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lunedì, 09 luglio 2018 22:21 |
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Orune (NU), fonte sacra di Su Tempiesu. Età del Bronzo finale XII-X sec. a.C. Foto realizzata col drone da Maurizio Cossu di ArcheoFoto Sardegna, Cagliari.
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Francesca Bianchi
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Si è conclusa il 25 giugno, presso il Museo Civico Archeologico "Alle Clarisse" di Ozieri, la mostra Nuragici - un Territorio, un'Isola, il Mediterraneo, curata dall’archeologo Franco Campus.
La mostra, che è già stata a Roma, Genova, Firenze, Venezia, Olbia, a fine luglio verrà inaugurata ad Alghero e il prossimo anno raggiungerà il British Museum di Londra. E' un affascinante viaggio nel mondo della civiltà nuragica attraverso pannelli esplicativi bilingue e riproduzioni in scala e in dimensioni reali delle più importanti architetture che hanno caratterizzarono questa straordinaria civiltà.
FtNews
ha incontrato il dott. Franco Campus, che in una lunga intervista ha parlato della ricchezza del percorso espositivo, caratterizzato da pannelli, gigantografie e video multimediali che accompagnano il visitatore alla scoperta della grandezza di questa civiltà e della stupefacente bellezza della Sardegna, anche dal punto di vista paesaggistico e naturalistico. Nella mostra, che è nata grazie al finanziamento di Ittireddu, piccolo centro della provincia di Sassari, di cui Franco Campus è sindaco, sono stati esposti anche importanti reperti provenienti dal territorio dell’Unione dei Comuni del Logudoro, selezionati come testimonianza materiale dei Nuragici.
Nel corso della nostra conversazione, lo studioso ha parlato dell'arco cronologico in cui fiorì la civiltà nuragica e dei monumenti più significativi da essa prodotti, illustrandone la struttura e chiarendone la funzione. Ha discusso anche del ruolo della Sardegna all'interno della rete commerciale del Mediterraneo e dell'importanza dell'archeologia, affiancata e supportata dalle altre scienze, per cercare di ricostruire la storia dell'Isola.
Ha infine espresso l'auspicio che tutte le sedi che finora hanno ospitato la mostra e quelle che la ospiteranno in futuro possano ricevere un pezzo della millenaria cultura sarda, in un reciproco e produttivo scambio di idee e di stimoli per nuove avventure e nuovi progetti.
Dott. Campus, si è conclusa il 25 giugno, presso il Museo Civico Archeologico "Alle Clarisse" di Ozieri, la mostra Nuragici - un Territorio, un'Isola, il Mediterraneo, che a fine luglio approderà ad Alghero e il prossimo anno raggiungerà il British Museum di Londra. Come è nata questa esposizione e quali finalità si propone? Le testimonianze archeologiche esposte che immagine ci forniscono della cultura che le ha prodotte? Ci rivelano qualcosa dell’ambiente sociale, economico, culturale e religioso della Sardegna di età protostorica?
La mostra è nata grazie al finanziamento di un piccolo centro della provincia di Sassari, Ittireddu, come esposizione di uno fra gli aspetti più significativi della civiltà nuragica, vale a dire la raffigurazione, a partire dall’XI sec. a.C., dello straordinario edificio che la caratterizza, il Nuraghe. Il percorso espositivo è col tempo notevolmente implementato fino a comprendere tutti gli aspetti peculiari del periodo nuragico ( XVII-IX sec.a.C.).
La caratteristica principale della mostra, ciò che ne ha sancito in buona misura anche il riscontro presso un ampio pubblico nelle diverse sedi in cui è stata proposta, è rappresentato dal taglio didattico, con pannelli soprattutto pittorici privi di fronzoli e con una breve spiegazione in italiano ed in inglese.
La logica che ha animato tale tipo di approccio nasce dall’esigenza di “aprirsi” a tutti, soprattutto a coloro che non conoscono le vicende millenarie e la storia della Sardegna, nel caso specifico il periodo nuragico. Questa premessa è doverosa perché, forse per la prima volta, il visitatore ha la possibilità di immergersi in un mondo di 3500 anni fa, osservandosi intorno, non necessariamente leggendo quanto scritto, ma facendosi in qualche modo avvolgere dalle immagini, soprattutto gigantografie. L’intento è quello di apprezzare non solo la magnificenza di questa importante civiltà, ma anche l’isola dal punto di vista paesaggistico e naturalistico.
I reperti esposti nelle vetrine non sono molti, ma rigorosamente selezionati e funzionali a mostrare materialmente quanto realizzato dai Nuragici nel corso evolutivo della loro storia.
Nelle diverse sedi di esposizione (Roma, Genova, Firenze, Venezia, Olbia, Ozieri), si è cercato di conciliare gli spazi disponibili, realizzando un percorso razionale suddiviso in sezioni. Infatti uno degli aspetti peculiari è rappresentato dalla possibilità di implementare continuamente la mostra con nuove sezioni. In questo modo l'esposizione si configura quale “cantiere” culturale in evoluzione.
Come è strutturato il percorso espositivo che attende i visitatori?
Ad Ozieri sono state allestite 5 sezioni:
1) Orizzonti di una civiltà.
Sei pannelli pittorici di 2,5x1,5 metri raccontano in modo semplice:
a) Nel frattempo: cosa avveniva in Europa e nel Mediterraneo durante lo sviluppo della civiltà nuragica;
b) Beni di scambio e veicoli di cultura: i traffici da e per la Sardegna fra XVI e IX sec. a.C.;
c) I Nuraghi. Pochi tipi tante variabili: si illustrano i principali aspetti architettonici di questo eccezionale edificio;
d) Il sacro e la morte nell’architettura: si illustrano gli aspetti architettonici delle sepolture e degli edifici destinati al culto;
e) Il villaggio. Uno spazio ben organizzato: si illustrano gli elementi caratteristici delle strutture abitative.
2) Uomo, risorse e società.
Dopo aver collocato nel tempo ed illustrato gli elementi peculiari e caratteristici delle architetture e del ruolo dei nuragici nel Mediterraneo, se ne mostrano alcuni esempi e, soprattutto, si focalizza l’attenzione sul racconto delle attività economiche che hanno reso quella nuragica una fra le più importanti civiltà dell’Europa protostorica, parlando di metallurgia ed agricoltura.
I 22 pannelli (11 per sezione) di 1,80x1 metro sono inseriti nelle due facce di supporti che creano una sorta di muro disposto con andamento a zig-zag. Tra questi pannelli tre vetrine contenenti reperti che testimoniano le attività e i prodotti della metallurgia e gli strumenti legati alle pratiche agricole.
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Oliena (NU), sacello del complesso cultuale di Sa Sedda 'e Sos Carros, Valle di Lanaitto. Età del Bronzo finale/Età del Ferro XII-VIII sec. a.C. Foto di Franco Campus.
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Al centro della sala la ricostruzione in scala reale dell’elevato del nuraghe, cioè della parte superiore dell’edificio, che oggi, purtroppo, non siamo in grado di apprezzare a causa dei crolli delle parti superiori. E' stato, inoltre, possibile vedere la ricostruzione in scala reale del sacello di Sa Sedda ‘e Sos Carros di Oliena, un gioiello dell’architettura nuragica.
Sulla parete frontale rispetto al nuraghe era esposto un pannello di 6x3 metri dal titolo Dal reale…attraverso i particolari architettonici, al virtuale con il nuraghe Arrubiu di Orroli così come lo si vede oggi e come doveva essere 3500 anni fa.
Sulla parete posta a destra, in fondo, un altro unicum dell’architettura destinata al culto: la fonte sacra di Su Tempiesu di Orune.
Tre pannelli didattici pittorici ( 2,5x1,5) illustrano la modalità di costruzione del nuraghe, una scena di tecnologia del bronzo e una scena di tecnologia della ceramica.
3) Un territorio.
Una gigantografia mostra i monumenti più significativi del territorio che costituisce l’Unione dei Comuni del Logudoro. Si tratta di un contesto dove sono presenti oltre 250 monumenti di età nuragica (ben 130 nel solo territorio di Ozieri!). La scelta effettuata ha privilegiato lo stato di conservazione dei monumenti e le peculiarità architettoniche, senza disdegnare gli elementi evocativi espressi da queste eccezionali architetture, anche in virtù del contesto ambientale e naturalistico nel quale sono collocati.
4) Un’Isola.
Numerosi pannelli che illustrano i principali monumenti dell’età Nuragica.
5) Simboli e segni della memoria.
La quinta ed ultima sezione focalizza l’attenzione sulla funzione che le riproduzioni di nuraghi ebbero nel contesto di origine. Le navicelle votive con l’albero maestro conformato a torre e con animali sulle murate sono chiaramente espressione di una narrazione e segni del potere: nuraghi in bronzo e doni cerimoniali sono funzionali ad instaurare un’alleanza fra uomini e dei.
Quando nacque e dove si sviluppò la civiltà nuragica? Quali sono i monumenti più significativi prodotti da questa civiltà e qual era la loro funzione?
Tra l’età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro, per un arco cronologico di otto secoli (XVII-IX sec. a.C.), si assiste alla nascita, allo sviluppo e infine al tramonto di una fra le entità culturali più significative del Mediterraneo occidentale. La civiltà nuragica affonda le proprie radici nel megalitismo occidentale di età preistorica e si caratterizza per la varietà di manifestazioni culturali, soprattutto per la monumentalità delle architetture civili, funerarie e sacre. In un arco di tempo piuttosto limitato fra XVI e XIII sec. a.C. vengono innalzati migliaia di edifici costituiti da una (monotorri) o più torri (fino a cinque o sei, detti polilobati) dalla caratteristica forma troncoconica, raccordate da possenti cortine e comprese all’interno di cinte fortificate (antemurali) anch’esse turrite. Intorno al complesso fortificato spesso si estendeva l’insediamento con capanne per lo più di forma circolare, con zoccolo in muratura e copertura di pali e frasche.
I circa 8000 nuraghi censiti (ma potrebbero essere anche molti di più) venivano costruiti utilizzando grossi massi di pietra estratti per lo più nelle adiacenze, basalto, calcare, trachite, granito del peso di diversi quintali, messi in opera a secco con l’uso esclusivo di argilla e zeppe. Le altezze veramente considerevoli, che in alcuni casi, anche sulla base delle ricostruzioni virtuali, raggiungevano i 27 metri, la presenza di ardite scale elicoidali ricavate all’interno delle murature, i cortili, le volte a cupola degli ambienti interni, i profondi pozzi per l’approvvigionamento idrico, fanno dei nuraghi l’architettura più elaborata e sofisticata dell’età del Bronzo europea.
La “scienza” costruttiva dei Nuragici si esplicò anche in altre opere architettoniche, come le sepolture e gli edifici sacri. Abbiamo così le “tombe dei giganti”, con l’enorme stele al centro e lo spazio cerimoniale antistante ad esedra, e con la lunga camera funeraria alle spalle, da cui deriva il nome, utilizzate dalla comunità come sepolture collettive, ma che assumeranno anche un enorme valore simbolico e sociale, quali tombe degli antenati illustri, e funzione “politica”, quali marcatori territoriali. Sono svariate le tipologie architettoniche, talvolta comprese all’interno di complessi cultuali e santuariali, fulcri e punti nodali del territorio.
Templi a megaron a pianta rettangolare e copertura a doppio spiovente, fonti e pozzi sacri, rotonde, recinti cerimoniali, vasche lustrali gradonate, rappresentano la testimonianza più eclatante di architettura sacra nel panorama dell’Europa occidentale dell’età del Bronzo. Costruiti in tecnica isodoma, cioè con conci spesso lavorati a martellina e assemblati con ausilio di grappe di piombo, questi edifici costituirono i luoghi privilegiati dove onorare le entità celesti o ctonie e anche per ostentare la ricchezza e celebrare le gesta eroiche. Tutte queste architetture monumentali in pietra non hanno occupato esclusivamente gli orizzonti dello spazio fisico, ma hanno in qualche modo influenzato anche le dimensioni del pensiero e la percezione del tempo dei loro costruttori. Sedi del potere politico, economico e religioso, rappresentano anche il simbolo di forza di un popolo che esercitò un ruolo non secondario sulla scena mediterranea.
Con quali civiltà i Nuragici hanno avuto scambi culturali e commerciali? Che ruolo deteneva la Sardegna all'interno della rete commerciale del Mediterraneo?
Ichnussa (letteralmente 'orma' o 'impronta') fu il termine greco con cui le fonti storiche denominavano la Sardegna, che veniva definita anche Argyròphleps nesos, ossia 'Isola dalle vene d’argento'. Entrambi i nomi richiamano la precisa percezione che gli antichi ebbero della Sardegna, posta al centro del Mediterraneo e luogo privilegiato di sosta verso il lontano Occidente o, viceversa, verso Oriente.
La storia e il ruolo del popolo dei nuraghi durante l’età del Bronzo, nell’ambito di quel mercato globale che fu il Mediterraneo del XIV-XII sec. a.C., ci viene svelata dalle decine di manufatti, ceramiche e bronzi e dai traffici del metallo, soprattutto il rame, che raccontano e rivelano accordi economici, ma anche profonde intese politiche tra le diverse entità culturali. Tali rapporti garantirono ai Nuragici, anch’essi navigatori, di assicurare un benessere diffuso alla comunità, di apprendere ed elaborare in modo originale e diffondere le diverse tecniche, soprattutto nel campo della metallurgia, in altre parole di investire in innovazione e in tecnologia.
Come erano strutturati i nuraghi al momento della loro costruzione?
L’analisi della distribuzione dei monumenti e la definizione delle caratteristiche architettoniche degli edifici consente di comprendere l’ordinata strategia attraverso cui le genti nuragiche occuparono il territorio al fine di controllarne e sfruttarne le risorse ambientali, idriche e minerarie.
All’interno di un più ampio areale è possibile individuare diversi sistemi insediamentali, costituiti da un numero variabile di costruzioni, nuraghi semplici o complessi, oltre a tombe e siti destinati alle pratiche rituali, organizzati sulla base di un rapporto “gerarchico”, in cui i monumenti più articolati, ubicati nei punti nodali della zona, fungevano da centri di controllo, di raccordo e di smistamento. Questa accurata pianificazione e impostazione “piramidale” costituisce il modello e l’immagine della società di riferimento.
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Torralba (SS), Nuraghe Santu Antine. Pintadera con ricca decorazione incisa. Età del Bronzo finale/I età del Ferro X sec.a.C. Ceramica. Foto di Roberto Cretton, Roma.
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Cosa ci rivelano i reperti in mostra?
I reperti visibili non rappresentano l’elemento preponderante del percorso espositivo. Servono per far comprendere al visitatore che quanto vedono illustrato nei pannelli non è frutto di fantasia, ma sono oggetti veri, reali. Tuttavia, più che sui reperti, il percorso focalizza l’attenzione su chi li ha realizzati. Dunque, non si parla ad esempio di falci, lime o picconi, ma piuttosto di agricoltori, falegnami, fabbri, pastori e via discorrendo. Dietro il reperto c’è sempre un essere umano (chi lo ha fabbricato e chi lo ha utilizzato), c’è un universo di persone con il proprio lavoro e con i propri riti, miti, credenze. Solo illustrando gli oggetti sotto questa prospettiva si evita di far sì che essi diventino dei semplici “feticci” o piuttosto cose anonime ad uso e consumo degli addetti ai lavori.
Quanto è d'aiuto l'archeologia per ricostruire la storia della terra che ospitò una delle civiltà più antiche e all'avanguardia del bacino del Mediterraneo?
La disciplina archeologica e le tecniche ad essa connesse rappresentano uno strumento formidabile per la comprensione di quanto accaduto nella storia della Sardegna. In anni recenti le indagini, condotte con metodo scientifico e soprattutto con il supporto delle altre scienze (paleobotanica, carpologia, cioè studio dei resti di frutti, analisi chimiche, archeozoologia), hanno rivelato e continuano a rivelare una civiltà molto più complessa e una società molto più articolata di quanto si potesse pensare.
L’archeologia, che è disciplina scientifica, deve essere anche uno strumento contro inutili identitarismi, contro possibili etnocentrismi ed auto-sacralizzazioni e deve aprire le porte alla conoscenza vera e reale. Dobbiamo in sintesi prendere esempio dai Nuragici, che sono stati dei veri maestri, perché hanno investito in cultura e innovazione, hanno affrontato il mare, hanno appreso dalle altre popolazioni, si sono confrontati con altre realtà e hanno tramandato con le loro opere, i loro monumenti e i manufatti la loro specificità.
Dai dati archeologici in nostro possesso è possibile tentare di ricostruire la cronologia del popolamento della Sardegna dal paleolitico all'età del ferro?
Come ho già affermato, la disciplina archeologica, come tutte le scienze, è in continua evoluzione, in continuo divenire. Oggi sappiamo molte più cose rispetto al passato. Di molte facciamo ipotesi, di altre abbiamo trovato risposte alle ipotesi. Certamente siamo in grado di ricostruire le vicende della Preistoria e della Protostoria dell’isola, di individuare le diverse culture o facies che si sono susseguite nel tempo, di precisare con buona approssimazione il passaggio da un periodo all’altro, che non avviene mai improvvisamente, ma è frutto di processi che come studiosi cerchiamo di chiarire attraverso lo studio dei reperti, attraverso il riesame degli scavi vecchi e recenti. Le pagine
sgualcite e frammentarie vengono con fatica ricomposte, sebbene molte parti di esse risulteranno per sempre distrutte.
Un prezioso catalogo, edito da ARA Edizioni con sede a Siena, accompagna l’esposizione. Come è strutturato e di quali contributi si avvale?
In realtà i cataloghi sono almeno tre. Il primo, dal titolo Simbolo di un Simbolo. I modelli di nuraghe, curato da me e da Valentina Leonelli, raccoglie i contributi di venti studiosi che operano nell’isola. Si tratta di un corposo volume scientifico di oltre 400 pagine, rivolto soprattutto alla comunità scientifica. Tuttavia, proprio in virtù del carattere divulgativo della mostra, l’editore ha voluto stampare anche una guida breve, sempre a colori e di oltre 100 pagine, che sintetizza il volume scientifico. Questa guida è rivolta a tutti coloro che hanno visitato la mostra nelle sue diverse sedi di esposizione.
A Roma, durante l’esposizione nello splendido scenario di Villa Giulia, il volume aveva il titolo accattivante di La Sardegna dei 10000 nuraghi. Miti e simboli dal passato. Sono stati inclusi anche i contributi dei colleghi della penisola che trattavano dei rapporti fra i Nuragici e le popolazioni dell’area laziale. A Firenze è stata proposta una guida analoga, dal titolo Miti e simboli di una civiltà Mediterranea: la Sardegna Nuragica. Anche in questo caso molte pagine sono state dedicate ai rapporti fra l’isola dei nuraghi e le e popolazioni Villanoviane, vale a dire i progenitori degli Etruschi.
Quali riflessioni si augura che questa mostra possa suscitare in tutti coloro che avranno il piacere di visitarla?
Io penso che non sia facile, nel nostro Paese, far passare l’idea che fare politica culturale è diventata una necessità. E' la cultura in senso lato l’unico elemento in grado di far generare dei germogli, che sono le norme e le regole essenziali per organizzare la società e i comportamenti individuali. E’ attraverso questa simbiosi tra cultura e società, che reciprocamente si rigenerano, che nascono le relazioni tra individui e, dunque, vera conoscenza. Ed è in questo modo che si ha la possibilità di trasmettere i saperi collettivi, quelli che si accumulano nella coscienza dei singoli e nella memoria culturale. Ecco, l’intento della mostra, ciò che ne contraddistingue l’idea originaria, non è quello di produrre del denaro, come stanno tentando di fare delle imitazioni mal riuscite che, senza alcuna vergogna, in maniera maldestra e senza vero approfondimento scientifico, hanno tentato di copiare il percorso espositivo nato ad Ittireddu nel 2012. Il motivo conduttore è stato quello di donare un pezzo della nostra cultura millenaria e, raggiungendo Roma, Genova, Firenze, Venezia, Olbia, Ozieri, Matera, Alghero, Londra e tutte le sedi che avranno desiderio di ospitarci, ricevere, a nostra volta, nuovi stimoli per nuove avventure, analogamente a quanto fecero migliaia di anni fa i Nuragici, quando si incontrarono con le popolazioni del Mediterraneo.
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