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UniRoma Tre ha ricordato Albert Camus a110 anni dalla nascita

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domenica, 21 maggio 2023 11:38

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Fabrizio Federici
“Questa Giornata di studi su Albert Camus nel 110mo anniversario della nascita (1913), con la partecipazione di importanti relatori, rientra pienamente nelle iniziative di questo Dipartimento di Scienze della Formazione di Roma Tre che vogliono far conoscere meglio, e valorizzare adeguatamente, le battaglie e il pensiero di tanti intellettuali, docenti, scrittori, saggisti, giornalisti, rimasti spesso in ombra perchè scomodi, del Novecento”.
Così Paola Perucchini, Direttrice del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre al Castro Pretorio, ha aperto, nell’aula Volpi, la Giornata di Studi “Albert Camus alla ricerca di un nuovo umanesimo": portando anche i saluti del Rettore, Massimiliano Fiorucci. Un’iniziativa ideata già nel 2019 da Luigi Fenizi, consigliere parlamentare del Senato, rimasta poi bloccata dalla pandemia da Covid e, infine, realizzata col tenace impegno dei docenti di Roma Tre Marina Geat e Marco Giosi. Un convegno dedicato, inoltre, alla memoria di quattro coraggiosi intellettuali: Luciano Pellicani, Giuseppe Averardi, Luigi Covatta e Arturo Diaconale.
In apertura, Marco Giosi, docente ordinario di Pedagogia generale e Filosofia dell’Educazione in questo Dipartimento di Roma Tre, ha sottolineato la costante attualità delle questioni poste da Camus. “Al centro della sua visione, ci fu sempre la difesa della vita: da qui, le sue battaglie contro la pena di morte e la sua ferma condanna (unico tra gli intellettuali europei, escludendo Albert Einstein, N.d.R.), subito dopo Hiroshima e Nagasaki, delle armi atomiche. Poi, la ricerca di un nuovo umanesimo, o, meglio (contro le ambiguità insite da sempre in questo concetto), umanesimo-umanismo: all’indomani della devastante Seconda guerra mondiale. Infine, la particolare concezione che lo scrittore franco-algerino, di formazione illuminista, ha avuto della dialettica natura – storia”. La sua è una fede laica nell’uomo, certo: ma – ha sottolineato Giosi – la storia per Camus non è mai stata, come per l’idealismo hegeliano-marxista, la nuova divinità, cui tutto va sacrificato. Anche per Camus (come già, ad esempio, per Nietzsche e Joyce), la storia spesso si riduce a un incubo sanguinario, e, in ultimo, senza senso. E allora, per l’essere umano ecco tornare, in primo piano, la natura, gli ambienti etnico-culturali, le caratteristiche di ogni individuo.
Marina Geat, professore associato di Lingua e letteratura francese sempre in questo Dipartimento, ha focalizzato la tormentata maturazione di Albert Camus; che non conosce il padre, Lucien, caduto nella prima battaglia della Marna del 1914 (quando Albert aveva solo tre mesi), e con la madre, Catherine Hélène Sintès, figlia di genitori originari delle Isole Baleari, e analfabeta, ha un rapporto ben poco comunicativo. Nel suo ultimo romanzo, “Il primo uomo”, incompiuto e pubblicato postumo solo nel 1994, dall'editore Gallimard, per volere della figlia Catherine (il manoscritto era stato trovato tra i rottami dell'auto il 4 gennaio 1960, giorno dell'incidente fatale per lo scrittore e il suo editore, Michel Gallimard),il protagonista, Jacques Cormery, alter ego dello stesso Camus, da adulto torna in Algeria, alla ricerca (quasi proustiana, diremmo) della “memoria perduta” del padre. ”L’amara conclusione di Jacques/Albert – ha sottolineato la Prof.ssa Geat –è che gli uomini sono, in ultimo, matti, sognatori, migranti (in più sensi), ma anche, purtroppo, criminali. Mentre l’Algeria, oltre ad essere un preciso luogo geografico, assurge anche a microcosmo simbolico, di una possibile, futura riconciliazione tra algerini e francesi” (morendo nel 1960, Camus purtroppo non vedrà, nel ’62,gli accordi di Evian-les Bains, che chiuderanno il conflitto franco-algerino).
Anna Aluffi Pentini, anche lei in questo Dipartimento, come professore associato di Pedagogia sociale e Teorie e metodi della consulenza pedagogica, ha riferito sull’esperimento di “seminario a distanza” condotto nel 2020, nel periodo piu’ nero del lockdown, con la partecipazione specialmente di studentesse. Seminario centrato sulla lettura de “La peste” (il romanzo di Camus del 1947 a lungo risultato, nel 2020 del Covid, il suo libro piu’ venduto in Francia), alla ricerca di spunti utili per la formulazione, oggi, di nuove politiche sanitarie e terapeutiche, all’insegna soprattutto della solidarietà. Gilberto Scaramuzzo, docente di Teorie moderne dell’educazione e pedagogia dell’espressione, s’è soffermato sull’importanza dei silenzi e delle pause nel teatro di Camus, dal celebre “Caligola” (rappresentato la prima volta nel 1945) a “Il malinteso”: che nel tema dell’uccisione, da parte di madre e figlia, del figlio e fratello erroneamente non riconosciuto, assume toni da tragedia euripidea. Tommaso Visone, Docente associato di Storia del Pensiero Politico alla Link Campus di Roma, si è chiesto quale Europa detesta Camus (quella dei nazionalismi esasperati, sfociati nei due grandi incendi mondiali del ‘900 e risorgente, sotto mentite spoglie, negli stessi nazionalismi del Terzo Mondo; ma anche – monito profetico per l’oggi -l’Europa bottegaia e ultraliberista). E quale, invece, appoggia: senz’altro l’Europa del federalismo sovranazionale (a marzo del ’45, lo scrittore partecipa, a Parigi, al Primo Congresso internazionale del Movimento Federalista Europeo, con Altiero Spinelli e la moglie Ursula Hirschmann, George Orwell, Emmanuel Mounier e altri importanti intellettuali). Formula che, per lui, potrebbe estendersi anche ad Algeria e Francia: unite, in un possibile futuro, da una “Federazione transmediterranea”, con Algeri come capitale.
A introdurre le relazioni del pomeriggio, è stato Roberto Cipriani, Professore emerito di Sociologia generale a Roma Tre, Presidente dell’ICSOR. International Center for the Sociology of Religion. Che, criticando un certo laicismo esasperato di oggi, molto diffuso anche nell’ambiente universitario, il quale insorge anche solo a leggere la parola “religione” in documenti ufficiali, ha ricordato la forte diversità delle concezioni di Camus: uomo certo non religioso in senso tradizionale, ma sempre alieno dal laicismo integralista come dal “politically correct”.
Nella sua relazione, Luigi Fenizi, specialista di Camus, ha inquadrato la figura dello scrittore franco-algerino tra i grandi intellettuali “inorganici” (e, perciò, scomodi) del Novecento, da George Orwell a Simone Weil, da Gaetano Salvemini a Ignazio Silone. Come quest’ultimo, e come Spinelli, Camus da giovane aderisce al Partito comunista: ma l’ ”idillio”, diversamente che per i due italiani, è di assai breve durata (1935- ’37) E “in un secolo, il ‘900, che, oltre che crudele, è stato anche paradossale, vedendo comparire, sul bando degli imputati, il più delle volte non gli oppressori, ma gli oppressi. Camus, guardando la tragica involuzione della Rivoluzione russa, è tra i pochi a capire che, dopo una rivoluzione, non si può più essere rivoluzionari, ma si è condannati ad essere solo oppressori, oppure eretici.
“Sia Camus che Sartre, i due grandi amici-nemici (che rompono fortemente nel ’52, quando il primo pubblica “L’uomo in rivolta”), si definiscono atei”, ha ricordato poi Claudio Tognonato, altro docente associato di questo Dipartimento, specializzato in Sociologia economica e dello sviluppo. “Ma il tutto, ovviamente, va contestualizzato: per entrambi, essere ateo significa soprattutto che l’essere umano non ha un destino, che la sua vita è priva di senso: ma proprio per questo (ecco appunto l’esistenzialismo sia di Camus che di Sartre), è dovere dell’uomo cercarlo, questo senso, “trovare” il proprio destino. Mentre Camus – ha ricordato ancora Marco Giosi - nella sua ricerca filosofica ed esistenziale, a ben vedere recupera molti importanti concetti di pensatori a sfondo religioso, da Plotino a S.Agostino, da Pascal, specialmente, a Kierkegaard e Dostojewskij.
Albert Camus e Ignazio Silone, maestri irregolari del Novecento: anche loro, profeti spesso inascoltati. Questo, il tema affrontato da Alessandro Bresolin, studioso veneto autore del saggio "Camus. L’unione delle diversità"(Edizioni Spartaco, 2013), e di varie raccolte di suoi interventi pubblici. ”Dal ’45 in poi, lo scrittore franco-algerino vede il suo maestro senz’altro nel Silone di “Fontamara” e degli altri romanzi, e della piece teatrale “Ed egli si nascose” (tratta, a sua volta, da “Vino e pane”). E scartabellando negli archivi, ho trovato 2 recensioni su testate uscite in Algeria, rispettivamente di Fontamara” (1935) e di “Pane e vino” (1939), quasi sicuramente opera di Camus”. .Emanuele Santi, romano, anch’egli attento studioso dell’autore de “L’etranger”, con all’attivo il saggio “Il portiere e lo straniero”, centrato su infanzia e adolescenza algerina di Camus, ha ripercorso dettagliatamente gli anni del suo impegno civile e politico, tra Algeria e Francia occupata dai nazisti. “Dopo la guerra, nel ’57 lo scrittore riceve a Stoccolma il Nobel per la Letteratura e si pronuncia chiaramente per l’indipendenza algerina; ma altrettanto chiaramente dice no al terrorismo sanguinario e indiscriminato del FLN, diffidando inoltre del suo filosovietismo”.
Infine, Ernesto Marzano, economista e dirigente emerito delle Partecipazioni statali, con incarichi di lavoro anche al Club Mediterranée in Madagascar, ha portato la sua personale esperienza (raccontata nel libro autobiografico del 2914 “L’uomo senza platea, Croce ed.) di diretta conoscenza di Albert Camus, a Parigi negli anni ’50. “In occasione d’una serata dedicata all’autore di “Fontamara”, all’epoca assai poco conosciuto in Francia, organizzata dallo stesso Camus: della cui casa parigina fui ospite, conoscendo tutto il suo vasto giro di amici intellettuali”.
Toccante in ultimo, partendo sempre dal tema dei rapporti Camus – Silone, l’intervento di Romolo Tranquilli, pescinese, dipendente RAI emerito, nipote dello scrittore abruzzese (di cui era cugino il padre, Pomponio). Il quale ha ricordato il visibile imbarazzo di Silone, specie negli ultimi anni della sua vita, a parlare del fratello minore, Romolo: anch’egli già militante comunista, arrestato nel 1928 con l’accusa di aver partecipato all’attentato dell’aprile di quell’anno contro re Vittorio Emanuele III, a Milano (14 morti più altri 6 nei giorni successivi, per le bombe esplose durante l’inaugurazione della Fiera Campionaria). Prosciolto in tribunale dall’accusa di partecipazione alla strage, Tranquilli fu però condannato al carcere per la sua militanza comunista: quattro anni dopo, il 27 ottobre 1932, all'età di 28 anni, proprio un giorno prima dell'amnistia per il decennale fascista, Romolo si spegneva, per l'aggravarsi della malattia dovuta alla pesantissima situazione carceraria. Per Silone fu un durissimo colpo che s'innestò nel vivo della sua crisi col Partito (da cui era stato espulso, in quanto dissidente, l’anno prima). Quella di Romolo fu una pena che lo tormentò tutta la vita, e che lo costrinse sempre ad evitare di ricordare i fatti tragici di cui era stato protagonista suo fratello. “Anch’io – ha ammesso, con grande onestà. Romolo Tranquilli Jr.- a volte mi sono sentito in colpa, per non esser riuscito a fare aprire Silone su questi ricordi così penosi. Ringrazio, allora, le autorità accademiche di questo Dipartimento di Roma 3, per avermi invitato a questo convegno: dove, partendo dall’amicizia tra Camus e mio zio, ho avuto l’opportunità di liberarmi, almeno in parte, di questo peso”.
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