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Sulla via degli sciamani del Sudamerica con Stefano Lioni

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lunedì, 29 agosto 2016 08:00

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Donna che fila la lana accanto al suo lama
Francesca Bianchi
FtNews ha intervistato Stefano Lioni, 34enne laureato in Scienze Naturali che lo scorso anno, dopo cinque anni di lavoro in ufficio, si è dimesso per realizzare il sogno di una vita: percorrere tutto il continente sudamericano alla scoperta dei popoli indigeni e delle loro tradizioni ancestrali. Stefano, che qualche mese fa il Governo Andino di La Quiaca ha insignito del Riconoscimento Ufficiale di Promotore della Cultura Ancestrale, in funzione della qualità del lavoro di documentazione svolto sul posto, nel corso di questi mesi ha fatto parlare di sé i quotidiani e le tv locali. Con il suo entusiasmo contagioso ci racconta, attraverso il suo Blog e la sua pagina Facebook Sulla via degli sciamani, la vita semplice e autentica dei popoli originari e gli incontri con sciamani e sciamane, con curanderi e curandere.
Dalle parole di questo giovane coraggioso e determinato si capisce che il suo cammino è prima di tutto un viaggio dell'anima e un'occasione di crescita umana e spirituale.

Come e quando hai deciso di staccare la spina dalla routine quotidiana e metterti in viaggio per il Sudamerica?
Ho maturato questa idea in un momento particolare della mia vita, in cui ero diventato schiavo del lavoro. Un weekend di qualche anno fa mi trovavo a Madrid per l'addio al celibato di un mio amico. Staccai qualche giorno dalla routine quotidiana e, quando tornai a casa, mentre tentavo di mettermi la cravatta per andare a lavorare, realizzai che questo gesto, per me quotidiano e semplicissimo, era diventato impossibile. Da tempo sentivo che ciò di cui necessitavo era un'altra vita: avevo bisogno, almeno per un po', di una vita in viaggio. In ufficio mi sentivo uno schiavo in giacca e cravatta e mi stavo deprimendo. Così, dopo cinque anni di lavoro in una società di consulenza, rassegnai le dimissioni per realizzare un mio sogno: percorrere tutto il continente sudamericano alla scoperta dei suoi sciamani, dei suoi popoli indigeni e delle sue terre. Il 2 settembre 2015 sono partito per Buenos Aires e, dopo quasi un anno, sono ancora in viaggio. Lasciate le grandi città e raggiunta la provincia argentina di Jujuy, ricca di zone naturali, qualche mese fa ho sentito il desiderio di iniziare a camminare. Finora ho percorso circa 1000 km a piedi, me ne restano ancora circa 4500, verso la Patagonia. Poi, ultimato il cammino in Argentina, risalirò il Cile, la Bolivia, il Perù, fino all'Amazzonia.

Perché hai scelto proprio il Sudamerica?
Ho iniziato a scoprirlo meglio durante i miei studi naturalistici all'Università, leggendo i libri di Eduardo Galeano e anche attraverso il cinema latinoamericano. Il film che fra tutti mi ha sempre ispirato maggiormente a percorrere questo straordinario continente è I diari della motocicletta, diretto da Walter Salles: le scene dei paesaggi e degli incontri che i due protagonisti del film fanno durante il loro viaggio risuonarono dentro di me come un richiamo. In generale poi, tra gli scrittori che hanno alimentato da sempre il mio desiderio di viaggiare, c'è il grande Tiziano Terzani.

In rete hai fondato un blog dal titolo "Sulla via degli sciamani" e l'omonima pagina Facebook. Perché hai chiamato questa Tua avventura "Sulla via degli sciamani"?
Prima di partire mi sono detto: "Perché non raccontare il viaggio, utilizzando anche i moderni Social, in versione Moleskine digitale?". Così ho deciso di creare il blog e la pagina Facebook, scegliendo come nome "Sulla via degli sciamani" perché tra gli obiettivi principali del viaggio c'era e continua tuttora ad esserci la volontà di incontrare sciamani, curandere, curanderi. Sono partito con l'idea di approfondire a fondo il tema dello sciamanesimo perché ho sempre pensato potesse essere un buon metodo per cercare di rispondere, dal mio punto di vista, alle eterne domande dell'uomo: "chi siamo?", "da dove veniamo?", "dove andiamo?". Lo sciamanesimo mi affascina perché non è una religione, ma un metodo privo di dogmi, per cui ogni essere umano è una sorta di esploratore invitato a raggiungere una sua personale verità. Quando il senso delle cose inizia a dipendere dalla tua personale avventura di ricerca, la vita assume una prospettiva totalmente diversa e molto più interessante rispetto a quella proposta da una ricetta escatologica preparata da altri.
Una curandera, incontrata da Stefano nelle valli Caclchquiés, mentre legge le foglie coca.
Hai partecipato alla Festa delle Erbe Medicinali e hai potuto conoscere curandere e curanderi. Che rapporto hanno queste persone con la spiritualità?
Dagli incontri fatti finora in viaggio e dalle letture di approfondimento che mi accompagnano sempre, è chiaro che nella cosmovisione andina e, in generale, nelle cosmovisioni ancestrali sudamericane, tutto è vivo. Non solo gli esseri umani, ma anche piante, animali, montagne, nuvole, pietre; tutto ha uno spirito. Questa visione mi affascina perché se tutto è vivo, forse l'invito a rispettare il giardino dell'anima, come James Hillman definiva il mondo, è più semplice ascoltarlo. Con l'anima da queste parti si parla ancora: i curanderi e le curandere effettuano rituali per chiamare l'anima che si è allontanata dal corpo di un malato e, a quanto pare, stando alle molte testimonianze di persone guarite incontrate finora, questi rituali di guarigione, per certe situazioni, funzionano molto meglio di qualsiasi farmaco moderno. Le curandere si possono incontrare alle feste delle Erbe Medicinali oppure, come faccio spesso, cercandole tra i villaggi. L'ultima curandera l'ho incontrata un mese fa nelle valli Calchaquies. Dopo avermi fatto sedere, ha scelto le migliori foglie di coca e le ha chiuse in una mano. Ha avvicinato il pugno chiuso davanti alla bocca, ha sussurrato una preghiera alla Vergine e alla Pachamama e ha fatto cadere le foglie sul tavolino, iniziando a dirmi ciò che vedeva. Molti discendenti indigeni di queste zone dell'Argentina praticano un forte e, a mio avviso, ormai naturale sincretismo religioso: hanno conservato le loro credenze ancestrali, infatti invocano spesso gli spiriti della montagna e la Pachamama, ma allo stesso tempo pregano la Madonna e i santi cristiani. A tal proposito, un curandero una volta mi disse queste parole: Quando una persona ammalata viene a chiedermi aiuto, una delle prime cose che le chiedo, prima di iniziare il rituale di guarigione, è se crede in qualcosa di sacro. Può essere la Pachamama, il Sole, un Santo cristiano o altro, non importa. L’importante è che abbia una fede, perché non saranno solo le mie erbe o la mia intuizione ad aiutarla, ma anche le sue preghiere, le sue intime richieste al sacro.

Come vivono le famiglie che hai incontrato finora e che accoglienza Ti hanno riservato? Qui nel Nord argentino, in particolare nelle zone della Ruta 40, lo stile di vita prevalente è quello agro-pastorale. La gente pratica un'agricoltura di sussistenza. Solitamente gli abitanti dei villaggi si svegliano all'alba e lavorano quanto basta per vivere. Quando mi capita di chiedere ospitalità per la notte, perché magari c'è troppo freddo o vento per dormire in tenda, mi accolgono sempre con immensa generosità. Se può, qui la gente ti aiuta e, se non può, in qualche modo ti aiuta lo stesso, e senza chiedere mai nulla in cambio. Io, però, per ricambiare il favore, mi offro sempre di poter essere utile in qualche modo, magari dando una mano nei campi o prendendomi cura del bestiame. In queste zone rurali, pur essendo paesini popolati mediamente da non più di cinquanta famiglie, spesso colpisce l'alta percentuale dei bambini che gira per le strade. Ogni nucleo familiare, infatti, è ancora molto numeroso: il più piccolo di solito è formato da padre, madre e almeno quattro figli. Per questo quasi ogni villaggio, seppur di modeste dimensioni, possiede una scuola elementare. Nei luoghi in cui non arriva la corrente elettrica piccoli pannelli fotovoltaici offrono il minimo energetico. La copertura di telefonia mobile non esiste, ma il senso di comunità e di vicinanza tra la gente, che per cercarsi usa ancora bussare alla porta, allontana l'idea dell'isolamento tecnologico.

Le donne che ruolo ricoprono?
Nelle zone prettamente agro-pastorali le donne si impegnano in lavori che in Italia tendiamo a considerare prevalentemente maschili. Mi è capitato spesso di vedere donne badare al bestiame, anche a 5000 metri d'altezza, nella precordigliera andina. Molte di loro si occupano direttamente anche degli esemplari da cui ricavare lana e carne, procedendo loro stesse a tutte le fasi della macellazione. Poi, una volta tornate a casa, cucinano, si prendono cura dei figli e della famiglia. Ovviamente anche gli uomini lavorano nei campi e con gli animali, però mi ha colpito constatare l'alto numero di donne che si dedica a tali attività.

Hai mai avuto paura durante una delle Tue tante notti trascorse al freddo, in località desolate e sconosciute?
Assolutamente no, per il semplice fatto che credo fermamente che se uno si trova dove deve essere, non ha senso che tema qualcosa. La paura più grande che avevo prima di partire era quella di perdermi la vita, chiuso in una gabbia chiamata ufficio. Ora che finalmente sto realizzando il mio sogno, le paure sono scomparse. Le paure sono utili solo a chi ce le mette in testa, per controllarci, per tenerci lì, al nostro posto, per dividerci dagli altri e per frammentarci interiormente. Una persona frammentata è disorientata e, quindi, segue più facilmente ciò che gli si dice di fare. Una persona integra e centrata, invece, va per la sua strada. Ad annullare poi del tutto ogni possibile incursione mentale della paura, penso che contribuisca molto la mia personale e profonda certezza che la morte non esiste. Il corpo termina la sua funzione biologica, ma l'anima continua a vivere e, mantenendo la sua individualità, con la sua valigia di esperienze, parte per un viaggio. Poi, quando sarà il momento, ritornerà sul piano terreno o su qualche altro piano, con una nuova missione, in una nuova forma.
Stefano con il suo compagno di viaggio, il cagnolino Willy, a 5000 metri di quota, sulla vetta dell'Abra dell'Acay, il passo stradale più alto del mondo, raggiunto dopo 3 giorni di salita
Cosa significa per Te essere in cammino?
Innanzitutto, dal punto di vista fisico, significa muovermi. Significa libertà di potermi svegliare la mattina e decidere di raggiungere il villaggio successivo, un nuovo paesaggio o un nuovo cielo, senza dover aspettare un bus o fare un pieno di benzina. Il cammino è una delle azioni più simboliche in assoluto. Personalmente lo trovo una cura potentissima per l'anima, perché la mette in movimento. Movimento e cammino che Eduardo Galeano, mentre cita Paulo Freire, descrive così: La natura si realizza in movimento, e così anche noi, suoi figli, che siamo ciò che siamo, e a volte siamo ciò che facciamo per cambiare ciò che siamo. Come diceva Paulo Freire, l'educatore che morì imparando: "Siamo camminando" .

Nel corso del viaggio Ti sei imbattuto anche in due luoghi antichi, ricchi di testimonianze archeologiche misteriose: i petroglifi di Yavi e la Pietra Mappa nella Roccia di Barrancas. Puoi dirci qualcosa in più su questi due affascinanti siti?
Sono due posti incredibili, carichi di un magnetismo ancestrale unico. Tra i petroglifi della Laguna Colorada di Yavi si trovano incise spirali, serpenti, costellazioni, visioni, genesi del mondo. Siamo in presenza di un luogo sacro, quasi magico, che conserva un patrimonio di simboli capace di raccontare le raffinate conoscenze di un popolo indigeno antichissimo, misterioso, di origine incerta, probabilmente appartenente alla Cultura Chichas. Molti simboli di quel luogo restano ancora da decifrare. Invece nella Pietra Mappa di Barrancas, una roccia carica di fascino e ricca di petroglifi pastorali del periodo preincaico, è possibile ancora oggi intuire il legame profondo che le culture di un tempo avevano con i propri animali e con la propria terra, un legame fatto di spontanea sacralità e rispetto per la natura.

Viaggi sempre da solo?
No! Da circa 500 km mi sta accompagnando un cagnolino, un vagabondo che ho incontrato lungo il cammino e che ho chiamato Willy. Mi fa una compagnia incredibile. Non avevo mai avuto un cane e non potevo immaginare potesse essere un'esperienza così profonda. Sono convinto che sia una sorta di angelo, sempre pronto a proteggermi e ad abbaiare a chi non gli piace, a piangere se mi allontano troppo, a farmi le feste ogni mattina, a donarmi continuamente amore incondizionato. Poi, oltre a Willy, in viaggio, soprattutto in Sudamerica, gli incontri con le persone sono piuttosto frequenti. Grazie alle continue conoscenze sulla strada, faccio davvero fatica a considerarmi solo in questo viaggio, seppur non manchino i momenti in cui ho l'occasione di stare sostanzialmente in esclusiva compagnia di me stesso.

C'è un ricordo di questa esperienza che porterai sempre nel cuore?
L'esperienza è ancora in corso, il viaggio prosegue giorno dopo giorno, quindi il tempo e lo spazio per i ricordi ancora non ci sono. Ci sono, però, le emozioni ancora vive, regalate dai luoghi e dalle persone incontrate e, soprattutto, c'è la curiosità di scoprire ancora. Sto vivendo quello che è sempre stato il mio sogno: viaggiare in maniera totale per conoscere nuove culture, stare in mezzo alla natura e contemplarne la bellezza e il mistero, continuando a meravigliarmi.
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