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Marcello Cabriolu, la Sardegna e il Mediterraneo Occidentale

lunedì, 17 febbraio 2020 21:27

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L'antropomorfo di Alghero (realizzazione grafica di Durdica Bacciu)
Francesca Bianchi
FtNews ha intervistato Marcello Cabriolu, tecnico archeologo presso il Museo Civitanense - San Simplicio di Olbia, che nel 2013 ha pubblicato il libro La Sardegna e il Mediterraneo Occidentale. Popoli e culture affini sin dal Paleolitico. In questo studio Cabriolu ha cercato di correlare gli spostamenti umani e i dati genetici forniti dagli specialisti con le manifestazioni culturali individuabili archeologicamente nei contesti frequentati, basandosi su indagini genetiche universitarie nell’Europa e nel Mediterraneo Occidentale. Lo studioso si è soffermato sugli aspetti fondamentali della storia genetica dei Sardi e sulla provenienza delle prime popolazioni che hanno abitato la Sardegna. Ha affrontato anche il tema dell'arte dei popoli preistorici, concentrandosi sulle incisioni ramiformi della Grotta Verde di Alghero, che, grazie al database Europreart.net, ha potuto confrontare con l’arte rupestre nella penisola italiana e con l’arte figurativa dell’Europa centrale, giungendo alla conclusione che la trasmissione dell'arte figurativa è stata la diretta conseguenza delle migrazioni delle genti.
Nel corso della nostra conversazione ha parlato anche del libro Il popolo Shardana. La civiltà, la cultura, le conquiste, pubblicato nel 2010. Ha ripercorso per noi le origini e l’evoluzione del popolo sardo e discusso dell’ambiente sociale, economico e culturale della Sardegna di età protostorica e dei monumenti più significativi prodotti dai Nuragici, prendendo in considerazione anche l'argomento relativo alla loro funzione. Ha parlato, infine, di un progetto di ricerca a cui sta lavorando con l'Associazione ArcheOlbia, che dal 2009 porta avanti tantissimi progetti di promozione, formazione e progettazione di attività legate alla valorizzazione dei beni culturali.

Dott. Cabriolu, nel 2013 ha pubblicato il libro La Sardegna e il Mediterraneo Occidentale. Popoli e culture affini sin dal Paleolitico. Come è nato questo lavoro? Quali sono i popoli e le culture a cui ci si riferisce nel sottotitolo?
La pubblicazione è nata conseguentemente alla mia creazione di un database sotto la revisione scientifica, e la collaborazione, di diversi studiosi universitari italiani, spagnoli, finlandesi e bulgari. In merito al sottotitolo, quando mi riferisco a popoli, indico “famiglie genetiche” responsabili di aver creato delle culture nel Mediterraneo Occidentale durante il Paleolitico Superiore.

Nel testo in questione lei tenta di sviluppare una ricerca sulla genetica dei popoli preistorici. Su quali fonti si è basato? A quali risultati è giunto? In questo studio non ho cercato di sviluppare una ricerca genetica, anche perché non ne ho le competenze, non essendo un genetista, ma ho cercato di correlare gli spostamenti umani e conseguentemente i dati genetici forniti dagli specialisti con le manifestazioni culturali individuabili archeologicamente nei contesti frequentati. Le fonti di tutto ciò sono state chiaramente le indagini genetiche svolte a livello universitario nell’Europa e nel Mediterraneo Occidentale, l’individuazione di “fossili guida”, la sostituzione faunistica, l’analisi ambientale e la crescita della vegetazione e infine le reti di distribuzione dei beni di consumo. Tutti questi elementi hanno mostrato che probabilmente, a cavallo dei periodi più freddi, gli animali e conseguentemente gli esseri umani si sono concentrati negli ambienti più favorevoli alla loro sopravvivenza e in seguito, quando le condizioni climatiche sono andate migliorando, si sono ridistribuiti su gran parte dell’odierna Europa.

Quali sono gli aspetti fondamentali della storia genetica dei Sardi? Da dove provenivano le prime popolazioni che hanno abitato la Sardegna?
Quando si approccia la genetica, ci si rende conto che l’essere umano eredita delle caratteristiche dalla propria madre e altrettante dal proprio padre. Forse per uno scherzo del destino o per predisposizione naturale, gli abitanti della Sardegna e della Corsica, insieme ad altri popoli del Mediterraneo Occidentale, quali gli abitanti della Penisola iberica, del sud della Francia, del Nord Africa, etc., hanno conservato prevalentemente delle caratteristiche tali ereditate per via matrilineare. Giocoforza le modificazioni dell’ambiente, come ad esempio la desertificazione della Mezzaluna Fertile o del Sahara, hanno spinto i cacciatori raccoglitori e i primi agricoltori a raggiungere il Mediterraneo Occidentale, dove probabilmente la condizione climatica stava favorendo lo sviluppo della macchia mediterranea. Questi personaggi probabilmente hanno lasciato un loro peso considerevole nel patrimonio genetico patrilineare.

Dai dati archeologici in nostro possesso è possibile tentare di ricostruire la cronologia del popolamento della Sardegna dal Paleolitico all'Età del Ferro?
Diversi studi, condotti specialmente sui reperti umani della Sardegna centrale, hanno ampliato la conoscenza con un insieme di analisi genetiche, andando quasi a confermare, almeno per l’Età del Bronzo, la presenza di quelle caratteristiche genetiche trasmesse dalle donne europee e dai maschi medio-orientali del Paleolitico Superiore.
Marcello Cabriolu nella necropoli di Montessu - Villeperuccio (foto di Durdica Bacciu)
Nel secondo capitolo del libro analizza l'arte dei popoli preistorici, soffermandosi sulle incisioni ramiformi della Grotta Verde di Alghero. Di cosa si tratta? Quando sono arrivate in Sardegna queste forme grafiche?
La ricerca iniziale, da cui è partito tutto, ha condotto verso le incisioni distribuite in circa 70 aree archeologiche della Sardegna. Con il secondo capitolo del libro ho voluto prendere le incisioni di uno di questi siti, ovvero la grotta Verde di Alghero e, facendo il lavoro opposto di verifica, appurare la presenza di queste forme nei siti preistorici dell’Europa Occidentale. Ho avuto modo di poter accedere al database denominato Europreart.net, un progetto finanziato dalla Comunità Europea, con la raccolta dei principali siti dell’Europa Occidentale e l’arte rupestre. Grazie alla collaborazioni con un docente dell’Università di Pisa, ho potuto confrontare le incisioni della Grotta Verde con l’arte rupestre nella penisola italiana. Questi dati sono stati poi ulteriormente confrontati con l’arte figurativa dell’Europa centrale, il cui risultato ha suggerito che, dietro lo spostamento delle genti, si è verificata una lenta trasmissione di arte figurativa. Alcune forme mostrano una origine imputabile al Paleolitico Superiore, altre ancora si spingono fino all’età dei metalli.

Le incisioni preistoriche ci testimoniano una grande creatività. Come si possono interpretare i simboli contenuti nelle incisioni? Cosa c'è all'origine di quel tipo di linguaggio e cosa significa ripercorrere a ritroso la storia dell'uomo, riscoprendo ed analizzando questa sua produzione artistica?
Purtroppo l’interpretazione di tali simboli è ancora un argomento difficile da trattare. Per ora si è stabilita una catalogazione, si sta tentando una correlazione con alcuni “corpi scrittori” dell’Europa centrale. Il primo passo sarà riconoscere l’eventuale forma scrittoria sui Balcani ed eventualmente si potrà pensare di attuare una metodologia più precisa, quale ad esempio quella sviluppata sui caratteri minoici, micenei e cipro-minoici, per verificare se ci sono i presupposti per considerare i simboli del Mediterraneo Occidentale come una forma scrittoria arcaica. Indipendentemente da tutto ciò, si è potuto osservare che determinate forme grafiche/artistiche si sono trasmesse di generazione in generazione attraversando migliaia di anni.

Nel 2010 ha pubblicato il libro Il popolo Shardana. La civiltà, la cultura, le conquiste, un saggio in cui ripercorre le origini e l’evoluzione del popolo sardo. Quali teorie ha proposto in questo studio?
Il Popolo Shardana è stato scritto seguendo una linea sociale predisposta da alcuni testi di metodologia e di ricerca e con l’ambizione di delineare i canoni sociali caratteristici della civiltà nuragica. Le testimonianze scritte della civiltà nuragica ammontano a tutt’oggi praticamente a zero, ma si possono cogliere delle sfaccettature antropologiche e sociali attraverso le “letture” di altri popoli che con i nuragici commerciavano e legavano. In questo studio ho proposto le differenze sociali e l’individuazione di figure aristocratiche e militari attraverso la bronzistica; legate a queste ho suggerito la differenza di sepolture, correlando i materiali e le strutture (le tombe dei giganti per le aristocrazie e le necropoli a domus per il resto della popolazione). Ho provato a proporre una base cultuale ponendomi delle domande sugli eventuali retaggi e osservando il dato materiale funerario. Ho proposto un’organizzazione sociale e una militare, sulla base delle figurine armate, considerando un abbigliamento/equipaggiamento specifico. Ho provato a suggerire una forma di antropizzazione in settori del territorio, subordinata alle esigenze vitali, alle gerarchie e ai contesti di approvvigionamento. Nel testo ho provato a proporre, inoltre, la gestione delle coste e l’utilizzo di scali portuali, riferendomi a elementi di navigazione e di atterraggio e presentandone i risultati in un convegno sulla navigazione organizzato dall’Associazione Velica “Vento di Sardegna” e patrocinato dalla Lega Navale Italiana.

Quand'è che i Sardi si consolidarono come un popolo a tutti gli effetti?
Sinora la ricerca archeologica ha dato maggior peso alle ceramiche e ai materiali fittili, costruendo un processo storico unicamente in base alla sequenza cronologica. L’archeologia predicata dai grandi ricercatori si mostra invece globale, multidisciplinare, e solo ultimamente questa filosofia ha portato all’ampliamento, nell’ultimo decennio, degli elementi di interesse tali da caratterizzare una civiltà o permettere di approcciarla in maniera più “rotonda”. Basandosi sul principio della ceramica e facendo perno sull’edilizia abitativa, si era supposto che la civiltà sull’Isola si era consolidata durante la facies culturale di Ozieri, ovvero tra il 3200 e il 2850 a.C. Fortunatamente l’approfondimento e la multidisciplinarità della ricerca hanno messo “sul fuoco” tanti altri elementi tali da confutare questo “quasi pregiudizio” e rimettendo tutto in gioco per un momento più consolidato e certamente carico di sfaccettature.
Marcello Cabriolu nella necropoli di Montessu - Villeperuccio (foto di Durdica Bacciu)
Cosa sappiamo dell’ambiente sociale, economico, culturale e religioso della Sardegna di età protostorica?
Sinora, date le ultime ricerche, si può asserire che la società dell’Età del Bronzo fosse composta da elementi diversi, alcuni di questi specializzati; si sta volgendo a considerare che i nuragici, oltre a operare in diverse marinerie, avessero la propria flotta che faceva da intermediario tra la produzione e i commerci della penisola iberica e le produzioni della penisola italiana, oltre a far giungere i propri prodotti nel Mediterraneo orientale. Per quanto riguarda il campo cultuale e religioso, purtroppo si è ancora lontani, in considerazione degli scavi e dei materiali archeologici, da una precisa e specifica conformazione religiosa e all’attribuzione di una divinità specifica.

Quando nacque e dove si sviluppò la civiltà nuragica? Quali sono i monumenti più significativi prodotti da questa civiltà e qual era la loro funzione?
Difficile individuare un momento preciso, nel tempo, in cui asserire, senza ombra di dubbio, che sia nata la civiltà dei nuraghi. La tecnica edilizia del sovrapporre i grossi macigni a copertura pare consolidata in tutto il Mediterraneo Occidentale almeno dall’Età del Rame (2850 a.C.). Chiaramente, l’elemento simbolo della civiltà in Sardegna è il nuraghe e le regioni più prossime pare abbiano risentito di questa edilizia turrita, adattandola alle proprie conformazioni. La funzione degli edifici nuragici appare variegata, come svariate si mostrano le combinazioni edilizie e i posizionamenti in considerazione della morfologia del territorio. Personalmente ritengo che si possano accostare funzionalmente agli edifici palaziali della Creta del 1600 a.C.

Cosa ci dicono le Tombe dei Giganti e i Pozzi Sacri relativamente alle caratteristiche dell'architettura religiosa preistorica sarda?
La tomba dei giganti sinora ha identificato una struttura tipica dell’Età nuragica, ma ultimamente si è iniziato a differenziare quelle che costituivano l’ultima fase delle tombe a cista dell’Età del Rame da quelle realizzate ex novo tra il 1600 e il 1330 a.C. Alcuni ricercatori dell’Università di Cagliari sono persino giunti a ipotizzare che le tombe dei Giganti fossero mausolei per la classe abbiente e le Domus per individui meno abbienti. Per quanto riguarda i Pozzi sacri, gli spazi fruibili ci mostrano edifici non accessibili a tutti; il ruolo sociale dei fruitori elaborato dagli antropologi doveva essere elevato, pur trattandosi di contesti conviviali (fruizione del vino, condivisione di beni, momenti di incontro non comune).

Con quali civiltà i Nuragici hanno avuto scambi culturali e commerciali? Che ruolo deteneva la Sardegna all'interno della rete commerciale del Mediterraneo?
La popolazione nuragica ha avuto contatti con i Greci e con i Fenici, dimostrati dallo scambio di materiali e dai luoghi di incontro. In seguito si è potuto considerare l’inserimento nelle marinerie principali dell’Età del Bronzo – Età del Ferro e ultimamente si sta rivalutando l’esistenza di una marineria propria che si occupava di fare da tramite tra i prodotti iberici e le produzioni della penisola italiana. Una particolare attenzione merita la presenza di materiali nuragici nell’isola di Cipro e a Creta, motivo per cui gli studiosi stanno valutando la possibilità di un prolungamento commerciale, tramite altri vettori, o eventualmente la presenza dei nuragici stessi.

Lei fa parte dell'Associazione ArcheOlbia Promozione e Valorizzazione dei Beni Culturali. Di cosa si occupa questa associazione? Attualmente sta lavorando a qualche progetto?
L’Associazione ArcheOlbia è nata nel 2009. Nel corso degli anni ha portato avanti tantissimi progetti di promozione, formazione e progettazione di attività culturali legate alla valorizzazione dei beni culturali, con particolare attenzione ai giovani dai 3 ai 16 anni. Attualmente l’Associazione gestisce le visite e lo studio scientifico della Basilica di San Simplicio di Olbia sotto incarico dell’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della Diocesi di Tempio Ampurias, dove opero come Tecnico Archeologo. Mi occupo di archeologia dell’architettura e con l’Associazione stiamo portando avanti un progetto relativo all’architettura medievale e post medievale nel Nord Est della Sardegna, inerente il Corso di Laurea magistrale, dove l’edilizia della basilica, discussa nella tesi di Laurea presso l’Università di Sassari, costituisce un punto di partenza.
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