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MANN: grande successo per la mostra sull'America precolombiana

giovedì, 28 dicembre 2017 14:29

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Statuetta antropomorfa (Cultura Mezcala, Stato di Guerrero, Messico, Preclassico recente, 300-100 a. C.)
Francesca Bianchi
Il 30 ottobre scorso si è conclusa al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN), scrigno di cultura classica, Il mondo che non c’era. L’arte precolombiana nella Collezione Ligabue, straordinaria esposizione dedicata alle tante e diverse civiltà precolombiane che hanno prosperato per migliaia di anni nel continente americano prima dell’incontro con gli Europei. Dagli Olmechi ai Maya, dagli Aztechi agli Inca, passando per la grande testimonianza costituita dalla città di Teotihuacan, la mostra ha raccontato le antiche culture della cosiddetta Mesoamerica (gran parte del Messico, Guatemala, Belize, una parte dell’Honduras e del Salvador), il territorio di Panama, le Ande (Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia, fino al Cile e Argentina). Promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue di Venezia e dal Mibact-Museo Archeologico Nazionale di Napoli con il patrocinio del Comune di Napoli-Assessorato alla Cultura, con main sponsor Ligabue Group, Hausbrandt, Campari, DM Informatica e il sostegno di La Giara, la mostra è stata curata da Jacques Blazy, specialista delle arti pre-ispaniche della Mesoamerica e dell’America del Sud. Tra i membri del comitato scientifico anche André Delpuech, Direttore del Musée de l’Homme – Muséum National d'Histoire Naturelle di Parigi e già responsabile delle Collezioni delle Americhe al Musée du quai Branly, e l’archeologo peruviano Federico Kauffmann Doig, entrambi anche componenti del comitato scientifico della Fondazione Giancarlo Ligabue.
FtNews ha intervistato il dott. Paolo Giulierini, Direttore del MANN, che ci ha parlato dell'inserimento di questa mostra nel filone programmatico di eventi Classico /Anticlassico del piano strategico del museo partenopeo, un progetto che ha consentito di esporre al pubblico per la prima volta capolavori straordinari appartenenti alla Collezione Ligabue, una delle collezioni più complete ed importanti in questo ambito in Italia.
Nel corso della nostra piacevole conversazione, Giulierini si è soffermato sul valore educativo di questa mostra che, focalizzando l’attenzione sull’incontro tra due mondi, dovrebbe indurre a rifiutare primati o idee di superiorità di un popolo sull'altro e, soprattutto, dovrebbe far riflettere sull'importanza del confronto e del dialogo, con la consapevolezza che - per usare le parole di Giancarlo Ligabue - l’umanità è una sola e non si può dimenticare che, nella storia del mondo, non vi sono primi o secondi, grandi e piccoli, ma che in ogni popolo si ritrovano fermenti, origini, principi e radici di ciò che oggi noi siamo.

Dott. Giulierini, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che dal 20 dicembre ospita la mostra Longobardi. Un popolo che cambia la storia, fino al 30 ottobre scorso sono stati esposti quasi duecento pezzi relativi alla vita, ai costumi e alle cosmogonie delle culture Meso e Sudamericane prima dell'arrivo di Cristoforo Colombo. Quando fece la sua comparsa nella storia il cosiddetto "mondo che non c'era"?
Tra la fine del XV e gli albori del XVI secolo l’Europa venne scossa da una scoperta epocale: le “Indie”, “Il mondo che non c’era”. Un fatto che scardinò la visione culturale del tradizionale asse Roma – Grecia – Oriente, l’incontro di un nuovo continente e, secondo l’antropologo Claude Lévi-Strauss, l’evento forse più importante nella storia dell’umanità. Fu il grande esploratore Amerigo Vespucci a comprendere per primo che le terre incontrate da Cristoforo Colombo nel 1492 erano un “Mundus Novus”, un nuovo continente che pochi anni dopo alcuni geografi che lavoravano a Saint-Denis des Voges vollero chiamare, in suo onore, “America”. Grazie a questa mostra è stato possibile entrare in contatto con una realtà che fino a pochi secoli fa era definita "altra da noi" e, proprio per la sua apertura al confronto tra mondi e culture diverse, essa ben si è inserita nel filone programmatico di eventi Classico /Anticlassico del piano strategico del MANN. Questo progetto ci ha consentito di esporre al pubblico per la prima volta capolavori straordinari, appartenenti alla Collezione Ligabue, una delle collezioni più complete ed importanti in questo ambito in Italia.
A poco più di due anni dalla scomparsa di Giancarlo Ligabue (1931-2015), questa esposizione è stata anche un omaggio alla sua figura da parte del figlio Inti, che con la “Fondazione Giancarlo Ligabue”, da lui creata, continua l’impegno nell’attività culturale, nella ricerca scientifica e nella divulgazione, dopo l’esperienza del Centro Studi e Ricerche fondato oltre 40 anni fa dal padre Giancarlo.

La Collezione Ligabue è nata lentamente, attraverso un appassionato e scrupoloso lavoro di collezionismo e di scambio. Chi era Giancarlo Ligabue e quanto è stata importante la sua figura per la scoperta e la conoscenza di mondi lontani e sconosciuti?
Per rispondere a questa domanda mi piacerebbe citare quanto asserisce Inti Ligabue nella prefazione al ricco catalogo che accompagna la mostra, curato da Adriano Favaro: Ho appreso da mio padre Giancarlo - curioso collezionista per decenni prima di me - quanto sia esaltante il percorso di raccogliere le testimonianze di questi popoli rimasti senza voce e dei quali si diventa, da collezionisti, poeti narranti. La convivenza con la sua costante ed appassionata ricerca di ritornare indietro all’“archetipo” mi ha contagiato antropologicamente. Ligabue ha dato voce a popoli di cui altrimenti si sarebbero perse le tracce. E' stato imprenditore, ma anche paleontologo, studioso di archeologia ed antropologia, esploratore e appassionato collezionista. Oltre, infatti, ad aver organizzato più di 130 spedizioni in tutti i continenti, partecipando personalmente agli scavi e alle esplorazioni, Giancarlo Ligabue ha anche dato vita negli anni, con acquisti mirati, a un’importante collezione d’oggetti d’arte, espressione di moltissime culture, di cui altrimenti noi non avremmo mai avuto testimonianza alcuna.

A quali culture appartengono i numerosi reperti esposti?
Dalle rarissime maschere in pietra di Teotihucan, la più grande città della Mesoamerica, primo vero centro urbano del Messico Centrale, ai vasi Maya d’epoca classica, preziose fonti d’informazione, con le loro decorazioni e iscrizioni, sulla civiltà e la scrittura di questa popolazione; dalle statuette antropomorfe della cultura Olmeca, per lo più rappresentazioni femminili, provenienti da necropoli, che tanto affascinarono anche i pittori Diego Rivera, la moglie Frida Kahlo e diversi artisti surrealisti (con la loro evidente deformazione cranica, elaborate acconciature e il corpo appena abbozzato), alle sculture Mezcala, tanto enigmatiche nella loro semplicità quanto misteriose nelle origini, al punto che ne restarono profondamente suggestionati, divenendone collezionisti, anche André Breton, Paul Eluard e lo scultore Henry Moore. E poi, sempre dal Messico, statuette policrome di ceramica cava della cultura di Chupicuaro, il cui apogeo si situa tra il 400 e il 100 a.C., di cui rappresenta notevole testimonianza la Grande Venere con la mani congiunte sul ventre, esposta nella mostra, urne cinerarie (dal 200 a.C. al 200 d.C.) della cultura Zapoteca con effige spesso antropomorfa, sculture Azteche, esempi pregevoli delle Veneri ecuadoriane di Valdivia, oggetti Inca, tessuti e vasi della regione di Nazca, manufatti dell’affascinante cultura Moche, straordinari oggetti in oro. In queste decine di capolavori dell’arte precolombiana vi sono trattenute le voci degli abili artigiani di Valdivia, Chorrera o Tairona. Fino ad arrivare alle impressionanti testimonianze dei grandi imperi andini: chavin, vicus, nazca, moche, chimù ed inca. Oltre duecento oggetti che ci invitano a scoprire tutte le correnti che si sono mescolate e le influenze che si sono coniugate nel produrre l'arte dell'America preispanica, come scrive nell'introduzione al catalogo Jacques Blazy, curatore della mostra.
Vaso inciso, due signori-cervidi e due signori-avvoltoi (Cultura Maya, Messico, Classico recente, 600-800 d.C.)
Come reagì l'Europa all'arrivo di questi originali manufatti dal Nuovo Mondo?
Di fronte ai manufatti arrivati da poco dalle Americhe l’intellighenzia europea non nascose il proprio stupore artistico, quello tecnico-commerciale e quello di indifferenza antropologica o etnocentrismo. L’America sorprese, poi venne dimenticata, rapidamente. Quello che accadrà in pochi decenni, dal 1492, è l’annientamento delle antiche culture precolombiane, aztechi, inca e taïno. Avvenimento che non ha analogie nella storia ed è un fatto ampiamente documentato. I cinque secoli e poco più che ci separano dai viaggi di Colombo e degli altri esploratori, anche per questo motivo, non sono bastati ad una parte dell’Occidente per capire appieno civiltà, storia, arti di quel mondo che non c’era.

Che fine fecero quelle culture e quand'è che l'Europa prese coscienza della loro grandezza?
Si tratta in realtà di culture che in molta parte devono ancora essere studiate e comprese: come ho detto sopra, furono annientante, annichilite ed ignorate per lunghi anni dopo la scoperta di quelle terre da parte dei Conquistadores ammaliati solo dalle ricchezze materiali, autori di stragi e razzie. In pochi decenni dall’arrivo di Colombo (nessuno degli oggetti da lui riportati si è conservato), le culture degli Aztechi e degli Inca saranno schiacciate con le armi e con la schiavitù. Milioni di indios moriranno anche a causa delle malattie arrivate dal Vecchio Mondo.
Per tanto, troppo tempo il tesoro dell’antica Mesoamerica e del Sudamerica è stato identificato con le tonnellate d’oro e d’argento arrivate in Europa sui galeoni spagnoli. L’oro spingerà nelle Ande Spagnoli ed avventurieri alla ricerca dell’El Dorado, uno dei grandi miti che alimentarono la Conquista.
Nella sua introduzione al catalogo, Inti Ligabue afferma che dovranno passare almeno quattro secoli prima che l’Europa prenda nuovamente coscienza della grandezza dell’arte dell’America antica e ancora oggi sfuggono molti aspetti di queste culture. Saranno le avanguardie artistiche occidentali, tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, a cogliere la rivoluzionaria semplicità di quei manufatti. Dall'arte precolombiana vengono attratti Nenry Moore, Frank Lloyd Wright, Diego Rivera, che traccia con Frida Kahlo nei suoi murales il volto di un Messico moderno ispirato all'epoca precolombiana. Sono i primi decenni del XX secolo, i tempi del viaggio di André Breton in Messico, delle prime esposizioni di oggetti precolombiani a New York e a Parigi. E crescono i nomi degli artisti che si ispirano a quell'arte, come Jacob Epstein e Paul Klee, che ne diventano fedeli eredi e divulgatori. I primi collezionisti europei cominciano a raccogliere opere d'arte precolombiana a partire dagli anni Venti del Novecento e i grandi musei li seguono poco dopo.

Perché avete fortemente voluto una mostra sul Nuovo Mondo proprio a Napoli?
La presenza a Napoli di una mostra così ampia e articolata su questo tema, la prima mai realizzata nel Meridione, ci ha consentito di ricordare gli storici legami della città campana non solo con la Spagna tra XVI e XVIII secolo, ma anche con l’immenso impero spagnolo cresciuto a dismisura all’epoca dei Conquistadores e portatore di ricchezze a scapito dei popoli meso e sudamericani. E i “debiti” in termini di progresso economico e di ampliamenti culturali nei confronti del Nuovo Mondo sono evidenti: basti pensare ad alcuni alimenti (cacao, pomodori, patate) che sono arrivati per mediazione delle cucine della Corte spagnola nella tradizione alimentare del regno di Napoli e che oggi costituiscono la base di piatti considerati della tradizione locale; ma anche al gioco con il pallone “di gomma”, che è profondamente e anticamente radicato nella civiltà e nella ritualità mesoamericana. Quella sfera “misteriosa” stupì gli Europei quando, per la prima volta, videro esibirsi dei giocatori aztechi condotti da Cortés alla corte di Carlo V.
Va, inoltre, ricordato che Carlo III di Borbone diede un contributo importante alla riscoperta dell’archeologia precolombiana, in particolare del sito maya di Palenque. Il complesso, definito la Pompei dei Maya, fu esplorato da una spedizione alla quale parteciparono Antonio Bernasconi, allievo di Luigi Vanvitelli, e alcuni “reduci” dell’epopea dei primi scavi di Pompei ed Ercolano, che seppero applicare le tecniche di documentazione e le esplorazioni archeologiche sperimentate nelle città vesuviane. Un filo di interesse che non s’interrompe.
Vaso antropomorfo, ceramica con volto umano che porta al naso un anello d'oro (Cultura Moche, Perù, 100 a.C. - 200 d.C.)
Cosa L'ha colpita di queste testimonianze e cosa ci rivelano delle credenze religiose delle civiltà che le hanno prodotte? Mi ha colpito molto il legame intimo e profondo con la natura e con il mondo animale. Queste civiltà nutrivano un sentimento di grande rispetto nei confronti della natura e del proprio paesaggio agrario. L’evoluzione culturale delle civiltà precolombiane si è basata sull’agricoltura e sul controllo delle coltivazioni, spesso utilizzando scarse superfici. Logico che le divinità più importanti siano nate dalle necessità di garantirsi piovosità e fertilità della terra e che, di conseguenza, oggetti, simbologie, rituali abbiano rappresentato e utilizzato molti elementi vegetali e animali o ambientali. Prima dell’universo vegetale appare, nella sua forza, quello animale. E come dice Claude François Baudez, nel catalogo della mostra, sezione Mesoamerica, parlando della civiltà olmeca: Nessun animale occupa un posto più importante del giaguaro, che si ritrova nella maggioranza delle rappresentazioni quando si vuole esprimere la potenza, la forza, i poteri soprannaturali o magici. I capi e i dignitari sono immortalati nella posa convenzionale del giaguaro, con le zampe anteriori posizionate tra le posteriori. Anche Jean-François Bouchard, nella sezione del catalogo riferita al Centro America, spiega che una parte molto grande delle opere d’arte tairona è direttamente legata ai culti sciamanici e rappresenta con insistenza la trasformazione dello sciamano in animale, pipistrello, giaguaro o rapace.
Il mondo animale è importantissimo negli aspetti religiosi e simbolici. Il colibrì figura spesso accanto a figure di guerrieri, essendo collegato al concetto di rinascita: per la sua aggressività e la rapidità nel volo, le antiche civiltà americane lo consideravano la reincarnazione di valorosi guerrieri caduti in battaglia e lo veneravano come rappresentante sulla Terra del Sole.
Mi ha colpito molto, inoltre, l'importanza del principio femminile in ambito cultuale e la vicinanza dell'elemento femminile alla terra: come questa genera i suoi frutti, la donna è in grado di generare figli. Le veneri della cultura Tlatilco sono rappresentazioni femminili che simboleggiavano la fecondità e assicuravano probabilmente la fertilità e abbondanti raccolti. Ancora nel XVI secolo si collocavano piccole figurine nei campi per propiziarsi un buon raccolto. Abbiamo esposto la venere nayarit partoriente e le due divinità dell’acqua e del mais. Le veneri ecuadoriane di Valdivia (prime ceramiche apparse nelle Americhe) appartengono ad una cultura di antichissimi rituali, durante i quali si posizionavano le statuine nei campi per favorire il raccolto. Una statuina appartenente alla cultura Guangala, Ecuador, mostra una donna con una bambola in mano. La cultura Jama-Coaque, invece, racconta di figure femminili ornate e decorate trasformate in terracotta. In tutto ciò ravviso una grande connessione tra questo mondo e l'Occidente: mi riferisco soprattutto alla cultura di quella che la studiosa Marija Gimbutas chiama "Vecchia Europa", che produsse le Dee Madri, fortemente legate al culto della terra e della fertilità. Le comunità umane, sebbene lontane e non influenzandosi a vicenda, hanno ragionato con criteri razionali e logici che hanno portato a conclusioni simili.

Una mostra di questo tipo ha un grande valore educativo, soprattutto in questo particolare momento storico. Quali riflessioni si augura possa aver suscitato in tutti coloro che hanno avuto il piacere di visitarla, in particolare alle numerose scolaresche?
La mostra è stata una straordinaria occasione per riflettere su quanto è costato, in termini di perdite umane e di distruzione di intere civiltà, l'incremento della ricchezza dell'Europa, e di quante responsabilità possano oggi essere riferite all'uso improprio, allora, della religione cattolica, troppo spesso a favore di un'evangelizzazione imposta e a supporto della conquista, liberando le coscienze dal peso del rimorso. Eventi di questo tipo aiutano a comprendere anche l'inconsistenza del mito del "paradiso perduto", dal momento che nel sistema maya, azteco ed inca esistevano rigide classi sociali e guerre permanenti, per non parlare dei noti sacrifici umani. Un’iniziativa del genere ha un valore educativo straordinario perché, focalizzando l’attenzione sull’incontro tra due mondi, fa deporre primati o idee di superiorità, soprattutto a noi Occidentali che, educati ai valori della classicità e del cristianesimo, siamo portati a collocarci in un ruolo di centralità, poco propensi, per il passato, ma anche nella contemporaneità, al confronto e al dialogo. Pare che queste due parole, specialmente in tali tempi, siano spesso ritenute vane e poco di moda. Ma un museo che voglia avere un ruolo culturale e sociale, dunque un rango internazionale, deve cercare di far riflettere i propri visitatori, educandoli alla cultura del rispetto Lo stanno facendo di questi tempi i musei americani sul tema dell’immigrazione, anche in opposizione ai poteri forti. Lo dobbiamo fare anche noi, se non vorremo essere ricordati solo come meri conservatori di un passato che ci ha insegnato unicamente a contemplare, ma non a crescere. Mi auguro che questa mostra abbia contribuito a creare un cittadino, uno studente consapevole, che non si fidi mai della comunicazione dei social, ma confronti sempre le fonti, approfondendole con oggettività e formulando, infine, un giudizio personale. Spero sia stata un'occasione di riflessione profonda su quello che sta succedendo ora nel mondo e, soprattutto, un'occasione per comprendere che nella storia non ci sono vincitori né vinti.
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