Quali furono i caratteri della dominazione longobarda nell'Italia meridionale?
La dominazione longobarda sul Meridione, attestata a partire dall’anno 570, s’irradia a partire da Benevento. In questa città appare attivo già da allora un nucleo di Longobardi molto autonomi da quelli che avevano conquistato il Settentrione, tanto che si è ipotizzato che essi costituissero un gruppo distinto, magari già presente sul posto come truppe mercenarie al servizio dei Bizantini, poi ribellatesi ad essi. Le caratteristiche della dominazione sul Meridione non differiscono però in modo particolare da quelle attuate altrove in Italia, se non per il fatto di aver costituito una presenza di durata assai più lunga e, quindi, a partire dalla fine dell’VIII secolo, protagonista di un’esperienza del tutto originale e peculiare di queste regioni.
Può dirci qualcosa delle principali fasi che portarono alla conquista di Benevento, Capua e Salerno da parte dei Longobardi? Perché non riuscirono a prendere Napoli?
Per Benevento vale quanto ho già detto; Capua (Vetere) fu conquistata poco dopo il 590, mentre Salerno cadde in mano longobarda in un momento imprecisabile nel corso della prima metà del VII secolo. Il perché Napoli non sia mai stata presa è difficile da stabilire: sicuramente la città era molto ben difesa, ma ciò non basta a spiegare come mai anche il territorio flegreo e vesuviano fossero riusciti a scampare alla conquista, se non immaginando che il fatto di essere terre affacciate sul mare abbia permesso loro di essere approvvigionate di mezzi e truppe con più facilità dalle flotte bizantine che dominavano il Mediterraneo. D’altra parte, tutte le aree costiere d’Italia furono difese dai Bizantini con ostinazione e conquistate dai Longobardi (quando vi riuscirono) con estrema lentezza.
Cosa ha significato l'alto Medioevo longobardo per la storia di Napoli e della Campania?
Per Napoli l’Alto Medioevo rappresenta l’inizio di una storia che si sarebbe compiuta tra la fine dell’VIII secolo e gli inizi del IX con la formazione di uno stato che, formalmente dipendente da Bisanzio, era in realtà ormai del tutto autonomo. Da quel periodo e sino al 1137, quando la città cadde nelle mani dei Normanni, Napoli conobbe l’unico periodo di vera indipendenza della sua storia, governata da duchi scelti tra le famiglie locali. Per la Campania in generale, si tratta di un periodo che, partendo dai drammatici e faticosi inizi del periodo successivo alla conquista, elaborò una cultura particolare, sospesa fra Mediterraneo ed Occidente.
Cosa sappiamo del rapporto tra il golfo di Napoli greco-bizantino e il resto della Campania longobardo?
Fu sicuramente un rapporto intenso e continuo, come quello che s’instaura fra qualsiasi “vicino di casa”, talora conflittuale, ma abitualmente caratterizzato da contatti pacifici di natura commerciale e culturale. Napoli (e poi anche Amalfi e Gaeta) era la porta d’ingresso e di uscita di cose e persone da e per tutto il Mediterraneo. Nonostante ciò, si trattò sempre di realtà che rimasero ben distinte fra loro dal punto di vista sociale e istituzionale.
Per quale motivo la figura di san Gennaro, patrono di Napoli, è legata ai Longobardi?
San Gennaro era stato vescovo di Benevento e, sebbene le sue reliquie fossero giunte a Napoli molto per tempo (provenendo da Pozzuoli, dove il santo aveva subito il martirio), il suo ricordo era rimasto sempre ben vivo nel capoluogo sannita, tanto che nell’831 il principe Sicardo, non riuscendo a conquistare la città, decise comunque di assalire le catacombe che si trovavano al di fuori delle sue mura e d’impossessarsi delle sue spoglie. Esse rimasero a Benevento per molto tempo, per tornare a Napoli solo alla fine del Medioevo, dopo diverse peripezie.
Quale messaggio, quali idee trasmettono gli oltre 300 oggetti esposti?
Difficile rispondere a questa domanda in poche parole. Sicuramente la storia che questa mostra racconta è quella di un passaggio drammatico della storia d’Italia, caratterizzato dall’impianto sul suo territorio di una cultura completamente diversa, seguita ad una migrazione “in armi” dell’intero popolo che ne era portatore e dalla riduzione in uno stato di soggezione di tutta la popolazione autoctona della Penisola. Solo molto lentamente (e lo raccontano le sezioni centrali dell’esposizione) si produsse un’integrazione fra le due componenti, che passò attraverso la tappa decisiva della conversione dei Longobardi al cattolicesimo, ma che non annullò mai il fatto che chi poteva definirsi “longobardo” (per discendenza di sangue o, più raramente, per cooptazione) occupava un posto nella società privilegiato e dominante rispetto a chi di quella compagine non faceva parte.
Che immagini ci forniscono della cultura che li ha prodotti? Cosa ci rivelano del sistema sociale, economico, culturale e religioso dei Longobardi?
Il quadro che emerge è molto chiaro: i Longobardi costituivano una popolazione organizzata su base clanica, in cui quello che contava erano l’abilità al combattimento, qualità che rendeva i maschi adulti in grado di godere della piena libertà individuale, e il rispetto dei legami di fedeltà che legavano fra loro gli individui di un medesimo clan, i clan fra loro e i capi di questi ai re che essi avevano nominato. All’inizio, quella longobarda era una società agropastorale, simile a molte altre che avevano caratterizzato la lunga protostoria dell’Europa centrale e settentrionale. L’arrivo in Italia, la definitiva sedentarizzazione e l’impatto con la complessa realtà materiale che essi vi trovarono determinò profondi mutamenti, tra cui la lenta nascita di un embrione di strutture statali, una diversificazione sociale sempre più accentuata e, lentamente, lo sviluppo di un’economia più complessa e articolata. Ma le lacerazioni prodotte dal loro ingresso in Italia comportarono un arretramento generale delle condizioni della Penisola che fu recuperato molto lentamente.
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Cofanetto reliquiario in osso, Susa, Museo Diocesano d'Arte Sacra - Sezione di Novalesa.
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Quali eventi hanno determinato la fine della dominazione longobarda?
I Longobardi entrarono in Italia profittando di un vuoto di potere creatosi fra i Bizantini, che non riuscivano a controllare interamente la Penisola dopo la fine della guerra gotica, e i Franchi, che non erano riusciti a stabilizzare la loro presenza nelle regioni settentrionali. Inserendosi in tale spazio, essi riuscirono a sopravvivere fra questi due ingombranti vicini, ritagliandosi un ruolo di potenza regionale, che non riuscì, però, mai nell’impresa di porre sotto il proprio controllo l’intero territorio della Penisola. Soprattutto, essi non riuscirono a conquistare Roma e ad assoggettare il papato. Quando tentarono di farlo, nell’VIII secolo, si trovarono di fronte all’ostilità irriducibile dei pontefici, che non intendevano essere posti sotto il controllo di un re che, sebbene ormai cattolico, era visto come un potere in grado di controllare troppo da vicino l’azione della Chiesa. Per questo, i papi coinvolsero di nuovo i Franchi sullo scenario italiano: la potenza militare di questi ultimi, di gran lunga superiore a quella longobarda, non ebbe difficoltà a mettere fine all’indipendenza del regno nato nel 568.
L'eredità di epoca longobarda è da molti considerata un tratto caratterizzante dell’identità storica italiana. In cosa consiste questa eredità e cosa è sopravvissuto oggi della dominazione longobarda?
I Longobardi, entrati quasi da “alieni” sul suolo italiano, sono divenuti, infine, parte inestricabile della sua storia e ne hanno plasmato il destino. Il loro ingresso – lo abbiamo già detto – ha rappresentato uno dei tornanti più drammatici e sconvolgenti che l’Italia abbia mai sperimentato, ma il tempo ha lentamente ricomposto la frattura, creando infine un organismo sociale e politico del tutto nuovo. La fusione dei due popoli ha creato un’entità nuova, che non era più né “romana” né “barbarica”, ma un’originale mescolanza delle due componenti. È nella lingua che parliamo tutt’oggi che troviamo la più evidente conseguenza di questo processo: l’italiano, benché a tutti gli effetti una lingua neolatina, è pieno di termini di origine germanica entrati nel lessico quotidiano proprio attraverso l’apporto dei Longobardi.
Molti storici dell’età del Risorgimento fecero notare che con l'avvento dei Longobardi prese le mosse quella storia di divisioni e di frammentazione politica che, nei secoli a venire, avrebbe portato l’Italia a divenire terra di conquista da parte di altre nazioni. L’arrivo dei Longobardi costituì davvero l’avvio di questa catena di eventi o fu la grande “occasione mancata” affinché l’Italia potesse rifondare su nuove basi la propria unità politica?
Nell’Ottocento (ma anche prima di quel momento) la parabola longobarda fu vista come lo specchio dei problemi di allora, legati alla riflessione sulla ricomposizione dell’unità politica della Penisola, che quel popolo aveva spezzato, ma che cercò anche (senza successo) di ricostituire. Oggi le migrazioni barbariche – e quella longobarda in particolare – vengono spesso evocate come specchio dei problemi attuali dell’Italia e dell’Europa. Non c’è mai, nella storia, un momento del passato che possa essere considerato il “calco” di una situazione presente, ma indubbiamente gli enormi sconvolgimenti che l’arrivo dei Longobardi determinò, costituiscono un’interessante casistica di situazioni che possono offrire spunti utili alle riflessioni sull’oggi e sul prossimo futuro.
Insieme al Prof. Gian Pietro Brogiolo e con la collaborazione della prof.ssa Caterina Giostra ha curato il catalogo della mostra, pubblicato da Skira Editore. Come è strutturato e di quali contributi si avvale?
Il catalogo segue il percorso in cui si articola l’esposizione. Con Brogiolo e Giostra si è potuto svolgere un lavoro ottimale perché abbiamo condiviso tutte le idee di fondo su questo progetto e siamo riusciti ad essere fra noi complementari. Ma la qualità del progetto è stata determinata anche dal fatto di avervi potuto coinvolgere molti altri specialisti di altissima qualità – italiani e stranieri – che hanno offerto il contributo di una ricerca rigorosa, aggiornata ed intellettualmente molto libera. Ma si farebbe un torto enorme se non si ricordasse che questa mostra ha potuto raggiungere i suoi obiettivi grazie soprattutto all’adesione convinta al suo progetto da parte dei musei che l’hanno ospitata e grazie alla professionalità di chi ne ha gestito l’organizzazione e la logistica. Non sarà mai possibile esprimere a parole in modo adeguato la nostra gratitudine verso tutte queste istituzioni e persone.
Quali riflessioni si augura che questa mostra possa suscitare in tutti coloro che avranno il piacere di visitarla?
La prima riflessione, che ho rivolto innanzitutto a me stesso, è che la storia rappresenta sempre un teatro al contempo grandioso e tragico, come vediamo accadere anche nel presente, che contiene al suo interno anche le storie quotidiane di persone che, come noi, hanno amato, sperato, sofferto, faticato e gioito. Il nostro dovere è cercare di ridare loro vita e parola, raccontando sia i grandi che i piccoli eventi, e far sentire vicino anche chi è lontano nel tempo, nei costumi e nella mentalità. Se i visitatori avranno provato questa sensazione anche per un momento, allora vorrà dire che il nostro lavoro non sarà stata fatica sprecata.
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