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Nel cuore del Passaggio a Nord-Ovest, sulle tracce di esploratori e sciamani inuit

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domenica, 21 luglio 2024 09:48

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Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
FtNews ha intervistato Massimo Maggiari, professore di Lingua italiana e Cultural Studies presso l’Università di Charleston, in Carolina del Sud. Profondamente attratto dal Grande Nord, di cui ha esplorato ogni regione nel corso dei suoi numerosi viaggi, lo scrittore a maggio ha dato alle stampe il suo ultimo libro: Nel cuore del Passaggio a Nord-Ovest. Sulle tracce di esploratori e sciamani inuit (Meltemi, 2024). Nel corso della nostra conversazione Maggiari ha parlato della sua passione per i territori artici, nata grazie alla lettura delle imprese dell'esploratore norvegese Roald Engelbert Amundsen; si è soffermato sullo sciamanesimo artico, sugli incontri con gli sciamani inuit e sulla loro saggezza. Ricordando che la vita ha bisogno di avventura e creatività, ha esortato a tenere lontani i condizionamenti, le abitudini, la monotonia, tutto ciò che ci rende prigionieri e schiavi. È importante sentirsi vivi e fare esperienza del mondo, con la consapevolezza che tutto ciò che esiste porta l’orma del sacro e che anche noi siamo parte del tutto che ci circonda. Soltanto nell'intima connessione con l'Universo, prestando ascolto alla parte più profonda della nostra anima e osservando il mondo con uno sguardo nuovo, possiamo riscoprire la bellezza e la purezza delle origini e ritrovare l'equilibrio e l'armonia con tutto ciò che esiste.

Prof. Maggiari, recentemente per Meltemi ha pubblicato il libro Nel cuore del Passaggio a Nord-Ovest. Sulle tracce di esploratori e sciamani inuit. Quando e come è nata la sua passione per il Grande Nord e come è nato questo suo ultimo libro?
Da più di trent’anni vivo negli Stati Uniti e frequento questo mondo sparpagliato intorno al circolo polare artico. Ne ho navigato le storie e le genti da ogni direzione e con la più tenace delle passioni. Al punto da sentire il bisogno di ritornare ogni estate in quei luoghi per ammirare ancora una volta quell’immenso territorio di eterna, indomita selvatichezza, e per esplorarne l’Anima. All’inizio, come tutte le cose importanti, è capitato quasi per gioco. Mi sono avvicinato a quel mondo grazie alla lettura delle imprese di Roald Engelbert Amundsen, il grande esploratore norvegese che assieme a Umberto Nobile per primo sorvolò il Polo Nord a bordo di un dirigibile. E poi quelle dell’inglese Shackleton al Polo Sud, dove il suo veliero trovò una morte lenta tra i ghiacci, ma non i suoi uomini, che lui stesso salvò dopo mille peripezie, ritrovandoli vivi dopo 128 giorni di abbandono sull’Isola dell’Elefante. Vere e proprie avventure di grandezza epocale. Il libro è nato progressivamente grazie al mio interesse per la storia di Amundsen, alimentato da letture, esperienze e incontri, emozionanti visite dei musei polari.

Cosa l'ha spinta ad avvicinarsi alla lettura di queste imprese? Cosa ha cercato in esse? All'inizio si è trattato soltanto di interesse geografico e alpinistico per spedizioni fatte in luoghi insoliti e per conquiste memorabili, come la conquista del Passaggio a Nord-Ovest. Mi sono avvicinato a piccoli passi a queste grandi storie, gettando dei ponti verso luoghi e persone che appartengono in qualche maniera a quel mondo così diverso, ma così affascinante, ancora difficilmente raggiungibile e pristino. Sempre alla ricerca di un nuovo punto di riferimento, di un nuovo incontro, andando in continua progressione tra esplorazioni in terre incognite, ghiacci e civiltà.

Chi era Roald Engelbert Amundsen? Cosa l'attrae di lui?
Amundsen era nato da una famiglia di armatori e capitani norvegesi. Da giovane arrivò nel mondo delle esplorazioni spinto da una grande passione, da un grande sogno: diventare esploratore artico come Fridjof Nansen, l’eroe nazionale. Quella di Amundsen, però, è anche una figura che guarda al futuro anticipando la modernità. Lui capì che le spedizioni, quando non sono finanziate da uno stato e un titolo nobiliare, devono trovare dei fondi nell'impresa stessa. Dopo le sue esplorazioni, infatti, faceva sempre lunghi tour di conferenze cercando di trovare nuovi sponsor. Aveva capito da subito la necessità dell'aspetto commerciale; le spedizioni, del resto, avevano costi ingenti, aleatori e promesse di gloria e minimi introiti. Fino ad allora il monopolio dei ghiacci artici era stato degli inglesi, rimasti dopo l’era napoleonica con una formidabile flotta smaniosa di nuove avventure. Ad Amundsen, il Napoleone dell'Artico, purtroppo non si perdona di aver avuto troppi successi: ha attraversato il Passaggio a Nord-Ovest utilizzando un peschereccio rimaneggiato, ha raggiunto per primo il Polo Sud, ha esplorato tutto il Passaggio a Nord-Est, e ha sorvolato per primo il Polo Nord. Non è stato solo un ricercatore di trofei da poter esibire in patria, ma un eroe pacifico che detestava il militarismo e rimase inorridito al massacro della migliore gioventù sul fronte occidentale durante il primo conflitto mondiale. Vista la potenziale distruttività del progresso tecnologico, il norvegese era sicuro che quella guerra mondiale sarebbe stata l’ultima, auspicando, assieme ad Alfred Nobel, una politica della pace in cui l’esplorazione geografica si mettesse al servizio dell’umanità per promuovere sviluppo e comprensione tra i popoli. Il suo rapporto cordiale e d’apertura con il popolo inuit nel Passaggio a Nord-Ovest anticipa pure il processo di de-colonizzazione avviato ai nostri giorni: l’esploratore norvegese aveva un atteggiamento di grande apertura verso popoli, usi e costumi indigeni, che a quei tempi venivano spesso sminuiti o disprezzati. In ugual modo, la sua vocazione all’esplorazione rivela un’indole che ha molto in comune con l’attuale filosofia olistica. Amundsen possedeva fiuto, valutando persone e situazioni all’interno di una visione d’insieme in cui metteva l’intuizione al servizio della sopravvivenza. Non aveva particolari interessi di tipo filosofico o religioso, ma aveva compreso l'importanza di cogliere il momento propizio: perché siamo noi a dover ascoltare il mondo e le sue circostanze, e non viceversa.
Massimo Maggiari con i cacciatori di foca sulla banchisa nei dintorni di Gjoa Haven, in Canada.
Cosa rappresenta, per lei, l'esplorazione, in particolare l'esplorazione delle terre artiche?
L'esplorazione aiuta ad entrare in comunione con la natura, offrendo l’opportunità di ridefinire il proprio essere nel mondo. Esplorare per me significa mettersi in gioco, uscendo dallo schema della propria vita, dalle proprie consuetudini, dai vari condizionamenti per aprirci al mondo, alla voglia di sentirci vivi. Si inizia esplorando fuori, ma l'esplorazione geografica è sempre accompagnata da un tuffarsi dentro l’anima: i luoghi risvegliano determinati stati di coscienza in cui riscopriamo un qualcosa che consente di osservare il mondo e viverlo con uno sguardo diverso. Tutto è legato al tutto; c'è un rapporto profondo con ciò che esiste: la grande sfida è il ritorno a ciò che è essenziale, a quel poco che veramente conta. La vera esplorazione non può che incappare nelle terre magmatiche del Sé profondo, dove ci ritroviamo nudi e crudi con lo stesso sguardo dell’uomo arcaico. Uno sguardo che apre a singolari forme di consapevolezza in cui natura, vita e destino personale si ritrovano in un comune abbraccio. Considero questo aspetto uno dei punti di contatto con la tradizione sciamanica, che pone l'accento su natura, visionarietà e connessione con l’Universo. In questo senso il Passaggio a Nord-Ovest può rappresentare anche una soglia spirituale dove l’individuo ritrova delle radici risalendo fino a una dimensione cosmica.

A proposito di sciamanesimo, nel corso dei suoi numerosi viaggi ha conosciuto diversi sciamani inuit, sviluppando un notevole interesse per lo sciamanesimo di ambiente artico. Quali insegnamenti ha ricevuto da questi incontri? Cosa rappresenta la vita per gli sciamani?
Il termine sciamano ci conduce nell'ambito della gnosi. Con questo si riferisce una forma di conoscenza che ha un aspetto universale, nonostante il viatico personale. La gnosi è solo in parte una manna piovuta dal cielo. In realtà, richiede e pretende impegno, rischio, e non si ottiene facilmente con un semplice workshop di fine settimana. È un percorso che richiede discrezione e solitudine in ambienti dove la natura ci avvolge con lunghi silenzi e brusca ispirazione. Può segnalare anche l’invito a guarire sé stessi, accettandosi con tutti i pro e i contro, in quanto ognuno di noi non è sempre in completa sintonia con la propria condizione. La guarigione inizia spesso con il trovare un parziale senso a quello che ci sta capitando. Il concetto fondamentale comune a tutte le varie forme di sciamanesimo è quello dell'intenzione. Il nostro atteggiamento interiore può influenzare come ci sentiamo e quello che si manifesta intorno a noi. Il fine ultimo è crescere, sentirsi uno con il flusso delle cose: affrontare tutte le prove che la Vita ci porta. In Groenlandia e altrove ho incontrato l’anziano/elder Angaangaq Angakkorsuaq. Da sua nonna Anakasa ha imparato che tutta la vita è una cerimonia. Per questa ragione, abbiamo bisogno di cerimonie per connettere con lo Spirito della Vita. Lui sostiene che questa connessione è venuta meno oggi, e di conseguenza il mondo è pieno di riti, ovvero azioni ripetute, prive di un autentico coinvolgimento emotivo, gesti meccanici che separano dall’eros dell’azione creando solo il marginale interesse di una vaga fotocopia del vivere. Per l’anziano groenlandese la cerimonia non deve essere un cerimoniale esoterico o dogmatico, ma soprattutto un’occasione, al suono del tamburo e del canto, per entrare in sintonia con sé stessi e il Mondo. Addirittura, nel quotidiano, può essere un qualcosa di molto semplice, come prepararsi il caffè o il tè, ma compiuta lentamente, in piena consapevolezza, esprimendo un profondo senso di gratitudine e di soddisfazione. Una cerimonia è come un fiore che uno porta dentro di sé e che si apre all’occasione propizia.

Nella cultura artica gli animali rivestono un ruolo di primaria importanza. Ci spieghi bene questo aspetto. Che rapporto hanno i popoli artici con gli animali?
Anche gli animali fanno parte di quelle forze che accompagnano un destino. Il rapporto con gli animali ha una certa sacralità, può essere considerato totemico e ancestrale. I popoli artici sono popoli di cacciatori; nella cultura tradizionale dei popoli artici è l'animale, la cosiddetta preda, che si offre al cacciatore. Esiste un'alleanza profonda tra il mondo animale e il mondo degli umani per far sì che la vita continui su questo pianeta tramite un sacrificio; è sacro il legame spirituale ed energetico col regno animale, aiuta la Vita a continuare il proprio cammino terrestre. Nel libro Al canto delle balene (Giunti, 2018), attraverso i racconti dei cacciatori che ho incontrato, spiego il vero significato della caccia alla balena, ancora oggi praticata dai popoli del Grande Nord, un'usanza che affonda le sue radici nella partecipazione dell'uomo al tutto, nel rispetto assoluto del mondo animale e preceduta da una serie di riti ancestrali tesi a propiziare il sacrificio spontaneo della balena, l'animale sacro nel cui occhio ogni essere umano si specchia in un incontro empatico e misterioso. In tal senso lo sciamanesimo offre delle coordinate utili all'uomo per navigare questo intimo rapporto col mondo animale. Nell’occhio dell’angankoq (sciamano) vive una realtà complessa e interconnessa con informazioni di vario tipo che possono influenzare sia il meteo che l’esito di una giornata di caccia. L’ago della bussola, però, rimane sempre uno: l’intenzione e la sua finalità indirizzata al bene della comunità, alla sua sopravvivenza.

I suoi viaggi nell'Artico l'hanno portata a ripercorrere le tappe battute da Amundsen. C'è un posto che le è rimasto nel cuore più di altri e un episodio che ricorda con particolare affetto?
Senz'altro ricordo bene il villaggio di Gjoa Haven nel Passaggio a Nord-Ovest, dove Amundsen ha trascorso ben due anni bloccato dai ghiacci. Ho dovuto prendere diversi aerei per arrivare lì, incontrando poi quelli che erano dei possibili discendenti dei norvegesi. L’altro luogo che amo menzionare è Ilulissat, sulla costa occidentale della Groenlandia, dove ho trascorso tre mesi, mentre sulla costa orientale a Tasiilaq ho passato solo due settimane, seppur piacevoli, visitando la Casa Rossa del filantropo Robert Peroni. In Alaska sono stato parecchie volte e anche da quelle parti ho avuto degli incontri interessanti al Native Heritage Center di Anchorage.
Cosa l'ha colpita maggiormente della cultura e dello stile di vita dei popoli del Grande Nord?
Olaf, un danese che fa da guida in giro per il mondo agli appassionati di kayak, ha cacciato con gli inuit e i groenlandesi in diverse occasioni. Olaf sostiene di aver osservato tre cose in quella gente. Innanzitutto, che sono creativamente pieni di risorse: riescono sempre a trovare un rimedio e una soluzione a un problema. In secondo luogo, che sono attenti all'ambiente che li circonda, perché hanno un’esperienza del mondo a 360°. Al riguardo la guida dichiara: "se c'è un animale nei paraggi, ne avvertono la presenza di gran lunga prima di te." Infine, hanno un grande senso dell'umorismo, cosa che, in qualsiasi situazione critica, mostra d’essere di grande aiuto morale.

La sua scrittura è stata definita iniziatica. Che rapporto ha con la scrittura?
Non scrivo in modo iniziatico in senso classico, non faccio parte di una congrega esoterica, di certo mi sento ispirato quando scrivo: ho un rapporto simbiotico con la scrittura, per cui certe cose avvengono in automatico. Quando butto giù frasi, c'è una cooperazione immediata tra me e il linguaggio: le parole si aggregano da sé portando in una certa direzione. Le scuole primarie sono state la poesia e la lettura junghiana del testo poetico. Jung sostiene che il linguaggio, quando affronta certe esperienze archetipiche, specialmente se hanno a che fare col senso della vita e della morte, può prendere connotazioni iniziatiche, spirituali. In questo senso, accetto il termine iniziatico. La scrittura, quando è iniziatica, apre a nuove prospettive di senso, scopre un altro sguardo. E trovare un senso è importante in ogni tempo storico: sprona a vivere, donando fede.

Cosa rappresenta per gli inuit l'aurora boreale? Che sensazione ha provato quando ha visto l'aurora boreale?
L'aurora boreale è il ritorno degli antenati che vengono a farci visita. Nell'armonia dell'aurora boreale gli indigeni sanno leggere molte cose, pure del benessere dei Poli. Le ho viste in tutta la loro magnificenza a Yellowknife ed effettivamente sono un'esperienza unica: la nostra percezione della volta celeste è di solito così piatta, poi d’improvviso, quando si accendono le aurore boreali, a noi si svela un cielo in tutta la sua profondità, dove si ha l'impressione che la mano di un Dio invisibile scenda giù per dirci qualcosa. Proprio allora sentiamo che l’Universo ci sta parlando e proviamo un’estasi dentro un luminoso silenzio. Da sempre.

Quale messaggio si augura possa arrivare a coloro che leggeranno il libro Nel cuore del Passaggio a Nord-Ovest? Cosa dovrebbe imparare la civiltà occidentale da quelli che lei definisce gli ultimi guardiani dell'Artico?
Le parole che ho messo in evidenza nel libro sono tre: autenticità, visionarietà e connessione. Noi abbiamo sete di autenticità, di sentire emozioni vere che ci aiutano a vedere il mondo con uno sguardo di creativa libertà. In quel frangente nasce un nuovo modo di percepire la realtà circostante. Perché ciò avvenga, abbiamo bisogno di vita nomade come quella dei nostri antenati. L’individuo ha bisogno di momenti di totale autonomia e non solo di produttività. Si cresce bene all’aria aperta, vagabondando. Soltanto la rinuncia alla sicurezza conduce sulla via della conoscenza. Nel Grande Nord troviamo ancora mille opportunità di pellegrinaggio, attorniati da una natura pristina. Per tempi lunghi o brevi, possiamo piantare la tenda, accendere un fuoco, andare alla ricerca d’acqua, parlare in cerchio sotto le stelle, sentire la presenza di volpi e lepri che annusano incuriosite. È vita nomade in cui onoriamo l’anima nostra e quelle che ci hanno preceduto, trovando equilibrio e pulizia dei sensi. Spero che l’artico rimanga il luogo preferito dalle maree, dalle balene, dalle foche e dagli orsi polari, e da donne e uomini che vivono in sintonia col mondo naturale in nome degli antenati, delle loro storie, e del loro sapere. Un luogo di pellegrinaggio per tutta l’umanità, dove sia ancora possibile vivere quelle antiche usanze che estendono rispetto e dignità a tutto ciò che vive sul pianeta, dalla notte dei tempi.
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