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Francesca Fontanella: l'impero e la storia di Roma in Dante

lunedì, 13 settembre 2021 08:42

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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 moriva a Ravenna Dante Alighieri. FtNews celebra questa ricorrenza con una coinvolgente intervista alla prof.ssa Francesca Fontanella, autrice del libro L'impero e la storia di Roma in Dante (il Mulino, 2016). In questo pregevole volume la studiosa ha passato in rassegna il Convivio, la Monarchia, alcune delle Epistole e la Commedia, nel tentativo di mostrare come Dante guardi alla storia di Roma per ridefinire il ruolo dell'impero a lui contemporaneo. Sia nel Convivio che nella Monarchia Dante cita una serie di personalità virtuose della storia romana per dimostrare, nel caso del Convivio, il favore divino nei confronti dell'Impero romano, manifestatosi nella virtù straordinaria dei suoi uomini, nel caso della Monarchia, che il popolo romano conquistò e sottomise a sé il mondo, perseguendo sempre la ricerca del bene della collettività. Nel corso della nostra intervista, la prof.ssa Fontanella ha parlato della visione che Dante aveva dell'impero, chiarendo in quale maniera, nel pensiero politico dantesco, si armonizzino la Roma imperiale e la Roma cristiana. Si è soffermata sui protagonisti della storia dell'antica Roma che Dante cita nelle sue opere con l'intenzione di dimostrare che la provvidenza divina sarebbe intervenuta a favore dei Romani. Ha spiegato il significato assunto dall'esaltazione della virtus degli antichi eroi pagani e la grande capacità di Dante di valorizzazione di ogni aspetto umano, anche pagano, uno dei motivi principali per cui il Sommo Poeta riesce ad essere attuale ancora oggi, a distanza di settecento anni dalla sua scomparsa. Tra gli spiriti magni che popolano il limbo dantesco, troviamo Cesare, primo prencipe sommo, che compare anche all'interno del discorso che Dante mette in bocca a Giustiniano nel VI canto del Paradiso. Il Cesare dantesco ha come fonte principale la Pharsalia di Lucano, in cui il dittatore, però, è dipinto come un antieroe, l'antitesi del pius Aeneas. Francesca Fontanella ha spiegato con quale spirito Dante si sia accostato alla Pharsalia di Lucano, il poema epico più anti-provvidenziale della storia di Roma, e come giustifichi la guerra civile tra Cesare e Pompeo. Ha affrontato anche l'argomento relativo al tipo di rapporto tra impero e filosofia delineato nel Convivio e alle caratteristiche che assume nell'opera la figura dell'imperatore.
L'intervista ha preso in considerazione anche la donazione di Costantino, che immise nella Chiesa la cupidigia, il desiderio dei beni materiali. Alla fine del colloquio con il papa simoniaco Nicolò III, Dante pronuncia un'invettiva contro Costantino, il primo imperatore romano cristiano. All'origine dei mali della Chiesa Dante pone proprio la donatio che Costantino fece al papa Silvestro I, su cui per secoli la Chiesa di Roma aveva fondato la legittimazione del proprio potere temporale in Occidente. Dante riconosce a Costantino la buona intenzione del suo atto, che però ebbe l'effetto di costituire l'inizio della dissoluzione dell'impero. La studiosa ha discusso del ruolo attribuito da Dante alla donatio Constantini, spiegando il motivo per cui la colpa più grave che Dante rimprovera all'impero sia proprio quella commessa da Costantino e non le tante persecuzioni degli imperatori romani contro i cristiani.

Prof.ssa Fontanella, nel 2016 ha pubblicato il saggio L'impero e la storia di Roma in Dante(Il Mulino editore). In questo volume passa in rassegna il Convivio, la Monarchia, alcune delle Epistole e la Commedia, per mostrare come Dante guardi alla storia di Roma per ridefinire il ruolo dell'impero a lui contemporaneo. Quale visione aveva Dante dell'impero? Cosa ha rappresentato per Dante la Città Eterna? Come si armonizzano la Roma imperiale e la Roma cristiana nel pensiero politico di Dante?
Il prof. Francesco Mazzoni sosteneva che per Dante l'impero rappresentava quello che per noi è l'ONU; forse oggi potremmo anche dire quello che per noi è la Comunità Europea. L'impero per Dante è infatti un organismo ecumenico chiamato ad assicurare ai popoli che lo riconoscono la pace e la giustizia tramite l'applicazione del diritto e, quindi, la libertà. A noi sembra quasi una contraddizione che si possa essere liberi sotto l'impero, invece per Dante l'impero è un organismo che, garantendo il diritto e la giustizia, non sostituisce i vari governi, ma è il garante del loro retto funzionamento. Gli abitanti dell'impero sono liberi perché hanno questo garante che assicura la giustizia nei loro regimi particolari. Questo lo dice chiaramente nel I libro della Monarchia (cap. XIV).
Riguardo al ruolo di Roma, per la sua storia gloriosa l'Urbe è il centro del mondo: è la sede del potere imperiale e del potere papale, le due massime autorità sulla terra, come viene ricordato nel II canto dell'Inferno. Nel medioevo si sottolineava l'idea che Roma fosse stata rifondata dal sangue di Pietro e Paolo; quindi per i fautori del papato contro l'impero Roma era importante solo come centro della cristianità. Per Dante no: per lui Roma imperiale e Roma cristiana coesistono e nessuna delle due annulla l'altra. E poi ricordiamo che nel Paradiso Dante si augura, tramite le parole di Beatrice, di poter essere «sanza fine cive / di quella Roma onde Cristo è romano» (Par. XXXII, 101-102). La Roma “civile”, politica viene, quindi, addirittura identificata come la figura storica del paradiso.
Prof.ssa Francesca Fontanella
Sia nel Convivio che nella Monarchia Dante cita una serie di personalità virtuose della storia romana per dimostrare, nel caso del Convivio, il favore divino nei confronti dell'Impero romano, manifestatosi nella virtù straordinaria dei suoi uomini, nel caso della Monarchia, che il popolo romano conquistò e sottomise a sé il mondo, perseguendo sempre la ricerca del bene della collettività. Quali episodi, quali protagonisti della storia dell'antica Roma Dante cita nelle sue opere con l'intenzione di dimostrare che la provvidenza divina sarebbe intervenuta a favore dei Romani? Cosa individua Dante nella virtù degli eroi pagani? Quale significato assume l'esaltazione della virtus degli antichi eroi pagani?

Credo che il modo in cui Dante cita gli autori pagani si capisca bene paragonandolo al modo in cui li cita sant'Agostino. Dante si rifà a un canone di eroi della storia repubblicana di Roma che è presente negli autori antichi, per esempio in Virgilio, e in diversi autori medievali. Lo stesso canone è citato sia nel Convivio che nella Monarchia, anche se con alcune divergenze. Nel mondo antico, Dante trovava l’idea, presente in Virgilio e in Livio, ma risalente ad Ennio, che la grandezza di Roma fosse dovuta ai suoi uomini e ai loro costumi: la grandezza dell'impero, inteso come repubblica imperiale romana, è dovuta alla virtù e alla grandezza morale dei suoi protagonisti. E Dante valorizza senza riserve questa virtù pagana come segno che Dio ha prediletto l'impero romano, l’unica forma giusta di governo sulla terra. Agostino, invece, pur utilizzando nel De civitate Dei quasi lo stesso canone di eroi utilizzato da Dante, a fianco di ogni atto virtuoso pagano ne accosta uno cristiano che al precedente si oppone, o lo corregge, o per lo meno lo completa. Gli intenti politici dei due sono evidentemente diversi: Agostino deve dimostrare che non è colpa del cristianesimo se Roma è stata saccheggiata dai Goti, ovvero che il cristianesimo non ha “peggiorato” le condizioni dell’impero; deve, quindi, ridimensionare il valore della antica storia di Roma esaltato dai pagani in confronto alla situazione del IV secolo. Dante non deve fare niente di tutto ciò: per lui l'impero del suo tempo è in continuità con l'impero antico, e la grandezza dell'antica storia giustifica l'impero di adesso. La sua visione cristiana della storia e dell’impero lo porta non a sminuire ciò che c’è stato prima del cristianesimo, ma anzi a valorizzarlo. Dante in questo senso è proprio umanista: riscopre negli antichi le virtù propriamente umane e non ha paura di valorizzarle.

Quali caratteristiche ha la figura dell'imperatore descritta da Dante nel Convivio? Che tipo di rapporto tra impero e filosofia è delineato nell'opera?
L'imperatore nel Convivio è definito con connotati di tipo giuridico; in tal senso, Dante si rifà sia alla giurisprudenza del suo tempo sia al Digesto. Il Poeta afferma che l'imperatore è colui che deve mostrare e comandare la ratio scripta, ovvero il diritto romano, la più alta e perfetta forma della legge naturale, la ratioinsita in natura, colta e codificata dalla ragione umana: «ragione scritta». La filosofia risulta evidentemente essenziale nel “trovare” questo diritto espressione della ratio naturale. In questo senso Dante riprende sicuramente una concezione anche ciceroniana, che poteva conoscere da Lattanzio. Oltre ad avere una concezione filosofica del diritto, Dante ha anche l'idea che una "filosofica autoritade" possa aiutare l'imperatore; lui stesso nel Convivio finisce per proporsi come consigliere filosoficamente autorevole dell'imperatore, affermando che la filosofia ha bisogno dell'impero per regolare i costumi, ma l'impero ha bisogno della filosofia per sapere come regolarli. Dante si propone come guida anche per quei nobili che sta conoscendo nei pellegrinaggi del suo esilio e per i quali pensa sia importante il riconoscimento di un'autorità imperiale che accetti, però, anche una guida di tipo filosofico.

Attraverso quali argomentazioni nella Monarchia Dante arriva a sostenere che l'impero è l'unica istituzione capace di garantire la giustizia ai popoli sui quali si estende?
Come arriva ad affermare l'esistenza di un nesso fra l'imperatore e la giustizia, nesso che, tra l'altro, già troviamo nel Panegirico di Plinio a Traiano e nell'encomio A Roma di Elio Aristide?


Dante riprende dalla tradizione romana l'idea del diritto e della giustizia come unicuique suum tribuere, 'dare a ciascuno il suo'. L'imperatore è come il giudice supremo di questa giustizia. L'imperatore non è solo colui che incarna la giustizia (lex animata) in quanto scopritore della ratio scripta, ma anche il tribunale ultimo a cui tutti possono rivolgersi (iustitia animata), ed è quindi insieme legge e giudice supremo. L'imperatore è colui che, rispetto alle ingiustizie particolari dei vari regimi particolari, è arbitro supremo che assicura la giustizia nelle varie parti dell'impero. L'imperatore scopre la legge naturale e la fa osservare: è il supremo arbitro della giustizia in tutta l'ecumene.

Indubbiamente c'è una grande sintonia fra la funzione che Dante attribuisce alle leggi e quella evidenziata da Cicerone in alcuni passi del De inventionee del De officiis. Quali sono le fonti pagane a cui Dante attinse maggiormente?
Per la concezione politica bisogna tener presente Aristotele, che Dante conosceva attraverso le traduzioni latine, e Cicerone. In particolare, Cicerone nel De re publica definisce la res publica in base a una concezione non contrattualistica, ma “giusnaturalistica”del diritto, che unisce gli uomini per il bene comune. Dante nella Monarchiadimostra che i romani hanno perseguito il diritto, che anche per Dante è, come abbiamo già detto, diritto naturale (ratio scripta) perché hanno perseguito il bene dei popoli sottomessi. Dante fa propria l'idea ciceroniana (che poteva conoscere da sant'Agostino) secondo cui l'impero dei romani fosse per il bene e l'interesse dei popoli sottomessi. Un'altra fonte importante per Dante, l’abbiamo già ricordato, è il Digesto.

Per delineare l'immagine ideale di Enrico VII, Dante ricorre agli esempi di Cesare e Augusto, così come erano tratteggiati nell'Epitome di Floro, una delle più antiche storie di Roma conosciute ai suoi tempi. Secondo Dante, la venuta dell'imperatore porterebbe giustizia e pace in Italia e agli Italiani sarebbe riservata una posizione particolare nell'impero. Perché l'Italia avrebbe questo ruolo speciale? In cosa consiste il privilegio degli abitanti dell'Italia? In tal senso, secondo lei, Dante può essere considerato un precursore e un profeta dell'identità nazionale?
Dal punto di vista politico è antistorico fare di Dante un precursore dell'Italia come Stato nazionale. Lui parla dell'Italia perché in Italia c'è Roma. L'imperatore deve venire in Italia per aggiustare le devianze dei regimi particolari. Quando Enrico VII scende in Italia, diverse città del nord Italia si rivolgono a lui per risolvere delle controversie interne. Svolge, quindi, quel ruolo di giudice supremo che Dante gli attribuisce. Dante ha in mente un ruolo privilegiato dell'Italia perché in Italia c'è Roma e l'imperatore deve farsi incoronare a Roma, altrimenti non è imperatore. In questo Dante segue la tradizione antica: un'identità politica dell'Italia senza Roma, un' "italicità" senza Roma non esisteva neppure nel mondo antico. Certo, per il fatto stesso di aver scritto la Commedia Dante è non solo precursore, ma artefice di un'identità culturale e linguistica italiana, ma non politica.
Il più antico ritratto di Dante Alighieri, realizzato da Giotto e custodito presso il Museo Nazionale del Bargello, Firenze
Nella lettera scritta ai fiorentini, che avevano fomentato una vera e propria rivolta contro l'imperatore Enrico VII, come viene affrontato il tema relativo al rapporto tra libertà e impero? Come è giudicato dal Sommo Poeta il comportamento dei fiorentini?
I Fiorentini si erano fatti baluardi della propaganda della libertà contro l'imperatore. Firenze difende la sua libertà, amplia le mura, si fa promotrice di una lega, cerca in tutti i modi di mobilitarsi contro l'imperatore. Dante cerca di dimostrare loro che la vera libertà non è andare contro l'imperatore, ma sottomettersi a lui. L'imperatore garantisce la legge, che è il diritto naturale. Se l'imperatore assicura che i cittadini seguano la legge, in realtà li rende liberi, in quanto favorisce la loro adesione al diritto naturale garantendo l'applicazione della legge. Non c'è distinzione tra ratio scripta e legge morale. Una persona è libera quando è la sua ragione a comandare: se qualcuno aiuta una persona a seguire la ragione tramite la ratio scripta, ovvero tramite le leggi, favorisce la sua libertà, l'aiuta a conquistare la libertà, non la opprime.
Nel canto XVI del Purgatorio Dante pone a Marco Lombardo la domanda se gli uomini siano o meno influenzati dagli astri. Lombardo gli risponde che l'anima è libera, ma che occorre una guida che la volga al vero bene. Il nesso tra imperatore e libertà non si capisce, se non si comprende questa concezione dantesca di legge e di impero che favorisce nell'uomo un'adesione alla legge naturale.

Alla fine del colloquio con il papa simoniaco Nicolò III, Dante pronuncia un'invettiva contro Costantino, il primo imperatore romano cristiano. All'origine dei mali della Chiesa Dante pone proprio la donatio che Costantino fece al papa Silvestro I. Il documento stabiliva che parte della città di Roma divenisse di proprietà del papa, mentre la sede del potere imperiale veniva spostata in Oriente, a Costantinopoli. Sulla Donazione di Costantino per secoli la Chiesa di Roma aveva fondato la legittimazione del proprio potere temporale in Occidente. Dante riconosce a Costantino la buona intenzione del suo atto, che però ebbe l'effetto di costituire l'inizio della dissoluzione dell'impero; sembra quasi che la colpa più grave che Dante rimprovera all'impero sia proprio quella commessa da Costantino e non le tante persecuzioni degli imperatori romani contro i cristiani. Perché? Che ruolo è attribuito alla donazione di Costantino? Nell'ottica della provvidenzialità dell'impero, come vengono giudicate da Dante le varie persecuzioni contro i cristiani?
Per Dante il peccato più pericoloso è la lupa, cioè l'avarizia intesa come la cupidigia dei beni materiali, primi fra tutti il potere e la ricchezza. Se ci si sofferma sull'Inferno, le invettive contro l'avarizia sono rivolte contro la Chiesa, contro gli uomini di chiesa. Dante parla dell'avarizia nel XIX canto, dove identifica la Chiesa con la grande prostituta dell'Apocalisse. Lì dice chiaramente che la donatio Constantini rappresenta un traviamento della Chiesa, perché vi immette la cupidigia, il desiderio dei beni materiali, quindi la Chiesa viene meno al suo compito di indirizzare l'uomo verso la felicità eterna. Marco Lombardo nel XVI canto del Purgatorio afferma che il mondo travia perché a causa della Chiesa manca l'imperatore e la Chiesa è ghiotta di quei beni che dovrebbe disprezzare. Se la gente vede la Chiesa così corrotta, come può capire qual sia il vero bene?
Quanto al giudizio dantesco sulle persecuzioni contro i cristiani, bisogna soffermarsi sulla questione del carro negli ultimi canti del Purgatorio. Le persecuzioni, portate dall'aquila, squassano il carro, ma il carro resta saldo, benché sconquassato. Ad un certo punto arriva l'aquila e fa cadere tutte le piume (donazione di Costantino), allora il carro diventa mostruoso, incarnazione del mostro dell'Apocalisse con le sette teste. La donazione di Costantino snatura e corrompe l'essenza della Chiesa, non le persecuzioni, che nell'ottica dantesca sono, come le guerre civili nell’impero, un passo necessario alla sua storia.

Tra gli spiriti magni che popolano il limbo dantesco, troviamo Cesare, primo prencipe sommo, che compare anche all'interno del discorso che Dante mette in bocca a Giustiniano nel VI canto del Paradiso. Il Cesare dantesco ha come fonte principale la Pharsalia di Lucano, in cui il dittatore, però, è dipinto come un antieroe, l'antitesi del pius Aeneas. Con quale spirito Dante si è accostato alla Pharsalia di Lucano, il poema epico più anti-provvidenziale della storia di Roma? Dante, inoltre, nel VI canto del Purgatorio condanna con fermezza le guerre civili che dilaniano le città. Come è giustificata la guerra civile tra Cesare e Pompeo? Come viene delineata la provvidenzialità della figura di Cesare?
Dante ha una grande libertà rispetto all'uso delle fonti antiche. Nei trattati, Convivio e Monarchia, quando guarda alla storia di Roma ha l’intento di dimostrare la legittimità dell’impero, per cui deve tacerne le negatività e il male; nella Commedia no, tutto ha acquistato un significato. Rispetto ai trattati, nella Commedia Dante non deve censurare la drammaticità della storia o di figure controverse; nella Commediatrovano spazio aspetti problematici e contraddittori della storia di Roma. Ormai siamo nell'eternità, che rivalorizza e dà senso a ogni passo umano, anche a quelli sbagliati. Questo è il grande fascino della Commedia.
Il Cesare della Commedia è il Cesare lucaneo, è colui che a tutto il mondo fe' paura, ma è allo stesso tempo provvidenziale, un po' come il Napoleone di Manzoni. Dante considera la guerra tra Cesare e Pompeo come un dramma necessario perché ci sia, poi, l'impero ecumenico, che per lui è il miglior organismo politico possibile, in grado di assicurare pace, giustizia e libertà.

Secondo lei, oggi, a settecento anni dalla scomparsa di Dante, cos'è ancora vivo del suo pensiero politico e culturale?
Più che la soluzione da lui prospettata ai grandi problemi politici, sono le esigenze a cui dà voce ad essere vive. Dante a un organismo politico chiede di garantire la pace e la libertà tramite l'applicazione del diritto, quindi della giustizia. Senza leggi, infatti, non possono esserci né pace né libertà. Attuali sono le esigenze di libertà, giustizia e pace che sono intimamente connesse, non si possono dividere: non c'è pace senza giustizia e senza libertà e viceversa.
Dal punto di vista culturale c'è una grande valorizzazione di ciò che è l'umano in una prospettiva - che è quella della Commedia - religiosa nel senso più profondo del termine, ovvero dell'esigenza di un significato ultimo che esalta l'umano e tutto ciò che è terreno, non lo sminuisce. Dante è profondamente cristiano e profondamente religioso. A distanza di secoli, Dante continua a parlare alla gente proprio per queste esigenze umane a cui dà voce, per la grande umanità che propone e in cui ci si può rispecchiare.
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