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domenica, 19 novembre 2017 08:32 |
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Francesca Bianchi
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....Mi urlava: "Sei un’incapace". E io ci credevo… La mia ribellione alimentava la sua rabbia. Sono passati dieci anni, ma una carezza di un uomo mi fa ancora venire i brividi...
È stato un pessimo marito, ma un buon padre. Anche per questo pensavo che fosse tutta colpa mia... Mia madre diceva: "Torna a casa, vedrai che tutto si sistemerà"... Chiedeva aiuto, ma non si lasciava aiutare. Quante volte mi ha detto: "Senza di me, non vali niente, non esisti" (La 27 ora. Questo non è amore, G. Pezzuoli e L. Pronzano, febbraio 2013, Marsilio).
Voci di donne terrorizzate, schiacciate da una spirale di odio, fagocitate da un sottile, insidioso senso di inadeguatezza e vergogna, ovattato da un silenzio assordante, ma in grado di urlare l'atroce dolore causato dalla perversione oscura del possesso. Corpi segnati, mutilati, come le loro anime stanche, smarrite e rassegnate a subire la prevaricazione di un amore malato, che amore non è, e a nascondere le proprie cicatrici a se stesse e al resto del mondo.
La violenza domestica rappresenta la prima causa di morte nel mondo per moltissime giovani donne. Il femminicidio, l’uccisione delle donne in quanto donne, è una piaga sociale, una tragedia dell’umanità che porta alla luce il persistere di stereotipi di genere retrogradi e discriminanti. Nella nostra sociètà l’indipendenza economica della donna rappresenta ancora una sofferta e difficile conquista. La disoccupazione e la precarietà lavorativa sono spesso alla base della dipendenza economica della donna dal partner, una dipendenza che confina la figura femminile ad una posizione estremamente vulnerabile all’interno della coppia. Ad un certo punto scappare via diviene l’unico modo per sopravvivere ad un inferno quotidiano che priva della dignità e lascia riempire gradualmente il vuoto con l’annullamento e la morte della persona.
Il 25 novembre, dal 1999 Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, porta con sé la forza e il coraggio delle donne, ricordando la data (25 novembre 1960) dell’uccisione brutale delle sorelle Mirabal, tre donne attive nella rete clandestina impegnata a rovesciare il regime dittatoriale nella Repubblica Domenicana. Spesso nella storia la violenza è stata la risposta ai coraggiosi tentativi da parte delle donne di affermarsi liberamente e conquistare diritti che conferissero loro pari dignità e valore.
Per contrastare questo crimine contro l'umanità tutta è necessario un imponente dispiegamento di forze. L’Arte non può non offrire il suo importante contributo mediante linguaggi diversi, volti a raggiungere la collettività e a fronteggiare paure, insicurezze e forme pericolose d’indifferenza civile.
Proprio per rompere il silenzio sarà allestita la mostra d'arte contemporanea Signa del Alma di Caterina Codato e Irene Manente, che si terrà dal 24 al 26 novembre presso l'Associazione Culturale 42 DON’T PANIC, a Treviso.
Il progetto espositivo nasce dalla volontà delle artiste Caterina Codato e Irene Manente di condividere frammenti, sensazioni delle proprie esistenze, offrendole ai visitatori, per sentirsi più vicini e uniti nel rispetto reciproco delle differenze di genere. La chiave di volta per promuovere la crescita, il rispetto, il progresso sociale e per costruire rapporti significativi.
Tutti dovremmo fare nostre queste parole di Oriana Fallaci: Vi sono momenti, nella vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre (La Rabbia e l’orgoglio).
Chi tace è complice; rompiamo il silenzio!
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