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mercoledì, 08 novembre 2017 07:20 |
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Comizio rivoluzionario a Pietrogrado nei giorni della rivoluzione (fonte: Getty Images)
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Fabrizio Federici
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Il 7 novembre 1917, esattamente un secolo fa, a Pietrogrado, con un vero e proprio "golpe rosso", i "rivoluzionari di professione" di Lenin, nuovi giacobini, col pretesto di realizzare le idee di Karl Marx (e aiutati, purtroppo, dai gravi errori del governo di Kerensky, andato al potere con la rivoluzione democratica del marzo precedente, che aveva deciso di continuare una guerra impopolarissima nel Paese e aveva trascurato la fame di terre dei contadini, ignorando le loro richieste), andavano al potere. E, mentre da parte di molti degli stessi marxisti occidentali (vedi anzitutto Karl Kautsky e Rosa Luxemburg: quest'ultima, già da dopo la prima Rivoluzione russa, del 1905) fioccavano le critiche, per la pretesa bolscevica di realizzare il comunismo in un Paese arretratissimo, che non era ancora approdato nemmeno a un vero capitalismo), la Russia entrava gradualmente nella lunga notte del totalitarismo (da ricordare, poi, che proprio Marx stesso , in un libro che naturalmente è tuttora assente dal catalogo ufficiale delle sue opere compilato nei regimi comunisti, "Storia diplomatica segreta del 18. secolo", Milano, La Pietra ed., 1978, aveva messo in guardia la sinistra dalle conseguenze totalitarie e rovinose che poteva avere una rivoluzione comunista in un Paese come la Russia!).
Totalitarismo che Stalin avrebbe portato alle estreme conseguenze. Correggendo (come già aveva iniziato a fare l'ultimo Lenin) il gravissimo errore di politica economica iniziale (cioè voler realizzare immediatamente il comunismo, e questo proprio nel caos del 1918 - '20, in cui nel Paese infuriava la guerra civile tra bolscevichi e sostenitori dello zarismo!), quindi avviando anche in Russia uno sviluppo capitalistico moderno (con temporanea apertura all'iniziativa privata, anche straniera: gli anni della NEP, 1921- '28), e poi iniziando una massiccia industrializzazione; ma bloccando ferocemente, nel contempo, qualsiasi democratizzazione, reprimendo qualsiasi opposizione, anche interna al partito (vedi i processi di Mosca anni '30 e l'assassinio di Trockij - peraltro anche lui bolscevico fanatico, solo più colto e un po' più aperto al dialogo con gli altri - in Messico nel 1940). E realizzando un regime che definire dittatura è un eufemismo, che avrebbe ampiamente raggiunto e sorpassato le nefandezze del nazismo. Alimentando, in tutto il mondo, una cultura di sinistra falsamente rivoluzionaria (con tutte le sue varianti terzomondiste, da Mao a Castro e a Pol Pot) che, nel tempo, ha danneggiato soprattutto proprio la sinistra vera, quella socialista democratica e radicale; e, bisogna dirlo, fatto un enorme regalo alla destra più ottusa, quella che è solo anticomunista, fortemente lontana dalla destra sociale e progressista.
Piaccia o meno, questa è la verità. Ad attestarla dolorosamente, stanno anzitutto i milioni di morti dei regimi comunisti (vedi, per un'analisi approfondita, Il libro nero del comunismo realizzato, nel 1997-'98, dal gruppo di studiosi riuniti intorno allo storico francese Francois Furet).
Non si venga, poi, a dire, con giustificazioni fumose quanto contorte e ambigue (come faceva lo stesso Ingrao, ad esempio, uomo peraltro intelligente e onesto) che il vero comunismo ancora si deve realizzare... A Mosca, del resto, imbarazzati portavoce di Putin han detto chiaramente, in questi giorni, che non c'è nulla da festeggiare (dal 2005, il 7 novembre non è più festa nazionale); mentre è stato giustamente ricordato un altro 7 novembre. Quello del '41, quando i soldati dell' Armata Rossa, reduci dalle celebrazioni appunto dell' "Ottobre bolscevico", da Mosca andarono direttamente al vicino fronte, per contrastare i nazisti, giunti a pochi chilometri dalla capitale.
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