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Il Palacio de la Moneda . dove infuriò il golpe contro Salvador Allende, oggi
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Fabrizio Federici
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Nella storia, la data dell’11 settembre resta legata a una serie di avvenimenti di grande rilevo, ma per lo più infausti. Non va dimenticato che gli stessi integralisti islamici fautori dell’attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono dell’11 settembre 2001ammisero di aver scelto quella data come rivincita nei confronti dell’11 settembre 1689, quando l’Islam aveva subito la grave sconfitta, vera e propria “Lepanto terrestre”, della battaglia del Kahlenberg, presso Vienna. In cui le truppe polacche, austriache e tedesche della Lega Santa, comandate dal re polacco Giovanni Sobiesky, avevano sconfitto l'esercito ottomano, guidato da Mustafà Pascià, che assediava la capitale dell’Impero asburgico. Ma già 124 anni prima, un altro 11 settembre, nel 1565, aveva visto un’altra forte sconfitta dell’Islam, col fallimento del grande assedio ottomano di Malta. Mentre 24 anni dopo, l’11 settembre 1599, a Roma, la Piazza di Castel S’Angelo, gremita di folla, vedeva l’esecuzione della nobildonna Beatrice Cenci, colpevole, insieme alla matrigna e al fratello maggiore, dell’uccisione del padre Francesco, violento e depravato (tra i presenti, anche gli artisti Caravaggio e Orazio Gentileschi, con la figlia, futura pittrice, Artemisia).
Ma in Occidente e nel Terzo Mondo, sino a prima dell’attentato delle Torri Gemelle, la data dell’11 settembre veniva immediatamente identificata con l’11 settembre 1973 a Santiago del Cile. Quando il golpe organizzato dai militari, guidati dal comandante in capo dell’Esercito, generale Augusto Josè Ramòn Pinochet Ugarte, poneva fine nel sangue all’esperimento di governo dei partiti di Unidad Popular, che 3 anni prima avevano portato, alla Presidenza della Repubblica, il medico, e senatore, Salvador Guillermo Allende Gossens. A 50 anni, ormai, da quei fatti, e’ il momento di guardare a loro con maggior obbiettività: soprattutto, diremmo, con maggior capacità di contestualizzare i fatti nel loro ambiente geopolitico e nel clima storico e sociale che li vide accadere.
Evento fondamentale della storia cilena, il golpe del ’73 è assurto a simbolo dell'ingerenza degli USA nelle questioni interne dei Paesi latinoamericani; e, più in generale, dei decenni della Guerra fredda. Quando la logica di Yalta e dei suoi “corollari”, con le contrapposte dottrine Brezhnev e Monroe (quest’ultima, per la verità, nata più di un secolo prima di Yalta, ma periodicamente “aggiornata” dalle amministrazioni USA), ostacolavano gravemente qualsiasi esperimento di sviluppo democratico e autonomia internazionale dei Paesi rientranti nelle contrapposte sfere d’influenza (“Socialismo a Santiago e a Praga”, titolava, nel ’76, Bettino Craxi un suo libro, edito da Sugarco ed oggi reperibile solo in Internet: che accostava acutamente Allende e Dubcek, come due “ribelli” – al di là delle forti differenze che li separavano - all’egemonia dei loro “Grandi fratelli”, americano e sovietico).
Va detto,. però. che la complessiva linea di Allende – che continuava a proclamarsi marxista convinto, e non rinunciò ad attuare un forte controllo su tutta l’economia cilena (quasi, diremmo, con una singolare “rilettura speculare” della politica di capillare dominio delle economie di molti Paesi latinoamericani attuata, sin da fine ‘800, dagli USA) urtò e preoccupò fortemente la media e alta borghesia. Da qui la tensione politica nel Paese, oltre ovviamente a un discreto dissenso internazionale. Aggiungiamo una politica estera fortemente sbilanciata a favore di URSS e Paesi satelliti (qui, molto ci sarebbe da scartabellare negli archivi ex-sovietici, specie del vecchio KGB) e della Cuba castrista. Basti pensare che, nel ’71, il “lider maximo” restò in Cile, in visita ufficiale, addirittura un mese (!), arringando più volte la folla dallo stesso palco di Allende ( su “Ragionamenti”, la rivista di area riformista a lungo diretta dallo scomparso Giuseppe Averardi, negli anni ’90 pubblicammo un’incredibile foto, tratta da un libro sulla visita di Fidel in Cile, poi fatto ovviamente sparire, dai generali golpisti, da tutte le librerie, che ritraeva, tutti insieme, Allende, Castro e Pinochet…).
Il resto, purtroppo, è noto; l’11 settembre 1973, la stessa tv di Stato, già obbediente ai nuovi padroni, mostrava le immagini dell’assalto dei golpisti al Palacio de la Moneda, sede del Governo. Salvador Allende parla un’ultima volta al telefono (usando uno dei primissimi esemplari di cellulare sperimentale) con la figlia Isabel, futura grande scrittrice: poi – secondo la versione ufficiale – si sdraia su un divano (tuttora conservato nel Palacio) e si suicida, usando la mitraglietta regalatagli da Fidel Castro. Ma nuove testimonianze, e soprattutto, una nuova perizia medico-legale effettuata nel 2011, come riportato nel libro del medico forense Luis Ravanal e del giornalista Francisco Marin (“Allende: yo no me rendire”, 2013), hanno appurato con certezza quasi assoluta che il Presidente fu, invece, assassinato dai golpisti, penetrati nel Palazzo.
“Mezzo secolo dal golpe in Cile - Il neoliberismo di ieri e di oggi”, è il titolo del convegno organizzato, appunto l’11 settembre, dall’Università Roma Tre. Dove sono intervenuti, tra gli altri, Lucy Rohjas Reischel, che lavorò nella coordinazione dei settori Ricreazione e Cultura nella città cilena di Valparaiso sino al golpe, ed oggi presiede l’Associazione Culturale Cilena di Milano (“Allende per noi incarnò un sogno, quello, da sempre diffuso in tutta l’America Latina, di creare un governo socialista per via democratica; e il suo programma, a ben vedere, non si discostava troppo da quelli di altri leader socialisti del Continente”), ed Enrico Calamai, diplomatico che all’epoca, già in regolare servizio in Argentina, fu per 3 mesi in missione presso l’Ambasciata italiana a Santiago. Unica formula giuridicamente possibile per assistere i nostri connazionali rifugiati nella legazione diplomatica, non volendo avere, il Governo italiano, regolari rapporti con la Giunta golpista. Claudio Tognonato, docente associato di Sociologia economica e Storia del pensiero sociologico presso il Dipartimento di Scienze della Formazjone di Roma Tre, ha evidenziato l’ ”esempio” rappresentato dal golpe cileno per un’Argentina dove, nemmeno 3 anni più tardi (marzo 1976), un altro colpo di Stato avrebbe rovesciato l’esecutivo guidato da Isabelita Peron, seconda moglie del “Generalissimo”.
E ha chiarito (come già fatto, anni fa, nel libro “Economia senza società”) la natura del golpe di Pinochet come operazione di “ingegneria demografica”: che inaugurò, in Cile e un po’ in tutta l’America Latina, l’era del liberismo spietato, con protagonisti i “Chicago boys“, allievi estremisti di Milton Friedman (liberismo poi parzialmente nobilitato, negli anni ’80-’90 del Novecento, da personaggi come Ronald Reagan e Margaret Thatcher). Andrea Cerroni, prof. Ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi al Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano - Bicocca, ha ripreso il parallelismo tra Praga 1968 e Santiago 1973: ripercorrendo la storia del contrasto, sin dagli anni ’40 -’50, tra Cibernetica di indirizzo più umanistico e primi passi dell’Intelligenza Artificiale. Proprio Allende, ha precisato Cerroni, poco dopo la sua elezione lanciò il progetto cibernetico “Cybersyn”, per gestire la transizione economica del Cile: in sintesi, una sorta di Internet “ante litteram”, che, ad esempio, aiutò il Cile a superare gli scioperi selvaggi dei camionisti, anzitutto individuando quei 400 trasportatori che non erano aderiti alla protesta.
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