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Stefano Maira, ristoratore romano, ci parla delle forti difficoltà di questo settore

martedì, 09 giugno 2020 14:23

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Fabrizio Federici
Come stanno vivendo la riapertura, autorizzata solo pochi giorni fa da Governo e Regione Lazio, ristoranti, pizzerie, bar, gelaterie ed altri esercizi per la ristorazione a Roma? Un mese e mezzo fa, l’ultima decade di aprile. La CNA prevedeva, solo nella capitale, la chiusura di ben 2500 ristoranti e 2300 bar, e, per gli altri, un crollo del fatturato del 70 per cento. La Confesercenti aveva fatto previsioni anche più nere: un crollo di ben due miliardi di euro degli incassi di ristoranti e bar per il 2020, e la possibilità di fallimento per 450 hotel. Il picco della crisi, negli esercizi del centro storico (che da sempre si affidano, per la clientela, all’apporto degli ospiti degli alberghi, turisti in primo luogo, e della massa di dipendenti pubblici e privati lavoranti appunto in centro); destinate a reggere meglio le periferie, densamente popolate, e quotidianamente percorse da ingenti flussi di traffico.
Un mese e mezzo dopo, la realtà, se non così fosca, si sta rivelando però molto difficile. Sicuramente per tanti operatori del settore è una ripartenza assai lenta, tra difficoltà d’ogni tipo e tante idee per riprendere quota: anzitutto, pensare soprattutto alla qualità, migliorare l’offerta puntando specialmente sui cibi italiani. Su tutto questo, ascoltiamo un operatore romano “in prima linea”: Stefano Maira, titolare di “Vin Santo” (ristorante di Via Germanico, nei pressi della centralissima Piazza Risorgimento).

Stefano, com’è, in due parole, la situazione?
Certo non buona, anzi, preoccupante, direi. Abbiamo riaperto da pochissimi giorni, e sinceramente stiamo lavorando solo a pranzo; la sera, per ora almeno, restiamo ancora chiusi, perché davvero “il gioco non vale la candela”. Ma possiamo andare avanti, con incassi giornalieri che, almeno attualmente, sono di poche decine di euro quando, in primis, ci stiamo portando dietro il passivo di due mesi in cui siamo rimasti completamente chiusi, senza neanche lavorare “per asporto”( tra fornitori, bollette di luce e gas che comunque anche per quel periodo vanno pagate, ecc…)? E quando, soprattutto, ogni giorno ci rimettiamo circa 300 euro, tra bollette, nettezza urbana e altre imposte comunali, stipendi del personale (che, peraltro, come tutti i ristoratori, ho dovuto ridurre, nel mio caso addirittura a 2- 3 dipendenti)?

Certo è un quadro non facile. Cosa pensi di fare?
Per il discorso sanitario siamo in piena regola, perché ho provveduto a sanificare attentamente il locale; mentre nel servizio quotidiano, facciamo rispettare in pieno le regole poste dal governo, con la distanza di sicurezza tra i tavolini e la possibilità di far sedere vicino, allo stesso tavolo, solo i clienti che sono membri di uno stesso gruppo familiare, o comunque congiunti (regole indispensabili sinché il coronavirus è presente, certo, ma che, per forza di cose, inceppano ulteriormente il nostro lavoro). Per avere più’ spazio da utilizzare, e quindi più’ clienti da ricevere, potremmo, sì, chiedere al Municipio di mettere una serie di tavoli direttamente sul marciapiede, appena fuori del locale: ma questo comporterebbe far fare un apposito progetto da un architetto, con un’ulteriore spesa di almeno 1000 euro. Vediamo comunque di andare avanti: e qui voglio ringraziare tutti gli amici che in questi mesi ci hanno dato il loro sostegno, a partire da Mons. Jean-Marie Gervais, presidente di Tota Pulchra (associazione che si occupa di iniziative artistiche e culturali, e della valorizzazione di nuovi talenti, N.d.R.).

E che ne pensi degli aiuti per la ripresa di cittadini e imprese più’ volte promessi da Governo e Regioni, specie col decreto “Rilancio” di metà maggio scorso? Lo stesso Presidente del Consiglio sta riconoscendo che l'Italia riparte, ma purtroppo "col freno a mano tirato"...
Direi che gli aiuti dello Stato rischiano di rivelarsi un rimedio peggiore del male. Perché se guardiamo bene, la maggior parte del sostegno che il governo ha promesso alle imprese consiste in prestiti, sia pur a tasso agevolato, che noi imprenditori dovremmo chiedere alle banche con la garanzia dello Stato; il che significherebbe andarci in sostanza a indebitare, prendendo un impegno di rimborso che non sappiamo se potremo mantenere in un momento come questo, in cui sostanzialmente siamo già indebitati su più’ fronti. Ho l’impressione che la politica, oggi, davvero stia diventando folle. Abbiamo fatto richiesta, poi, per il contributo di 10.000 euro da parte della Regione Lazio: ma ho capito che solo pochissimi, ben introdotti nel “circuito”, lo prenderanno.

Cosa diresti che va fatto, allora, per rilanciare il comparto della ristorazione in Italia?
Chiaramente il settore ristorativo è molto connesso con quello alberghiero (noi per primi, operando nel Centro storico, abbiamo sempre avuto una clientela fatta anzitutto di turisti, e altri viaggiatori che pernottano negli alberghi della zona, ora pressoché vuoti): e quello alberghiero, a sua volta, non può’ prescindere dallo stretto rapporto col turismo, come sappiamo una delle primissime risorse dell’Italia. Allora ci vuole, direi, una politica organica per tutela e valorizzazione dei Beni Culturali e sviluppo del turismo, e sostegno alle imprese dei settori alberghiero e ristorativo. Sono quattro settori tra loro strettamente legati.

Il "Piano Colao" per la ripresa del Paese sembra recepire effettivamente quest'ultimo punto; così come, più specificamente, lo recepisce il Ministero per i Beni e Attività Culturali, nelle sue ultime linee programmatiche: ma come sarà tradotto nella pratica di governo? E guardando un attimo oltreconfine, ritieni valide le politiche adottate, per combattere la crisi economica da Covid-19, da altri Paesi industrializzati, dalla Germania (che agisce sempre utilizzando il suo Welfare) agli USA (dove, invece, molti cittadini stano ricevendo direttamente dallo Stato aiuti a pioggia, ”una tantum”, come 1200 dollari a testa)?
Possono essere, in varia misura, esempi validi. Ma in Italia, fermo restando che se lo Stato lancia un programma di aiuti finanziari a cittadini ed imprese, questi poi devono essere accessibili in tempi ragionevoli e senza troppe difficoltà e pastoie burocratiche (perché, allora, tutto risulterebbe inutile), uno dei provvedimenti macroeconomici, di tipo classico, che il governo dovrebbe adottare, sarebbe stampare più’ moneta, secondo le necessità generali del Paese in questo momento. Ma manovre monetariste di questo tipo, che gli Stati han sempre impiegato per affrontare momenti di crisi, purtroppo oggi ci sono precluse dalle norme di base dell’Unione Europea. Davvero speriamo, allora, che Roma, questo Paese, l’Europa tutta riescano a risollevarsi rimboccandosi le maniche e attingendo il più’ possibile alle proprie riserve interne: non solo finanziarie, ma anche di capacità, tenacia, inventiva. Un po’, direi, come accadde dopo la Seconda Guerra Mondiale: anche se, in questo caso, non credo che, in seguito, ci sia troppo spazio per un altro “boom economico”.
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